5.8.16

Bresci l' anarchico Graziani il fascista... (Giorgio Bocca)

Un vecchio pezzo, di un giornalista di valore animato da una grande passione civile, una riflessione sulla tendenza a usare la storia a fini di propaganda senza conoscerla e studiarla, amara e attualissima. (S.L.L.)

Le dispute, attuali, sul museo di Graziani a Filettino, o le recenti per il monumento all'anarchico Bresci a Carrara o, se si vuole, la ridicola "querelle" sul prototricolore, hanno almeno il merito di ricordarci il modo italiano, e non solo italiano, di confrontarsi con la storia nel più grossolano strumentalismo. Chi vive nel bel paese, ieri in regime fascista ora, in democrazia, ha sempre assistito allo scempio della storia non grata al potere politico e alla pubblica conformistica opinione. Nell'Italia monarchica esisteva un Risorgimento tutto e solo sabaudo, fatta eccezione per un Garibaldi ambiguo, ma convertito, di riprovevoli e oscuri trascorsi mazziniani ma di lodevoli "obbedisco" al trono. Insomma il Garibaldi dell' incontro a Teano non quello delle dittature rivoluzionarie di Palermo e di Napoli. In tale storiografia si salvava per il rotto della cuffia il vate Giosuè Carducci che si era fatto perdonare i Ça ira giacobini con le lodi sperticate alla regina Margherita, allora montanara e poi filofascista. Mi è rimasto impresso nella memoria un convegno del 40 all'Istituto storico del Risorgimento, nella Mole Antonelliana. Presiedeva il conte Cesare Maria De Vecchi di val Cismon: se appena uno dei relatori alludeva a qualche vaga memoria repubblicana, si torceva nervosamente i baffi, segno inequivocabile del suo alto dissenso. Per venti anni e passa, intanto, il Mussolini ex socialista e giornalista compiva il capolavoro autoritario di riservare a sé, e a sé solo, la memoria e la polemica con l' Italia socialista, comunista, liberale e anarchica, quanto a dire con l'intera storia del movimento operaio e contadino. Per venti e passa anni sono apparsi sul "Popolo d' Italia" e altri giornali di regime trafiletti firmati con pseudonimi noti all'inclito e ignorati dal volgo, densi di ironie, memorie, polemiche, messe a punto, reprimende su fatti e personaggi dell'antifascismo o del prefascismo di cui i lettori ignoravano l'esistenza e su cui, comunque, erano tenuti a tacere. Fu così che una generazione di italiani scoprì nel 43 e magari solo nel 45 che gli interlocutori politici del Duce giovane erano stati gli Sturzo, i De Gasperi, i Gramsci, i Gobetti, i Togliatti, i Nenni, i Rosselli e via dicendo. Una storia a boite a surprise: gli antichi babau, i dimenticati, gli uccisi, gli emarginati, gli innominabili che saltavan fuori con i loro antichi vessilli.
Poi è nata con le migliori delle intenzioni democratiche una repubblica che ha perso il pelo ma non il vizio di usare la storia pro domo sua facendo piazza pulita della monarchia e rimuovendo in modo totale il fascismo. Qui veramente l'uso strumentale della storia ha superato ogni limite ed è stato rimozione di massa, condivisa dall'intera nazione: quarantacinque milioni di italiani hanno dimenticato o finto di dimenticare da un giorno all'altro di essere stati non dico fascisti, perché cosa fosse mai un fascista nel secondo decennio del regime non lo sapeva neppure Mussolini, ma di essere stati cittadini e complici o compagni di strada di un sistema autoritario: c'è voluta l'immane fatica di De Felice, naturalmente avversata e criticata dalla storiografia conformista antifascista, per aprire la strada alla riscoperta del fascismo. E della monarchia, oggi? Assistiamo a schizofrenie penose, alle celebrazioni dei ragazzi del 99 pur che non si ricordi che morivano sul Piave anche "per il re e i suoi reali successori". Se Piero Gobetti ha scritto il Risorgimento senza eroi, la Repubblica ha risposto con un Risorgimento senza re. Non fosse capitato dalle nostre parti lo storico inglese Mack Smith - altro snobbato dalla storiografia conformista - non avremmo una biografia di Vittorio Emanuele II. E siamo tuttora privi di una biografia di Garibaldi "scientifica" sorretta cioè da profonda ricerca storica che possa reggere il confronto con il Cavour di Rosario Romeo. Di Carlo Cattaneo, il protagonista più intelligente del Risorgimento, si sa poco più di niente, e così di Giuseppe Mazzini per non parlare degli anarchici Malatesta, Kropotkin, Costa, Cafiero. Il movimento anarchico è il vero capro espiatorio dell' uso strumentale della storia: avverso a tutti i vincenti, dunque da tutti pestato e dimenticato. Qui si vedono gli effetti striscianti dell'uso strumentale, anche oggi sulla Treccani, alla voce anarchia, si trovano tre righe sull'anarchismo italiano: due dedicate ai suoi atti terroristici e una per dire che non è sopravvissuto al fascismo. E si tratta del movimento politico sociale e culturale che nei primi trent' anni dell' Unità italiana ha suscitato e diretto l' opposizione extraparlamentare, che ha fatto da levatrice al socialismo.
Così accade che riferimenti a questa nostra vaga memoria nazionale cadano, come la recente polemica sul Mazzini-Arafat, in un vuoto storico. Craxi e Spadolini disputano su un terrorismo politico, quello di Mazzini, prima epurato dal conformismo monarchico, poi da quello repubblicano. Anche nella polemica sul museo a Graziani sopravvive lo strumentalismo politico, con gli antifascisti preoccupati che nel museo di Filettino venga debitamente ricordato il Graziani "cattivo" o "feroce" del colonialismo e della guerra civile. Come se l'ottica storica fosse etica, come se essa dovesse ridimensionare i Tiberio, i Tamerlano, i Torquemada, i Napoleone, gli Hitler, gli Stalin in quanto cattivi o feroci o autoritari. Compito della storia e dei musei storici seri è un altro; collocare i personaggi e i fatti nel loro giusto contesto. Per Graziani, per esempio, testimoniano che fu generale da guerre coloniali impari, non molto diverso dai generali francesi o inglesi che facevano a pezzi i disarmati o inesperti; e un sopravvissuto, anche confesso, nella guerra industriale, anzi forse il solo generale sopravvissuto che abbia gettato la spugna ancor prima di essere rimosso: "Duce - scriveva l'otto febbraio del 41 dopo la perdita della Cirenaica - gli avvenimenti hanno fortemente depresso i miei nervi e le mie forze tanto da non consentirmi di tenere il comando nella pienezza delle mie facoltà. Vi chiedo pertanto di essere richiamato e sostituito". Ma a parte ogni disquisizione sulla storiografia monumentale, museale, critica o volgarizzata, si vorrebbe ricordare a un governo che ha per presidente un garibaldinologo come Craxi e alla Difesa, uno storico cattedratico come Giovanni Spadolini, se non sarebbe il caso di promuovere, che so, un comitato, un consiglio, un seminario di storici che per prima cosa disegnasse una mappa della storiografia dell' Italia unita, segnando in ombra o in nero fondo le storie dei vinti o dei ripudiati che i concittadini ignorano.


“la Repubblica”, 8 gennaio 1986  

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