16.8.16

La vecchia ubriaca. Una poesia di Cesare Pavese

Cesare Pavese
Piace pure alla vecchia distendersi al sole
e allargare le braccia. La vampa pesante
schiaccia il piccolo volto come schiaccia la terra.

Delle cose che bruciano non rimane che il sole.
L'uomo e il vino han tradito e consunto quelle ossa
stese brune nell'abito, ma la terra spaccata
ronza come una fiamma. Non occorre parola
non occorre rimpianto. Torna il giorno vibrante
che anche il corpo era giovane, più rovente del sole.

Nel ricordo compaiono le grandi colline
vive e giovani come quel corpo, e lo sguardo dell'uomo
e l'asprezza del vino ritornano ansioso
desiderio: una vampa guizzava nel sangue
come il verde nell'erba. Per vigne e sentieri
si fa carne il ricordo. La vecchia, occhi chiusi,
gode immobile il cielo col suo corpo d'allora.

Nella terra spaccata batte un cuore più sano
come il petto robusto di un padre o di un uomo:
vi si stringe la guancia aggrinzita. Anche il padre,
anche l'uomo, son morti traditi. La carne
si è consunta anche in quelli. Né il calore dei fianchi
né l'asprezza del vino non li sveglia mai più.

Per le vigne distese la voce del sole
aspra e dolce susurra nel diafano incendio,
come l'aria tremasse. Trema l'erba d'intorno.
L'erba è giovane come la vampa del sole.
Sono giovani i morti nel vivace ricordo.

da Lavorare stanca in Poesie, Einaudi, 1961

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