Dal
1949 al 1975 un attore che veniva dall’Iowa, Marion Robert
Morrison, è entrato nella classifica dei dieci divi (uomini e donne)
più amati e pagati di Hollywood, e in 19 anni su 26 è stato tra i
primi 4. Ombre rosse, Fort Apache, Rio Grande, Un dollaro d’onore,
Sentieri selvaggi e L’uomo che uccise Liberty Valance sono solo
alcuni dei suoi capolavori sempreverdi.
Questo
cinegenico corpo magico, grande ed espansivo, bucava lo schermo
maneggiando quattro espressioni con virtuosismo impareggiabile e
sottile. Fu simbolo in tutto il mondo di bellezza, mascolinità e
senso del dovere, ed è diventato una leggenda dello schermo anche
perché, con la complicità di Walsh, Ford e Hawks, ha trascinato il
western ai livelli più alti
dell’arte cinematografica. «Quest’uomo colpisce la nostra
attenzione al di là dei valori narrativi di un film». Parola di
John Ford.
Credo che perfino i
nativi d’America e i vietcong abbiano tifato per John Wayne
(1907-1979). Jean-Luc Godard lo spiegò: «Non si può non odiarlo
ferocemente, per esempio in Sentieri selvaggi, perché il suo
Ethan è un mostro razzista. Ma non si può non amarlo follemente
quando, nello stesso film, Ethan solleva in aria dolcemente la nipote
contaminata dai Comanches, Nathalie Wood, decide di non ucciderla più
e supera sé stesso e tutti i suoi orrori mentali in un solo gesto».
In L’uomo che uccise Liberty Valance Wayne ammazza alle
spalle il cattivo, Lee Marvin, smitizzando centinaia di falsità
western e spiegando la differenza tra realtà e leggenda.
Il mito John “Duke”
Wayne si rafforza nel tempo, a 35 anni, ormai, dalla morte. Anzi,
siamo al di là della mitologia, all’icona. Incorporando alti
valori spirituali, come coraggio, integrità e combattività, questa
fortissima personalità schermica - mai in difficoltà, se non con le
donne più sfrontate di lui - ambizioso e individualista assoluto, ma
a suo agio nello spirito di corpo, fino a farsi odiare per lo
sciovinismo militarista e imperialista di Berretti verdi, è
diventato sinonimo di “America”.
Però nel 1957 Wayne, al
culmine della carriera, spiegò: «Il ragazzo che vedete al cinema
non sono io. Io sono Duke Morrison, e il nomignolo l’ho rubato al
nostro cagnolino di famiglia. Non ho e non avrò mai la personalità
di John Wayne. Certo, lo conosco, sono uno dei suoi più attenti
studenti, vorrei diventare come lui. Ma vivo fuori di lui». A Kirk
Douglas che lo stuzzicava chiamandolo “John”, neanche rispondeva.
Finché in un party ironizzò sui personaggi, “finocchi senza spina
dorsale” alla Van Gogh.
Una meticolosa e
autorevole biografia appena uscita negli Stati Uniti, John Wayne -
The Life and Legend, di Scott Eyman ci fa scoprire meglio queste
contraddizioni e la differenza tra “Duke” Morrison e John Wayne,
un personaggio inventato, strato dopo strato. Seguiamo Duke dalla
natia Winterset alla californiana Glendale, da star del football
all’Usc al primo grande successo, The big Trail,
dall’incontro con Ford fino all’invenzione di quella “camminata
da giusto” ai matrimoni e a The Shooting del liberal Don
Siegel, dove ci racconta la sua ultima battaglia contro il cancro.
Il libro di Eyman è già
un best seller. Certo, non farà cambiare idea a chi odia o ama
incondizionatamente Wayne. Ma rivela parecchi lati segreti della sua
personalità, come una insospettata competenza nella letteratura
inglese del 1700-800 o il terribile dolore provato alla morte del suo
grande amico e collega Ward Bond. Non mangiò più per settimane e
dimagrì di 10 chili.
Pagina 99, 12 luglio
2014
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