Un vecchio pezzo, di un
giornalista di valore animato da una grande passione civile, una
riflessione sulla tendenza a usare la storia a fini di propaganda
senza conoscerla e studiarla, amara e attualissima. (S.L.L.)
Le dispute, attuali, sul
museo di Graziani a Filettino, o le recenti per il monumento
all'anarchico Bresci a Carrara o, se si vuole, la ridicola "querelle"
sul prototricolore, hanno almeno il merito di ricordarci il modo
italiano, e non solo italiano, di confrontarsi con la storia nel più
grossolano strumentalismo. Chi vive nel bel paese, ieri in regime
fascista ora, in democrazia, ha sempre assistito allo scempio della
storia non grata al potere politico e alla pubblica conformistica
opinione. Nell'Italia monarchica esisteva un Risorgimento tutto e
solo sabaudo, fatta eccezione per un Garibaldi ambiguo, ma
convertito, di riprovevoli e oscuri trascorsi mazziniani ma di
lodevoli "obbedisco" al trono. Insomma il Garibaldi dell'
incontro a Teano non quello delle dittature rivoluzionarie di Palermo
e di Napoli. In tale storiografia si salvava per il rotto della
cuffia il vate Giosuè Carducci che si era fatto perdonare i Ça
ira giacobini con le lodi sperticate alla regina Margherita,
allora montanara e poi filofascista. Mi è rimasto impresso nella
memoria un convegno del 40 all'Istituto storico del Risorgimento,
nella Mole Antonelliana. Presiedeva il conte Cesare Maria De Vecchi
di val Cismon: se appena uno dei relatori alludeva a qualche vaga
memoria repubblicana, si torceva nervosamente i baffi, segno
inequivocabile del suo alto dissenso. Per venti anni e passa,
intanto, il Mussolini ex socialista e giornalista compiva il
capolavoro autoritario di riservare a sé, e a sé solo, la memoria e
la polemica con l' Italia socialista, comunista, liberale e
anarchica, quanto a dire con l'intera storia del movimento operaio e
contadino. Per venti e passa anni sono apparsi sul "Popolo d'
Italia" e altri giornali di regime trafiletti firmati con
pseudonimi noti all'inclito e ignorati dal volgo, densi di ironie,
memorie, polemiche, messe a punto, reprimende su fatti e personaggi
dell'antifascismo o del prefascismo di cui i lettori ignoravano
l'esistenza e su cui, comunque, erano tenuti a tacere. Fu così che
una generazione di italiani scoprì nel 43 e magari solo nel 45 che
gli interlocutori politici del Duce giovane erano stati gli Sturzo, i
De Gasperi, i Gramsci, i Gobetti, i Togliatti, i Nenni, i Rosselli e
via dicendo. Una storia a boite a surprise: gli antichi babau,
i dimenticati, gli uccisi, gli emarginati, gli innominabili che
saltavan fuori con i loro antichi vessilli.
Poi è nata con le
migliori delle intenzioni democratiche una repubblica che ha perso il
pelo ma non il vizio di usare la storia pro domo sua facendo piazza
pulita della monarchia e rimuovendo in modo totale il fascismo. Qui
veramente l'uso strumentale della storia ha superato ogni limite ed è
stato rimozione di massa, condivisa dall'intera nazione:
quarantacinque milioni di italiani hanno dimenticato o finto di
dimenticare da un giorno all'altro di essere stati non dico fascisti,
perché cosa fosse mai un fascista nel secondo decennio del regime
non lo sapeva neppure Mussolini, ma di essere stati cittadini e
complici o compagni di strada di un sistema autoritario: c'è voluta
l'immane fatica di De Felice, naturalmente avversata e criticata
dalla storiografia conformista antifascista, per aprire la strada
alla riscoperta del fascismo. E della monarchia, oggi? Assistiamo a
schizofrenie penose, alle celebrazioni dei ragazzi del 99 pur che non
si ricordi che morivano sul Piave anche "per il re e i suoi
reali successori". Se Piero Gobetti ha scritto il Risorgimento
senza eroi, la Repubblica ha risposto con un Risorgimento senza
re. Non fosse capitato dalle nostre parti lo storico inglese Mack
Smith - altro snobbato dalla storiografia conformista - non avremmo
una biografia di Vittorio Emanuele II. E siamo tuttora privi di una
biografia di Garibaldi "scientifica" sorretta cioè da
profonda ricerca storica che possa reggere il confronto con il Cavour
di Rosario Romeo. Di Carlo Cattaneo, il protagonista più
intelligente del Risorgimento, si sa poco più di niente, e così di
Giuseppe Mazzini per non parlare degli anarchici Malatesta,
Kropotkin, Costa, Cafiero. Il movimento anarchico è il vero capro
espiatorio dell' uso strumentale della storia: avverso a tutti i
vincenti, dunque da tutti pestato e dimenticato. Qui si vedono gli
effetti striscianti dell'uso strumentale, anche oggi sulla Treccani,
alla voce anarchia, si trovano tre righe sull'anarchismo italiano:
due dedicate ai suoi atti terroristici e una per dire che non è
sopravvissuto al fascismo. E si tratta del movimento politico sociale
e culturale che nei primi trent' anni dell' Unità italiana ha
suscitato e diretto l' opposizione extraparlamentare, che ha fatto da
levatrice al socialismo.
Così accade che
riferimenti a questa nostra vaga memoria nazionale cadano, come la
recente polemica sul Mazzini-Arafat, in un vuoto storico. Craxi e
Spadolini disputano su un terrorismo politico, quello di Mazzini,
prima epurato dal conformismo monarchico, poi da quello repubblicano.
Anche nella polemica sul museo a Graziani sopravvive lo
strumentalismo politico, con gli antifascisti preoccupati che nel
museo di Filettino venga debitamente ricordato il Graziani "cattivo"
o "feroce" del colonialismo e della guerra civile. Come se
l'ottica storica fosse etica, come se essa dovesse ridimensionare i
Tiberio, i Tamerlano, i Torquemada, i Napoleone, gli Hitler, gli
Stalin in quanto cattivi o feroci o autoritari. Compito della storia
e dei musei storici seri è un altro; collocare i personaggi e i
fatti nel loro giusto contesto. Per Graziani, per esempio,
testimoniano che fu generale da guerre coloniali impari, non molto
diverso dai generali francesi o inglesi che facevano a pezzi i
disarmati o inesperti; e un sopravvissuto, anche confesso, nella
guerra industriale, anzi forse il solo generale sopravvissuto che
abbia gettato la spugna ancor prima di essere rimosso: "Duce -
scriveva l'otto febbraio del 41 dopo la perdita della Cirenaica - gli
avvenimenti hanno fortemente depresso i miei nervi e le mie forze
tanto da non consentirmi di tenere il comando nella pienezza delle
mie facoltà. Vi chiedo pertanto di essere richiamato e sostituito".
Ma a parte ogni disquisizione sulla storiografia monumentale,
museale, critica o volgarizzata, si vorrebbe ricordare a un governo
che ha per presidente un garibaldinologo come Craxi e alla Difesa,
uno storico cattedratico come Giovanni Spadolini, se non sarebbe il
caso di promuovere, che so, un comitato, un consiglio, un seminario
di storici che per prima cosa disegnasse una mappa della storiografia
dell' Italia unita, segnando in ombra o in nero fondo le storie dei
vinti o dei ripudiati che i concittadini ignorano.
“la Repubblica”, 8
gennaio 1986
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