Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti, Roberto Roversi nella redazione di "Officina |
Il Liceo «Galvani» in
via Castiglione e il preside Chiorboli, specialista del Petrarca, con
due baffi di segno particolare, molto caratteristici. La libreria
Cappelli in via Farini, dove si andava a parlare e a cercare i libri
di poesia che si pubblicavano in giro. Da Cappelli capitava Antonio
Meluschi; dopo abbiamo conosciuto anche sua moglie, Renata Viganò.
Vivevano in una violenta ma sobria povertà per conseguenza delle
idee di cui non avevano paura, eppure erano sempre cosi liberi,
nuovi, giusti (e umani) a incontrarli, anche nella loro casa di via
Mascarella. Dunque Otello Mosetti (capo commesso alla libreria
Cappelli) con la sollecitazione di Meluschi che ci consigliava, mise
in contatto il nostro gruppetto con un uomo che vendeva e vende
ancora libri vecchi in una bottega di piazza San Domenico al numero
5. Fu in quel posto e per queste vie che Francesco Leonetti, Pier
Paolo Pasolini, Roberto Roversi, Luciano Serra pubblicarono a loro
spese i quattro libretti per i «tipi della libreria antiquaria Mario
Landi». Copertina semplice e bianca, tranne quella di Leonetti che
la scelse giallina e bordata. Poesie a Casarsa di Pasolini
hanno la data di pubblicazione del 14 luglio 1942 e si stamparono
presso l'Anonima Arti Grafiche di Piazza Calderini in 300 copie
numerate, oltre a 75 fuori commercio destinate ai critici. Il
libretto, di 48 pagine, era dedicato «A mio padre» e si apriva col
verso: «Fontane d'àghe dal mè
pais» (Fontana d'acqua del mio paese). Nella ristampa del
1954, in La meglio gioventù, anche questo verso è cambiato
così: «Fontana di aga dal me pais». Da allora non ho più rivisto
Pasolini fino al '55 quando abbiamo avviato “Officina”; dopo la
fine della rivista, nel '50, l'ho rivisto ancora quattro o cinque
volte ma negli ultimi dieci anni non l'ho più incontrato. Con questo
voglio dire che ho avuto una sincera amicizia di giovinezza con
Pasolini, anche insieme ad altri, ma che fin da allora era piuttosto
un incontro culturale che un rapporto di sentimenti; infatti entrambe
le volte, quando la tensione nel fare si allentò o fu conclusa,
ciascuno riprese la sua strada.
Non ero suo compagno di
classe; Pasolini stava con Telmon, Bignardi ed altri; al Galvani, o
intorno al Galvani, non me lo ricordo; ci si trovava più spesso a
casa sua. Abitava con la madre e il fratello in un appartamento in
via Nosadella davanti ai Sordomuti (una tipografia); e lì insieme a
un suo compagno di classe, Manzoni, recitavamo. Gli irlandesi,
soprattutto Synge: Cavalcata a mare e Il furfantello
dell'ovest; si leggeva, imparando, nella buona traduzione di
Linati. Posso dire che Pasolini era, nel fare le cose che ci
interessavano, subito bravissimo; aveva una straordinaria
tranquillità e rapidità nello scrivere che non finivano di
stupirmi; e cominciò a prevalere su di noi con la straordinaria
invenzione del dialetto colorato (come mi sembrava) cioè di una
lingua esasperata sentimentalmente ma con tanto trattenuto pudore
(una lingua abbastanza celestiale nel senso giusto) dal renderla
nuova e diversa, cioè vera e originale. Contini, che allora era in
Svizzera e ricevette il libretto, ne fu conquistato. Io la ascoltavo
come una lingua «in costume» molto aristocratica, trattenuta al
massimo grado di tensione da una sofisticazione culturale raffinata,
da renderla alla fine morbida in un ricordo allucinante.
E arrivo a un ricordo che
ho sempre tenuto vivo.
Siamo ai giardini
Margherita, seduti su un prato appena tagliato; fra lo splendore
giallo s'alza un profumo compatto, molto padano, del fieno falciato,
a cumuli, che si sta asciugando. Poca gente, solo presenze colorate
di donne e ragazze che camminano qua e là. Noi tre seduti (Leonetti,
Pasolini, io) parliamo di una rivista che vogliamo fare, che
«dobbiamo fare». Il nome già proposto è “Eredi”. Parliamo con
una leggerezza che è felicità, per una cosa finalmente importante;
per una decisione nostra che dovremo realizzare impegnandoci. Ci
sentiamo infervorati. Passa un uomo in bicicletta, è in borghese;
adagio, cerca con la testa; ha bisogno di parlare? Ci vede, si
avvicina, non sì ferma; dice a voce bassa: «Hitler ha invaso la
Russia».
E' il 22 giugno del '41 e
noi eravamo, in quel momento della nostra giovinezza fuori dal mondo.
Nota
Questa rievocazione di
P.P. Pasolini fu scritta a pochi giorni dalla sua morte e pubblicata
dal periodico friuliano «Macchie». Io l'ho ripresa da un rutaglio
del “manifesto”, senza data ma 1981 (S.L.L.).
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