Appassiona questa storia
del "burkini" proibito in alcune spiagge francese come
segno di "ostentazione religiosa" e produce polemiche e
spiritosaggini. A me sembra che la vicenda sia utile a chiarire
qualche equivoco.
Nel tradizionale laicismo
alla francese codeste ostentazioni, che includono i crocefissi alle
pareti, sono vietate negli uffici pubblici come scuole o aule di
giustizia; sono documentati i divieti a vescovi di presentarsi negli
uffici pubblici con i segni della loro carica, mitre o pastorali, ma
- immagino - non si è mai vietato di rendere una testimonianza in
tribunale alla monaca velata o al frate minore in saio e sandali. Si
sono - credo saggiamente - considerate queste divise una scelta di
abbigliamento personale non soggetta ad obblighi e non già una
"ostentazione". Questi divieti comunque non hanno mai
riguardato spazi aperti come strade, piazze e spiagge.
A me sembra pertanto che
le ordinanze in questione violino le libertà personali con codesta
estensione del divieto e siano del tutto inefficaci contro il burkini
sulle spiagge e in mare. Il burkini non è "ostentazione
religiosa", come non lo sono il saio del francescano o il velo
della monaca quando costoro passeggiano in spiaggia. Proibire l'uno e
non gli altri rivelerebbe il carattere discriminatorio e razzistico
del divieto.
Ho visto che una
giornalista intelligente come Lorella Zanardo, autrice qualche anno
fa di un eccellente documentario sulla strumentalizzazione del corpo
delle donne, condivide quelle ordinanze come risposta all'oppressione
simbolica e pratica (la sperimentata scomodità) che attraverso il
burkini si esercita sul corpo femminile. È molto probabile che su
questo carattere oppressivo non si sbagli, che il burkini significhi
la subordinazione della donna connessa al potere religioso di tipo
islamico. Le credenze religiose strutturate in potere, specie nelle
religioni monoteistiche, producono spesso subordinazione ed
oppressione; e spesso la sottomissione si esprime simbolicamente
attraverso divieti ed esclusioni. Ma la liberazione da queste forme
di oppressione non procede mai per legge o per ordinanza, è sempre
frutto di percorsi individuali. La polemica e la battaglia culturale
contro le credenze, le superstizioni, le obbligazioni caratteristiche
delle religioni istituzionalizzate, a mio avviso, non è solo
legittima, è anche necessaria; ma ordinanze autoritarie come quelle
di cui si ragiona, oltre ad avere un malcelato sottofondo razzistico,
non aiutano a costruire libertà, piuttosto ribadiscono
l'oppressione. Il divieto di accesso alle spiagge e alla balneazione
con il burkini toglierebbe alle donne che oggi lo indossano una
opportunità fondativa di libertà e di responsabilità personale:
quella di togliersi e buttare via l'indumento a conclusione di un
processo che investe le loro coscienze, quella di poter scegliere il
bikini, il topless e perfino il nudismo, se piace. Ma da sé, senza
bisogno di ordinanze, senza nuovi obblighi o divieti.
Poscritto
Burquini o
burkini? La parola è un neologismo composto: deriva da burqa
e da bikini. Fino all'affermarsi ed al consolidarsi di una
delle due, le forme in uso sono ugualmente accettabili. Io preferisco
la versione col kappa, ripreso del celebre atollo: dato il carattere
sempre più esplosivo della questione, burkini mi pare più
adatto.
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