Nel partito socialista
Giacomo Matteotti fu tra i più intransigenti oppositori della guerra
imperialista, contestando le retoriche patriottiche dietro cui si
nascondevano gli interessi delle borghesie europee e, anche dopo il
24 maggio del 1915, non interpretò il “né aderire né sabotare”
come accettazione passiva della guerra in atto.
Egli riteneva infatti che
un “buon riformista”, di fronte al “maggiore male”
rappresentato dalla guerra, potesse e dovesse fare appello
all'insurrezione popolare. Denunciato e condannato per “grida
sediziose” e “disfattismo”, dopo un breve soggiorno in carcere
venne richiamato alle armi, benché in precedenza fosse stato
riformato. Lo scopo era quello di bloccarne l'iniziativa politica
attraverso gli obblighi inerenti alla condizione di coscritto, ma fu
mandato, ai servizi sedentari, il più lontano possibile dal fronte,
nei pressi di Messina, per impedire un'opera di agitazione fra le
truppe.
Nato nel Polesine veneto
Matteotti si era laureato a Bologna nel 1907, quando aveva 22 anni.
Dopo la laurea si era prospettata per lui una carriera universitaria,
ma aveva prevalso la passione politica. I tre anni di forzato
soggiorno in Sicilia fecero rinascere in lui l'interesse per gli
studi giuridici, ma quando fu congedato, nel 1919, si era in pieno
“biennio rosso” e dalle sue parti era in corso una forte
agitazione contadina. Matteotti vi contribuì con un ruolo di
organizzatore e dirigente politico e grazie alla sua opera il PSI
conobbe un vero trionfo: nelle elezioni amministrative del 1920
conquistò tutti i 63 comuni della provincia di Rovigo.
Il testo che segue è tratto da una memoria sull'avvento del fascismo ad Acireale, pubblicata per la prima volta nel 1963 e rilanciata dal sito “Biblioteca di Gino Bianco”. Incidentalmente contiene una testimonianza sulla presenza di Giacomo Matteotti in Sicilia negli anni della Grande Guerra. Ho stralciato il brano che la contiene e che qui propongo. (S.L.L.)
Il testo che segue è tratto da una memoria sull'avvento del fascismo ad Acireale, pubblicata per la prima volta nel 1963 e rilanciata dal sito “Biblioteca di Gino Bianco”. Incidentalmente contiene una testimonianza sulla presenza di Giacomo Matteotti in Sicilia negli anni della Grande Guerra. Ho stralciato il brano che la contiene e che qui propongo. (S.L.L.)
Quando si lesse sul giornale che i
fascisti avevano ucciso un deputato socialista che non voleva star
zitto, un certo Matteotti, la notizia non fece grande impressione.
Quello del deputato è un mestiere come un altro, e per qualsiasi
mestiere bisogna saper stare al mondo, cioè tenere la lingua a posto
e non prendere di petto chi è più grosso di noi; se a quel
Matteotti era capitato un guaio, colpa sua. Per di più era uno di
quei socialisti che organizzavano gli scioperi, perciò avrebbe
dovuto ringraziare i fascisti che lo lasciavano campare, invece di
provare di nuovo a mettere disordine. Non si capiva perché nel
continente facessero tanto chiasso per un morto. Questo giudizio non
cambiò quando una sera venne al Fascio mio zio Sebastiano, che non
ci metteva mai piede perché era sposato di fresco, per raccontare
che Matteotti era stato sotto le armi con lui al tempo della guerra,
nella batteria da fortezza di Monte Gallo sopra Messina. Quello era
un posto da imboscati e figli di papà, Matteotti non aveva nemmeno
la forza per le manovre ai pezzi da 280 e gli ufficiali dicevano che
il governo ce lo aveva mandato da soldato semplice per levarselo dai
piedi, perché a lasciarlo in giro o a mandarlo al fronte era capace
di mettersi a fare propaganda contro la guerra. Si era portato
appresso una cassa di libri e stava a leggere tutto il giorno, perché
i superiori gli lasciavano fare il comodo suo. Lui non dava
seccature, era gentile con tutti senza dare confidenza a nessuno, né
a ufficiali né a soldati, non parlava mai di politica e regalava
soldi di nascosto ai compagni più poveri. Un vero signore, da
sembrare impossibile che fosse un socialista.
Gli ascoltatori osservarono che se
Matteotti fosse rimasto zitto a Roma come faceva a Monte Gallo non
gli sarebbe successo niente. Uno lo paragonò a quel medico di
Giarre, socialista anche lui, che si era intestardito a dire di non
voler cambiare idea neanche se lo avessero bastonato. Di quel medico
non si poteva dire male perché era un gran galantuomo, curava i
poveri senza farsi pagare e non aveva mai voluto fare il consigliere
comunale, soltanto era diventato un po’ matto a forza di stare fra
i libri. Nessuno lo aveva mai toccato con un dito, ma se si fosse
messo a predicare in piazza invece di sfogarsi con gli amici e i
clienti, certo i fascisti sarebbero stati costretti a muoversi.
Insomma, Matteotti l’aveva proprio voluta.
Da "Tempo presente", anno VIII n.1 gennaio 1963, ora nel sito "Biblioteca di Gino Bianco"
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