1.9.12

Capperi! (di Paolo Pejrone)

Riesce a crescere nei terreni più poveri e improbabili, talvolta affonda le sue radici nei muri, il cappero è pianta rustica e povera: è figlia del poco, quasi del nulla. E riesce a far miracoli: i suoi fiori profumati, leggeri e bellissimi (che aspettano la notte per aprirsi) sono tra i pochi segni di vita che le terre aride e sassose quasi bruciate dal sole, regalano d'estate. Tutto si deve alle sue speciali radici che sensibili ed intelligentissime riescono ad insinuarsi nelle crepe dei muri vecchi e porosi d'una volta.
Pochi arbusti sono così mediterranei e generosi e, nello stesso tempo, misteriosi: sono piante molto conosciute ma raramente coltivate, spesso interpretate dai «si dice» a cominciare dalla antichissima leggenda del fico. Si tramanda di come fosse indispensabile che un frutto di fico contornasse il seme fresco del cappero (a suo futuro sostegno e nutrimento) quando conficcato nelle fessure profonde dei vecchi muri. Vuole il sole pieno e ama le rifrazioni forti ed i suoi bollori, gode delle bruciature degli arroventati mezzogiorni d'estate ed ugualmente sopporta le notti gelate (simili a quelle dell'inverno scorso). Per chi ne volesse sapere di più può essere di grande aiuto Il cappero, il piccolo libro edito da Edagricole nel 2001, scritto dall'attuale assessore all'ambiente al comune di Palermo, l'appassionato e serio professore Giuseppe Barbera.
Qui da noi, in Piemonte, a differenza di allori ed ulivi, i capperi, imperturbabili, hanno iniziato da poco tempo la loro abbondante e bellissima performance estiva di foglie, boccioli, fiori e semi. Come tutti gli anni. Bellissimi e in pieno fiore, addirittura esagerati nell'abbondanza (e nell'eleganza), sono quelli che crescono sugli spalti del castello di Passerano nell'astigiano, o quelli di due differenti varietà dell'arcipelago dei Galli, vicino a Positano. O a quelli ancora famosi ed apprezzati di Salina e Pantelleria, la vera Rhur del cappero, il posto privilegiato per ottime ed antiche coltivazioni. E ottimi prodotti. Ogni muro a secco ben esposto d'Italia, sotto i 500 metri di altitudine, in teoria potrebbe diventare una ripida palestra di bellezza e di bontà.
Anche se sembra parte di antiche favole, è pur sempre curioso (e pare assodato) il matrimonio tra le lucertole e i semi del cappero, unione, a detta di Giuseppe Barbera, antica e provata.
I semi, avvolti da uno zuccherino e scurissimo miele, pare (io onestamente non l'ho mai visto consumarsi) s'incollino alla ruvida pelle del ventre delle lucertole che passeggiando tra buca e buca a caccia di insetti (e insinuandosi con accortezza) sembra possano rilasciare gli stessi semi negli anfratti più reconditi (e adatti).
Non va dimenticato come le piante di cappero amino (appassionatamente) il terreno calcareo della nostra penisola, quello stesso che fa felice sia le viti sia le rose. Con intelligenza e caparbietà ultimamente si è anche riusciti a moltiplicare nuove piccole piante in vaso…
Non deve sorprendere come quei quattro capperi che spesso vediamo sui piatti della cucina mediterranea abbiano dietro di sé una lunga storia: una vera e faticosa odissea fatta di sole, secco, radici, rovine, sassaie e sale. E soprattutto di fiera e dignitosa povertà.

“La Stampa”, 3 agosto 2012

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