Angelo Tasca |
È
strano, ma ancor più indicativo di un certo spirito del tempo (o
forse dell' atteggiamento dei mass media nella loro grande
maggioranza) che i Quaderni e documenti inediti di Angelo
Tasca. Vichy 1940-1944,
pubblicati come il n. 24 degli Annali Feltrinelli (pagg. 750, lire
100.000) e di cui discutono oggi all' École Francaise di Roma
Luciano Cafagna, Renzo De Felice, Giulio Sapelli e il curatore Denis
Peschanski, abbiano fino ad oggi destato così scarsa attenzione
nella grande stampa quotidiana e settimanale (se si esclude un
intervento di Leo Valiani sul Corriere della Sera). È strano,
dicevo, trattandosi di documenti di eccezionale interesse: non
soltanto perché illuminano adeguatamente un momento importante
dell'esistenza e dell'itinerario politico di uno dei protagonisti del
movimento comunista italiano prima, e poi di quelli socialisti
italiano e francese, ma anche perché ci aiutano a comprendere meglio
quanto accadde nella Francia occupata dai tedeschi; quella Francia
dove tanti italiani antifascisti avevano trascorso da esuli il
quindicennio che va dalle leggi eccezionali fasciste allo scoppio
della seconda guerra mondiale. In questi documenti, osserva
nell'introduzione lo storico francese Francois Bédarida, emerge con
una chiarezza cruda, ma prodigiosamente istruttiva, il mondo politico
di Vichy in tutti i suoi particolari. Lo storico vi troverà una gran
quantità di informazioni e una sconcertante galleria di ritratti
umani.
Bédarida
non ha torto: raramente mi è capitato di leggere nei libri pur
interessanti di Paxton, Amouroux e Azéma su Vichy, analisi e
descrizioni così vive e penetranti della progressiva dissoluzione
del tentativo operato dalla destra francese, cui si unirono alcuni
socialisti, tra cui appunto Angelo Tasca, di creare tra il Terzo
Reich e le potenze alleate una terza forza legata al rinnovamento
della Francia: un rinnovamento che, nel disegno di alcuni dei suoi
protagonisti, avrebbe dovuto coniugare la difesa dell'identità
nazionale con la creazione di un nuovo ordine sociale, e che invece
sfociò nel collaborazionismo filonazista, nella caccia spietata alla
Resistenza, nel crollo finale insieme con la Wehrmacht. Con i suoi
quaderni e le sue ricchissime note politiche e personali, con i suoi
interventi sul giornale collaborazionista “L'effort”, con il suo
lavoro al Ministero dell' Informazione di Vichy (e grazie alla sua
ben nota mania archivistica), Tasca è nello stesso tempo un
eccezionale testimone e un attore della tragedia che si consuma nei
quattro anni dell'occupazione della Francia. Nessuno, di fronte ai
documenti provenienti dal suo archivio privato, potrebbe sostenere
oggi che egli rimase estraneo, o in posizione marginale,
nell'esperimento della Francia di Pétain; ma il dibattito è ancora
aperto sia sulle ragioni che portarono l'antico compagno di Gramsci,
di Terracini e di Togliatti a scegliere di restare a Vichy piuttosto
che unirsi al maquis o imbarcarsi per l' Africa del Nord con De
Gaulle e una parte della classe dirigente francese, sia sul
significato che ebbe, in questo quadro, l'opera svolta dallo stesso
Tasca a favore della Resistenza belga, che gli valse a guerra finita
la croce di cavaliere dell'ordine di Leopoldo I. Già lo studioso
americano Alexander De Grand, in una sua recente biografia del
socialista torinese (Angelo Tasca. Un socialista scomodo, Franco
Angeli, pagg. 266, lire 24.000), che si segnala per la piena
utilizzazione dell' archivio privato del protagonista, ma anche per
una certa fragilità interpretativa sui problemi di fondo, aveva
messo in luce alcune delle ragioni che condussero Tasca ad aderire a
Vichy. Innanzitutto, l'anticomunismo maturato intorno alla grande
crisi, quando Tasca era stato espulso dal partito comunista d'
Italia; un anticomunismo che era insieme avversione allo stalinismo e
ai suoi metodi e rifiuto totale del marxismo (ed era stato alla base
dello scontro, all'interno del Psi, con Pietro Nenni). Quindi la
critica durissima alla democrazia parlamentare, anzi si potrebbe dire
alla democrazia tout court,
che gli faceva pensare alla necessità di uno Stato forte, non
dominato dai partiti di massa ma affidato ad élites
che avessero quasi le caratteristiche di un Ordine e che partissero
in crociata per il rinnovamento degli spiriti, dei costumi, delle
istituzioni. Su tutto, poi, la necessità di rompere decisamente con
il passato della Terza Repubblica e di puntare su una rivoluzione
nazionale quale poteva essere, nelle sue illusioni, l'esperimento di
Vichy.
Ma
per comprendere meglio, e dall'interno, l'itinerario di Tasca, e allo
stesso tempo il mondo politico e culturale francese cui egli si
sentiva sempre più legato (allontanandosi in questo
dall'antifascismo italiano di cui per oltre un decennio aveva fatto
parte, e in posizione non marginale), vale la pena scorrere i suoi
scritti pubblicati nel volume degli Annali Feltrinelli, e insieme
alcuni saggi che li precedono; in modo particolare, oltre
all'introduzione di Bédarida, gli articoli di Peschanski, Sadoun e
in ultimo di Alceo Riosa, che negli anni scorsi ha scritto un libro
interessante sulla giovinezza di Tasca fino agli anni dell'Ordine
Nuovo e della fondazione del partito comunista d'Italia. Dall'
insieme di questi testi si ricavano altri elementi di rilievo sulla
situazione francese nella seconda metà degli anni Trenta e di fronte
alla drole de guerre,
quella angosciosa parentesi che va dallo scoppio del conflitto
all'attacco alla Francia da parte dei tedeschi e in un secondo
momento degli italiani. Innanzitutto, la divisione e quasi la
disgregazione della Sfio, cioè del partito socialista francese,
lacerato prima dalle eresie interne, poi dalle strade diverse che le
sue correnti assumono di fronte ai comunisti, alla guerra, a Pétain.
Tasca, che in quegli anni partecipa sia alle vicende del socialismo
francese sia a quelle del socialismo italiano, è vicino ai
neosocialisti, a chi mette più chiaramente in discussione le radici
marxiste e la vicinanza all'Urss come primo paese socialista. Non è
l'unico all' interno di quella corrente a sognare l'esperimento di
Vichy come un'occasione tragica ma che potrebbe essere feconda per
ricominciare da zero, anche se non si spinge mai - come anche questi
documenti dimostrano - ad esaltare la Germania nazista (ciò che
faranno invece i Déat e i Doriot).
Un
altro dato significativo che si ricava dai Cahiers
e dalla corrispondenza di Tasca è il suo accostarsi a una visione
religiosa, meglio ancora cristiana, del nuovo socialismo da
rifondare. Di qui il suo dialogo ininterrotto in quegli anni con
Ignazio Silone, anche lui transfuga dall'avventura comunista. E per
questa via si spiega, almeno in parte, la stretta collaborazione di
Tasca con Henri Mosset, un conservatore nazionalista che lavora a
Vichy sulla base di motivazioni analoghe: la lotta all'Urss e ai
comunisti, la speranza di salvare la Francia dall'occupazione totale
dei nazisti.
Insomma,
Angelo Tasca malgrado la sua avversione per il fascismo italiano e
per la Germania nazista era destinato a giungere in quegli anni a una
visione del mondo che dal fascismo non si distanziava in maniera
decisiva. Come quando, in una lezione tenuta nell'aprile 1943 per il
Segretariato generale della Propaganda di Vichy, cerca di delineare
una terza via tra lo Stato liberale e quelli totalitari (come la
Germania nazista e l'Urss) e afferma testualmente: “Credo
personalmente che la democrazia parlamentare sia sbagliata fin dalle
sue stesse fondamenta. L'elemento politico è l'elemento superiore
della coscienza collettiva delle nazioni che dobbiamo ritrovare in
ogni cittadino; non credo che la ritroviamo allo stesso grado,
soprattutto nella fase storica attuale, presso tutti gli elementi; e
la finzione del voto uguale per tutti i cittadini, che offrirebbe,
per un semplice calcolo matematico di maggioranza, la scelta migliore
e uomini destinati a rappresentare la collettività e i programmi che
questi uomini devono realizzare, non offre alcuna garanzia”. O come
quando giunge a sostenere che “soltanto la borghesia è una forza
storicamente attiva”. Alla fine dei loro saggi, sia Riosa che De
Grand si chiedono quale giudizio si possa dare, in sede storica, di
Angelo Tasca e in particolare del ruolo che egli ebbe a Vichy: dove
fu, malgrado l'intesa segreta con la Resistenza belga (che altri
studiosi hanno interpretato come un classico doppio gioco) attivo e
significativo a favore della Francia collaborazionista. Secondo
l'opinione di Riosa, gli errori di Tasca non furono la conseguenza di
un disimpegno né il risultato di un tradimento, ma piuttosto
l'espressione di chi rischiò di smarrirsi troppo in alto mentre
molte altre coscienze non persero di vista la direzione della storia.
De Grand, dal canto suo, sostiene che la vita di Tasca sfugge a
categorie nette. Non era né un eroe né un farabutto. Più di ogni
altra cosa fu un isolato... uno dei personaggi più tristi di quella
generazione di esuli, quella che non sarebbe mai potuta rientrare in
patria. Mi pare che in entrambi i giudizi ci sia qualcosa di vero; ma
non vedo perché non si debba prendere atto, a distanza di
quarant'anni da quegli avvenimenti, e di fronte a una documentazione
ormai esauriente, che il ripudio del marxismo, l'avversione viscerale
per i comunisti, l'illusione di poter conciliare nazione e socialismo
in una nuova sintesi improvvisata, condussero Angelo Tasca a lavorare
per i fascisti, a sognare una rivoluzione nazionale nello stesso
periodo in cui la Germania nazista, con i suoi satelliti, metteva l'
Europa a ferro e fuoco e massacrava milioni di esseri umani.
“la
Repubblica”, 7 maggio 1987
Nessun commento:
Posta un commento