A me risulta assai difficile considerare la Cina odierna un paese anche imperfettamente socialista, inserita com’è nel mercato capitalistico mondiale, con tanto liberismo economico e scarsa protezione sociale. C’è – è vero – un sistema politico a partito unico (non privo di una sua dialettica interna), che affida il governo delle istituzioni ad una burocrazia che fa professione di “comunismo”, ma – dopo la morte di Mao – nel bagaglio politico-teorico di questa burocrazia non c’è – e da tempo – la lotta di classe.
Questo carattere “interclassista”, e in ultima analisi nazionalista, è stato portato alle estreme conseguenze all’ultimo congresso che ha visto l’epurazione dell’ala più attenta ai diritti sociali, propiziata da alcuni scandali di corruzione che immagino pilotati. Resta il fatto che l’attuale PCC (nel quale - secondo una nera “profezia” di Mao - ha vinto la destra e che si è trasformato di conseguenza in un partito “fascista”) mantiene vivo il riferimento al “Grande Timoniere” come padre fondatore della Cina moderna e ne onora la memoria.
Il richiamo a Mao Tse-tung non può essere a quello della Rivoluzione Culturale o a quello che suggeriva ai successori di “non dimenticare mai la lotta di classe”, caso mai al leader che realizzò con il suo Esercito rosso l’unificazione politica e l’indipendenza nazionale della Cina, dimenticando che quello strano esercito senza gradi non combatteva solo i giapponesi, i feudali “signori della guerra” o il corrotto Kuomintang, ma anche la grande proprietà terriera e le classi sociali privilegiate. Attraverso questa censura Mao Tse-tung è trasformato in una sorta di Garibaldi (anche lui del resto censurato per il feroce anticlericalismo e le simpatie socialiste), in un condottiero popolare e carismatico senza connotazioni classiste, marxiste o comuniste.
Si spiega così perché a Yan’an – che fu il cuore della prima “Repubblica sovietica” di Cina (così si chiamava) - si celebrino non le grandi riforme sociali che Mao e Chu En-lai propiziarono e sperimentarono in quella zona liberata, in quella “base rossa socialista”, ma la battaglia che fermò nel 1947 il tentativo del Kuomintag e di Chang Kai-shek di liquidarla.
Era inevitabile che così fosse: chi vince s’impossessa della memoria. Quel che forse pochissimi si aspettavano era che quella battaglia diventasse spettacolo e strumento di capitalistico profitto, ma, come si può leggere nell’articolo che segue, comparso nel “Venerdì” di Repubblica nel gennaio 2011, è proprio quello che è accaduto. (S.L.L.)
Lo spettacolo a Yan'an |
La rivoluzione, diceva Mao Zedong, non è un pranzo di gala. Ma, settant’anni dopo la Lunga Marcia che sfociò nella nascita della Repubblica Popolare, anche la culla storica della rivolta - Yan'an, la prima capitale della Cina comunista di Mao - viene data in pasto ai turisti.
È qui, in quello che il sito web dell'ente del turismo definisce la «città natale della rivoluzione», che lo spettacolo della «difesa di Yan'an» va in scena ogni mattina.
Con centinaia di migliaia di turisti pazientemente in fila per assistere alla ricostruzione (con tanto di esplosioni e piroette aeree) della battaglia avvenuta nel 1947, quando gli uomini di Mao sbaragliarono l'esercito nazionalista di Chiang-Kai-Shek. Turisti cinesi, certo, ma anche europei e americani. L'ingresso è gratuito, ma con 15 yuan, un dollaro e mezzo, si può affittare per l'intera giornata la divisa unisex della Guardia Rossa. Chi la indossa può partecipare allo spettacolo, restando ovviamente nelle retrovie. E scattare «finte» foto storiche nei luoghi, ricostruiti, dove vissero Mao e compagni.
In questa parte della Cina, il turismo «rosso» sta conoscendo un vero boom. Dieci milioni di visitatori solo nel 2010, il 37 per cento in più dell'anno precedente. Sono soprattutto giovani professionisti a compiere questa sorta di pellegrinaggi culturali, alla riscoperta dei luoghi storici della rivoluzione, «per ritrovare», ha detto al “New York Times” lo storico Tan Huwa dell'Università di Yan'an, «i valori che portarono alla nascita della Repubblica Popolare».
Forse. Certo, il turismo rosso trasforma la città in una roccaforte capitalista. Sono soprattutto gli amministratori pubblici e i piccoli imprenditori locali a trarne vantaggio: in città i prezzi sono a dir poco turistici. Del resto, il Comune ha speso 128 milioni di yuan (circa 19 milioni di euro) per rinnovare piazze, costruire alberghi e musei e assumere perfino un regista per la coreografia della battaglia. E pazienza se Zhang Yimou, il regista di Lanterne rosse e Hero che ha curato nel 2008 le coreografie delle Olimpiadi, non sia stato disponibile. Il ritmo della battaglia delizia i turisti ugualmente. Ma chi ha davvero vissuto quella storia piange lacrime amare. Sidney Rittenberg Sr, lo studente del partito comunista americano che nel 1940 raggiunse Mao proprio a Yan'an unendosi all'esercito rosso (ha vissuto in Cina fino al 1980), tornato di recente nei luoghi della sua giovinezza, ne è rimasto sconvolto. «Hanno distrutto l'ultimo luogo storico della Cina» ha detto al “New York Times”, «trasformandolo in una finzione degna di Disneyland».
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