Il santuario della
Madonna dell'Arco è un edificio religioso sito nel territorio
comunale di Sant'Anastasia sulle pendici del Vesuvio. Ogni Pasquetta
è meta del tradizionale pellegrinaggio dei fujenti (o battenti) che
accorrono numerosi da tutta la Campania. I fujenti sono soliti
accompagnare il loro pellegrinaggio con una melodia vocale molto
antica, forse risalente al tempo del miracolo che diede origine al
culto, il sanguinamento di un'immagine della Madonna, offesa per
essere stata danneggiata ad opera di due giocatori che - bestemmiando
alla grande – giocavano a palla nel sito. Al gran pellegrinaggio
vengono condotte in processione statue di Madonne assise nei loro
seggi (torselli) e seguite da scenografici cortei (paranze). Pubblico
qui un'appassionata descrizione del rito tratta da un libro di Giovanni
Vacca e ripresa dal suo sito (http://giovannivacca.it/) . (S.L.L.)
…Fenomeni simili, un
tempo assai diffusi, si sono oggi fortemente ridotti con forse una
sola, significativa, eccezione, il culto della Madonna dell’Arco
che tuttora si celebra nella omonima località in provincia di
Napoli, ogni lunedì in Albis, nel santuario frequentato in gran
parte dal sottoproletariato e dal proletariato marginale dell’area
napoletana: una Madonna severa e vendicativa che non ha esitato,
nelle leggende che la riguardano, a punire duramente coloro che le
avevano mancato di rispetto. Chi si reca in quella data al santuario
non può non essere scosso dalla tensione che vi si respira. Una
fiumana di pellegrini vestiti, cani randagi stesi sul sagrato, odori
che sembrano avere corpo e volume. E in alto, tra le bancarelle,
seguendo con lo sguardo la strada che porta alla stazione
ferroviaria, gruppi di danzatori scatenati che ballano al suono di
flauti e tamburi. di bianco, organizzati per gruppi, attende di
varcare la soglia della chiesa; uomini e donne, senza distinzione di
età e spesso scalzi, a frotte raggiungono l’altare per ottenere
una grazia camminando in ginocchio o strisciando velocemente per
terra in ordine sparso, proprio come dei serpenti liberati da un
cesto; bandiere con l’immagine della Madonna, ceri e gigantesche
costruzioni votive che avanzano in un silenzio irreale rotto solo da
canti melismatici intonati a voce altissima, dal fruscio dei vestiti
e dal sibilo delle scarpe di gomma sul pavimento; e poi
all’improvviso l’esplosione, l’urlo, la crisi, l’invocazione
della grazia da parte di qualcuno che cade rigidamente sulle spalle
scalciando con violenza fino allo svenimento, e quindi l’accorrere
dei volontari del servizio d’ordine per trascinarlo fuori e farlo
riprendere. Intanto la crisi come una scossa elettrica, un lampo,
un’onda di energia, si propaga ad altri penitenti. E ancora cadute,
grida, svenimenti e pianti, tentativi di scavalcare le barriere e
gettarsi sull’altare per raggiungere l’immagine della Vergine. E
sempre più padri domenicani e volontari che intervengono serrando le
fila con forza, in una ridda di braccia e gambe, di voci che si
sovrappongono, di muscoli tesi, di facce stravolte, con una folla che
si accalca nelle navate laterali, premendo dietro le transenne, e che
litiga per ottenere un posto in prima fila. E poi la calma, l’uscita
dei devoti alle spalle dell’altare per la consegna di soldi, ceri e
fiori in omaggio alla Madonna e un nuovo gruppo che entra lento, come
quello precedente.
Fino a che qualcuno, prima o poi, sorprendendo
tutti, non ricominci, in uno spazio indifferente ad ogni ordine
geometrico perché la crisi può manifestarsi in qualsiasi punto
della navata percorsa dai devoti e propagarsi in qualsiasi altro
punto, in maniera imprevedibile. E tutto questo per ore e ore,
dall’alba al tramonto fino a perdere la percezione del tempo come
in un sogno, e ad abituarsi al rito, alla vista dei fujenti che
sembrano non finire mai. E fuori, sotto al sole, un paesaggio
surreale: una strada statale completamente intasata, bloccata dalle
lunghe code di chi deve ancora entrare, carabinieri vicino a delle
sbarre di ferro che controllano il flusso dei pellegrini, toselli
che ondeggiano sui ritmi delle bande musicali delle varie paranze.
Tutto, in questo rito, si
pone sotto il segno dell’eccesso, della potenza, della violenza del
sacro, dando una forte espressione alla memoria di un sud che in riti
arcaici trova la sola possibilità di resistere a vecchi e nuovi
malesseri, un sud sofferente.
Da Nel corpo della
tradizione, Squilibri, 2004
Le immagini sono tratte dal sito del santuario
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