Cerimoniale delle
udienze reali
Non c’è argomento
tanto vano da non meritare un posto in questa rapsodia. Secondo le
nostre comuni regole, sarebbe una notevole scortesia, nei
riguardi d’un vostro
pari e più nei riguardi d’un grande, non farvi trovare in casa
quando egli vi avesse avvertito di dovervi venire. Anzi, aggiungeva a
questo proposito Margherita, regina di Navarra, sarebbe inurbanità
da parte di un gentiluomo uscir di casa, come per lo più si fa, per
andar incontro a colui che lo viene a trovare, per grande ch’egli
sia; ed è più rispettoso e cortese attenderlo, per riceverlo, non
fosse che per timore di sbagliare strada; ed è sufficiente
accompagnarlo alla sua partenza.
Quanto a me, dimentico
spesso l’uno e l’altro di questi vani doveri, perché in casa mia
abolisco ogni cerimonia. Qualcuno se ne offende: che posso farci? È
meglio che offenda lui per una volta, piuttosto che offender me tutti
i giorni; sarebbe una continua soggezione. A che scopo si fugge la
servitù delle corti, se la si trascina fin nella propria tana?
È pure una regola comune
in tutte le assemblee, che tocchi ai meno elevati di grado trovarsi
per primi al convegno, mentre ai più elevati si conviene piuttosto
farsi attendere. Tuttavia nell’incontro di papa Clemente e del re
Francesco che fu preparato a Marsiglia, il re, dopo aver ordinato i
preparativi necessari, si allontanò dalla città e dètte al papa
due o tre giorni di tempo per entrare e per riposarsi, prima di
andare a fargli visita. E allo stesso modo anche in occasione della
venuta del papa e dell’imperatore a Bologna, l’imperatore dètte
modo al papa di arrivarvi per primo, e vi giunse dopo di lui. Dicono
che sia un cerimoniale abituale, negli abboccamenti di tali principi,
che il più grande arrivi prima degli altri al luogo fissato, magari
prima di colui presso il quale avviene il colloquio; e l’intendono
in tal modo, cioè che tale formalità testimoni che è il più
grande che gli inferiori vanno a trovare e cercano, e non egli loro.
Non soltanto ogni paese,
ma ogni città ha una sua particolare forma di urbanità, e così
ogni professione. Io sono stato educato in tal senso assai
accuratamente durante la mia infanzia, e ho vissuto in un ambiente
abbastanza buono per non ignorare le leggi della nostra civiltà
francese; e potrei farne scuola. Mi piace seguirle, ma non tanto
servilmente che la mia vita ne risulti vincolata. Esse hanno alcune
forme penose che, se si dimenticano, purché sia per discrezione e
non per errore, non per questo si manca di gentilezza. Ho visto
spesso uomini ineducati per troppa educazione e importuni per la loro
cortesia.
Del resto, è una scienza assai utile quella di sapersi comportare tra la gente. Essa è, come la grazia e la bellezza, conciliatrice dei primi passi della socievolezza e della familiarità; e, di conseguenza, ci apre la porta a istruirci con gli esempi altrui, e a mettere in opera e in mostra il nostro esempio, se vi sarà in esso qualcosa d’istruttivo e di comunicabile.
Del resto, è una scienza assai utile quella di sapersi comportare tra la gente. Essa è, come la grazia e la bellezza, conciliatrice dei primi passi della socievolezza e della familiarità; e, di conseguenza, ci apre la porta a istruirci con gli esempi altrui, e a mettere in opera e in mostra il nostro esempio, se vi sarà in esso qualcosa d’istruttivo e di comunicabile.
Postilla
La traduzione, di Fausta Garavini, è tratta da Montaigne, Saggi, Adelphi, 1982. Ho eliminato le note e le indicazioni relative alla stratificazione cronologica del testo. (S.L.L.)
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