Uscito recentemente per
Franco Angeli, per la cura di Giovanni Genovesi, Il quaderno umile
segno di scuola (pagine 144, euro 15) è una interessante analisi
di alcuni periodi della storia italiana - in particolare quello
fascista - osservati attraverso quelle singolarissime lenti di
ingrandimento che sono i quaderni degli alunni. Quaderni assurti in
anni recenti al rango di vere e proprie fonti documentarie della
storia dell'educazione. Essi testimoniano inoltre - come sottolineato
dai saggi di Luciana Bellatalla, Angela Magnanini, Nicola Barbieri e
Elena Marescotti raccolti nel volume curato da Genovesi -
l'evoluzione del costume e delle «italiche mode», e documentano le
egemonie culturali e le innumerevoli «stagioni didattiche» che si
sono succedute attraverso le lente modifiche dei programmi
scolastici. Ma ciò che i quaderni scolastici mettono in evidenza è
soprattutto il drastico cambiamento della politica e dell'idea stessa
di fare scuola in Italia, seppure in un contesto «difficile».
Tra giochi e parole
d'ordine
I quaderni, in fondo,
oltre a rappresentare quegli «umili segni» ai quali fa cenno il
titolo del volume, sono una fonte complessa che necessita di nuove
modalità esplorative e di nuovi metodi di indagine. In Italia, va
detto, esistono istituzioni lungimiranti che li custodiscono - a
ragione - come fossero piccoli tesori. A questo proposito, il libro
curato da Giovanni Genovesi raccoglie un saggio di Nicola S. Barbieri
dedicato a una serie di quaderni che vanno dal 1958 al 1963, quaderni
scritti da un'alunna di Montagnana, cittadina in provincia di Padova.
Un lavoro al quale si affianca un suggestivo studio di Elena
Marescotti sulle copertine che ritraggono il mondo della natura e
trasmettono una loro personale storia dell'educazione ambientale in
Italia.
La maggior parte degli
interventi ospitati nel volume, però, analizza testi di alunni della
provincia di Pistoia, scritti tra il primo ottobre 1928 alla fine di
giugno 1929. Genovesi, da parte sua, presenta un proprio contributo
dedicato al problema della fascistizzazione letta attraverso i diari
di classe, mentre a Luciana Bellatalla spetta il compito di
confrontarsi con le parole d'ordine del regime in un contesto
prettamente rurale. La scelta dei quaderni da sottoporre all'analisi
è caduta su quelli conservati nella Biblioteca comunale
Forteguerriana di Pistoia per l'anno scolastico 1928-1929 ed esposti
alla «Mostra della scuola» tenutasi nell'estate dello stesso anno
proprio a Pistoia.
Il 1929 è ovviamente un
anno importante, se non addirittura un anno chiave per lo Stato
fascista. Nel '29, il fascismo è legittimato dal Papa con la
riconciliazione tra Chiesa e Stato, vengono siglati i Patti
Lateranensi e il Duce assurge al ruolo di «uomo della Provvidenza»
per milioni e milioni di italiani. La microstoria che i bambini
raccontano è fatta di avvilenti pratiche didattiche quotidiane e di
nessi inevitabili tra scuola, ideologia e politica. È la storia solo
di una parte dell'Italia fascista, beninteso, ma è la storia di un
campione attendibile e rappresentativo di tutta la provincia
italiana. I testi sono chiaramente «ricopiati in bella» in classe
dagli alunni delle seconde, terze e quarte elementari. Trascritti,
manco a dirlo, sotto la stretta sorveglianza della maestra.
Provveditori e
Provvidenza
Dalla loro lettura gli
autori del libro delineano una scuola italiana supinamente allineata
col fascismo e, in particolare, col suo «Duce». Non a caso, nei
diari dei bambini, «l'Uomo della Provvidenza» è sempre indicato
come «il Duce Mussolini» quasi si trattasse di nome e cognome. E
non siamo lontani dal vero a pensare che per loro il capo del governo
si chiamasse proprio così, «Duce Mussolini», e non Benito.
I racconti degli alunni,
di cui il libro riporta ampi stralci, sono asciutti, corretti
formalmente, benché ripetitivi. La produzione è omogenea, mentre il
tema di cui più si parla è quello della vita e dell'esistenza in
genere. La vita vi appare nella forma «rurale» tipica della
provincia, in quella monotona della vita scolastica, scandita dalle
imprese del governo fascista, dalle festività (fasciste e)
religiose, dal passare delle stagioni. Le religione è onnipresente.
Se infatti il fascismo ha una presenza costante nella scuola, la
religione ce l'ha a livello di contesto sociale. «Nella nostra
scuola ci sono tante belle cose» - si legge - «c'è Gesù che gli
si dice la preghiera, c'è la bandiera che le si fa il saluto quando
si canta, c'è il Re e il Duce. Si fa il saluto anche a loro e si
dice Eia! Eia! Alalà!».
Oggi in Italia abbiamo
come ministro dell'istruzione una bella ragazza che risponde al nome
di Mariastella Gelmini.. La Gelmini si è detta fiera di avere
reintrodotto il sette in condotta per combattere il bullismo e,
soprattutto, si è dichiarata favorevole a reintrodurre il
grembiulino alle elementari. Fatti «minimi» solo all'apparenza.
Bisognerebbe leggere attentamente Il quaderno come umile segni di
scuola, soprattutto nelle parti in cui si racconta di come la
scuola italiana sia solo un tassello di una costruzione ideologica
ben più vasta. Stando a questa ideologia, il bambino non va mai
lasciato solo con se stesso e con la propria coscienza, ma
soprattutto non va lasciato solo nell'esercizio del proprio pensiero
critico. La scuola, le organizzazioni del tempo libero o le
associazioni giovanili lo accompagnano ovunque e gli ricordano sempre
che egli è nato e vive per servire gli ideali del Paese che
Mussolini incarna e tutela. «Il Sig. Duce Mussolini lavora anche di
notte per l'Italia insieme a sua Maestà il Re Vittorio Emanuele
III», si legge in un tema. La didattica risulta fortemente
«bonificata» dal fascismo. che impone grembiuli, sette in condotta
e tutto ciò che ne consegue. Impone, ma trascura i principi della
«scuola serena» di matrice gentiliana a tutto vantaggio
dell'asservimento all'ideologia politica corrente.
È la «bonifica»
sistematica delle «giovani italiche menti». La Storia - con la «s»
maiuscola - in questo tipo di scuola è presentata senza alcuna
attenzione alla periodizzazione o all'approfondimento, appiattita
sulla retorica della gloriosa contemporaneità fascista. «Il Governo
Fascista è molto generoso perché ha fatto delle cose buone», si
legge in un altro tema. Dai quaderni sembrerebbe che gli scolari
andassero contenti e entusiasti a scuola e nonostante l'autocensura
inevitabile, è possibile che ciò sia vero. A scuola imparavano
infatti ciò che non avrebbero potuto imparare altrove. E,
soprattutto, vi trovavano tutto ciò che a casa non potevano trovare.
All'uscita della scuola o, addirittura, prima dell'orario d'inizio,
spesso dovevano infatti andare a lavorare nei campi. Non importa se
in tutte le famiglie c'è un caduto o un mutilato: i commenti su
guerra, Patria e Governo sono inquietantemente univoci. La guerra era
inevitabile, i morti sono visti come eroi e di essi, che si sono
sacrificati per la «Patria» (anche qui, sempre con la maiuscola
d'obbligo), bisogna essere orgogliosi, perché la «Patria» sta
sopra tutto e tutti.
Da una provincia
dell'Impero
Nonostante racconti solo
di una fetta d'Italia, Il quaderno umile segno di scuola è
ricco di importanti riflessioni sull'infanzia e la scuola. Leggendolo
viene da immaginarsi quale potrebbe essere la storia parallela
dell'Italia mai raccontata, ma certamente scritta, dalle migliaia di
alunni che in oltre un secolo si sono passati il testimone sui suoi
banchi. L'unica lacuna è forse la mancanza di una comparazione tra
testi degli scolari e libri di testo, che sarebbe risultata certo
piena di ulteriori sorprese. Per esempio, si potrebbe ricordare il
bel libro I pampini bugiardi, curato da Marisa Bonazzi e
Umberto Eco, che dimostrava come anche dopo la Liberazione, negli
anni Cinquanta e Sessanta i libri di lettura alle elementari fossero
ancora pieni di retorica di stampo fascista. Gli autori dei saggi
raccolti nel volume di Genovesi sottolineano bene come, nella scuola
fascista, l'adulto fosse un'autorità onnipresente. È lui che detta
e guida i pensieri degli scolari, evitando loro di perdersi in
fantasticherie e sogni.
La grande correttezza
ortografica e sintattica di questi temi pistoiesi risulta la prova
evidente che, oltre a essere più volte ricopiati e corretti, essi
sono stati in buona parte anche largamente dettati dai docenti.
D'altronde, proprio la soppressione e limitazione di ogni creatività
e criticità sono la via regia per l'addestramento delle giovani
menti a «credere, obbedire» e, manco a dirlo, «combattere». [...]
il manifesto 8 agosto
2008
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