Un paio di anni fa
Vittorio Emiliani, allora presidente di un Comitato per la bellezza
intorno al quale non ho notizie recenti, pubblicò su “Left” uno
stupidario dei beni culturali: luoghi comuni e ipocrisie abusate da
coloro che dietro un fantomatico amore per la cultura e il patrimonio
storico-artistico nascondono difetti, vizi e intenzioni assai
pericolose. Credo che sia da conservare e tenere sempre a portata di
mano, magari aggiornandolo. (S.L.L.)
La cosiddeta "Venere di Morgantina" nel Museo Archeologico di Aidone |
“La stupidità ha
fatto progressi enormi, ha ridicolizzato il buonsenso e spande il
terrore intorno a sé”. Così Ennio Flaiano nel 1969. Da allora la
stupidità è progredita ancor più nel Belpaese, insieme
all’analfabetismo di ritorno, specie nel campo della cultura
dell’arte e del paesaggio. Questo “Stupidario” è soltanto un
primo ironico cantiere dei luoghi comuni, delle frasi fatte, delle
sciocchezze demenziali e arroganti che si dicono e che si vogliono
attuare. Per smantellare, in realtà, la tutela residua dei beni
culturali e ambientali, intimidendo le Soprintendenze, accusandole di
ogni nefandezza burocratica, col fine (chiamali stupidi) di favorire
l’ingresso dei privati ovunque vi siano profitti da rastrellare. Lo
Stato, i Comuni, le comunità locali, i cittadini insomma, ci mettono
i beni culturali e ambientali di tutti e i privati di turno li
gestiscono profittevolmente. Alla fine di un nefasto ventennio sono
portato a credere che il taglio feroce inferto al bilancio dei Beni
Culturali soprattutto dopo il 2001 (-60% rispetto al bilancio dello
Stato) non sia frutto soltanto di incultura, ignoranza, cialtroneria,
ma obbedisca a questo disegno di dimostrare che la mano pubblica,
costretta a mendicare, non ce la fa più e quindi devono subentrare i
privati. Sale sempre più alto il grido: “Aridàtece Bottai!” (o
almeno Spadolini, Biasini…). Mentre il Belpaese sprofonda
nell’asfalto e nel cemento. Ieri accusavamo Silvio Berlusconi, ed
ora che rischia di andare persino peggio?
1) “I beni culturali
sono il nostro petrolio, sono i nostri giacimenti di oro nero”.
E’ una solenne scemenza
la cui paternità risale ad un ministro dc dei Beni Culturali, Mario
Pedini (anni di grazia 1976-78) : il petrolio oltre tutto inquina
acqua e aria, corrode i monumenti, ecc. E poi finisce, mentre il
patrimonio storico-artistico, se ben tenuto, non ha fine. La cultura
e i suoi beni sono un valore “in sé e per sé”, non perché
hanno una resa economica. Il turismo, a cominciare da quello
culturale, può, deve rendere. Ma va riorganizzato a fondo.
2) “Bisogna mettere
a reddito i nostri beni culturali, cavarne profitti, insomma farli
fruttare”.
Altra pericolosa
stupidaggine. La più pericolosa, forse. Messa in giro anche “a
sinistra”, dissennatamente. Se diamo ai beni culturali un valore
economico, creiamo una gerarchia fra quelli che fruttano profitti e
quelli che invece no, e dei secondi, che ne facciamo? Per esempio, le
biblioteche, le buttiamo? Le lasciamo deperire o marcire? Le vendiamo
agli americani o ai cinesi?
3) “L’Italia
possiede il 40, 50, forse il 70 % dei beni culturali del mondo”.
E’ una balla
gigantesca. Non l’ha mai detto nessuno. Tantomeno l’Unesco che
smentisce seccamente di averlo in alcun caso dichiarato o stimato.
Abbiamo, questo sì, un patrimonio sterminato e spendiamo pochissimo
per conservarlo. Cinque volte meno della Francia e anche della
Spagna. Grande patrimonio=Misera spesa.
4) “I musei
italiani, i siti archeologici, i monumenti hanno bisogno di manager
come noi del pane”.
Macché, hanno bisogno
anzitutto di riavere dei finanziamenti decenti e poi di specialisti
tecnico-scientifici: storici dell’arte, archeologi, restauratori,
didatti, ecc. Che mancano, in tutti i settori. Fra un po’, con
altri pensionamenti, non ci saranno più. Già chiudiamo i musei
piccoli o medi, e buttiamo la chiave. Non possiamo neppure cederli ai
privati perché “non rendono”.
5) “E’
incredibile: agli Uffizi entrano meno di 2 milioni di visitatori e al
Louvre, invece, quasi 9 milioni”.
Ma che sonora
stupidaggine: il Louvre ha una superficie 30 volte più grande degli
Uffizi. I nostri antichi palazzi - dagli Uffizi alla Reggia di
Capodimonte, dalla Galleria Alessandro Borghese al Palazzo Ducale di
Venezia - non sono propriamente gonfiabili
6) “I musei
stranieri sono “macchine da soldi”, fanno dei bei profitti”.
Non è vero: al Louvre i
costi, pur con l’imponente numero di visitatori paganti e con un
apparato di servizi aggiuntivi da centro commerciale, sono tuttora il
doppio, all’incirca, delle entrate, idem al Metropolitan di New
York. Il disavanzo annuale viene coperto da sussidi statali, federali
o donazioni. Quanto ai grandi musei inglesi, sono a ingresso
gratuito…Si paga soltanto quando ci sono mostre.
7) “E poi, cosa sono
tutti questi piccoli Musei, nei borghi, nei paesi, che non incassano
quasi niente…Ma cosa aspettiamo ancora ad accorparli?”.
A parte il costo di
accorpare in un solo Museo dieci-venti-trenta piccoli Musei, a parte
trovare la localizzazione più idonea, vi immaginate la guerra civile
che si scatenerebbe a Morgantina dove c’è la famosa Venere,
piuttosto che a Sarsina dove c’è la più bella tomba romana a
edicola? Forse si fa prima a renderli gratuiti abbassando il costo di
gestione e aumentando il turismo, cioè l’indotto. Ma poi, avete
per caso sentito parlare qualche volta delle mille e mille identità
italiane?
8) “Le
Soprintendenze ai Beni architettonici “bloccano la modernità”,
dicono sempre e soltanto di no”.
È una vecchia solfa,
rinfrescata a Firenze, ed ora a Roma, da Matteo Renzi. Bloccano,
quando ne hanno i mezzi (e il coraggio), gli speculatori, i
lottizzatori, i palazzinari, i ristrutturatori disinvolti…Purtroppo
il personale è così scarso che ogni tecnico di queste
Soprintendenze dovrebbe sbrigare 4-5 pratiche complesse per giorno
lavorativo. A Milano addirittura 79 pratiche ognuno al giorno. Una
follia. Così bloccano sempre meno assalti al paesaggio e ai centri
storici. E poi, con la campagna di intimidazione in atto, non ci
vedono più nemmeno molto bene.
9) “Dobbiamo
coinvolgere i privati, anzi delegare ai privati anche la gestione dei
nostri beni culturali”.
In realtà i privati nei
Beni culturali ci sono già, per esempio le società che gestiscono
(in prorogatio da un quinquennio!) i servizi museali
aggiuntivi beccandosi dei bei soldi, mentre ai musei vanno gli
spiccioli. Quanto ai privati che fanno i “mecenati” in Italia
(investendo cioè senza chiedere “ritorni” di sorta) ce ne sono
pochissimi: un americano ad Ercolano e un gruppo giapponese per la
Piramide Cestia a Roma. E anche gli sponsor importanti si contano e
sono spesso gli Enti di Stato. Negli Usa i privati mettono soldi,
qui, gestendo direttamente, ambiscono a prenderne.
10) “Non
mummifichiamo o non museizziamo a forza di vincoli e di limiti i
nostri centri storici, animiamoli, facciamoli vivere!”.
E’ la classica
ipocrisia, in realtà si vogliono creare tante Disneyland” diurne e
tanti “divertimentifici” notturni senza più quei rompiscatole
degli abitanti residui e delle loro famiglie che vorrebbero poter
dormire di notte e vivere in modo normale di giorno. Quando non ci
sarà più controllo sociale, criminalità grande e piccola, spaccio
di droga e altre attività illegali la faranno da padrone.
11) “Bisogna
rianimare, sbloccare l’edilizia, costruire nuove case, nuovi
quartieri”.
Sbagliato. In Italia
abbiamo costruito circa 150 milioni di vani, nelle grandi città ci
sono decine e decine di migliaia di alloggi (a Roma 150 mila) e di
uffici nuovi (a Milano 900mila metri quadrati), invenduti o sfitti.
Bisogna concentrare gli sforzi nel recupero e nel riuso del
patrimonio esistente, spesso degradato. E valorizzare, come in
Germania e Francia, l’affitto nelle sue varie forme. Da noi si
impiccano per la vita ad un mutuo decine di migliaia di giovani
coppie.
12) “Ci sono tanti,
troppi vincoli paesaggisti, ambientali, idrogeologici. Bisogna
ridurre, semplificare”.
Una pazzia. Se il
territorio italiano non fosse vincolato per quasi la metà, sarebbe
già stato ancor più cementificato e asfaltato di quanto già non
sia. Le Regioni, a parte la Toscana, non stanno portando
all’approvazione i piani paesaggistici redatti col Ministero. Molte
hanno lasciato già cadere nel nulla la legge Galasso del 1985 ed ora
ignorano il Codice per il paesaggio. Il Comune più
“impermeabilizzato”? Napoli, con quasi il 62% di asfalto e
cemento, seguita a ruota da Milano. La Lombardia è oltre il 10 %, il
doppio della Germania.
13) “Naturalmente ci
sono soprintendenti e associazioni che sono i nostri Talebani della
conservazione, della tutela. Quelli che dicono sempre e comunque di
no”.
Così si espresse,
all’incirca, anni fa, appena insediato, il neo-presidente del
Consiglio Superiore dei Beni culturali (nominato da Sandro Bondi, il
ministro che più tagliò finanziamenti al MiBAC, al posto del
dimissionario Salvatore Settis), l’archeologo Andrea Carandini, che
pure era stato uno di “Italia Nostra”, secoli prima. L’accusa
“siete dei Talebani della conservazione” ha avuto e continua ad
avere successo. Basta guardarsi in giro per capire che l’accusa è
ridicola, per non dire di peggio. Tanto più che i Talebani non hanno
conservato un bel nulla in Afganistan, ma semmai distrutto le antiche
memorie non islamiche, come le due imponenti statue rupestri dei
Buddha di Bamiyan. Una sciocchezza al quadrato dunque.
14) “Bisogna che
l’Italia sfrutti finalmente meglio il grande potenziale economico
dei Parchi, occorre allentare i vincoli sulla caccia, farla
controllare dalle stesse associazioni venatorie, inserire cavatori,
gestori di ski-lift e agricoltori nei consigli di amministrazione,
attrezzare i parchi per le attività di svago di massa, consentire
magari le pale eoliche nei pressi”.
Non sono mie invenzioni
bensì alcuni dei punti essenziali, s/qualificanti, della nuova legge
sui Parchi destinata a sostituire la gloriosa legge-quadro
Ceruti-Cederna del ’91. Del resto, un ex presidente dei cacciatori
è già stato nominato l’anno scorso presidente delle Foreste
Casentinesi. Altro che “polmoni” incontaminati del Paese. “Addio
monti sorgenti dalle acque, cime ineguali…”
15) “Io il Ministero
per i Beni e le Attività Culturali lo butterei…e darei tutto al
Ministero dell’Economia”.
E' il gran finale,
ragazzi. Anzi, la soluzione finale: un unico pacco di beni culturali
e turismo, con tanto privato dentro e una spruzzo di tutela (quanto
basta) trasferito in blocco all’economia e allo sviluppo. La frase,
testuale, è di qualche anno fa ed appartiene alla responsabile
Cultura della Confindustria, Maria Grazia Asproni (una veggente),
pronunciata ad un convegno pubblico al Teatro Argentina di Roma.
“Left”, 7 giugno 2014
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