Quando se ne va un amico
che ti ha aiutato a capire il segreto di una professione, del vivere
con degli ideali o ti ha regalato il piacere della sua parola, come
mi è successo con Eduardo Galeano, viene difficile trovare le parole
adatte per raccontarlo. Tutto suona banale.
Eduardo era, fino a ieri,
e da anni, il saggista più acuto e onesto nell’illustrare il
fascino del continente dove era nato e cresciuto, ma anche il
narratore più sarcastico delle esagerazioni che l’attuale mondo
isterico ci sbatte ogni mattino in faccia, sia in America Latina che
in tutto il mondo.
Così ora mi commuove
pensare all’attualità dei suoi ironici discorsi, proprio in questi
giorni, in cui sono state spese tante parole stonate, dopo l’incontro
storico fra Obama e Raúl Castro che dovrebbe chiudere finalmente
un’assurda “guerra fredda” non dichiarata fra l’America
Latina e gli Stati Uniti d’America, una “guerra fredda”
succeduta alla sua fine ufficiale nell’autunno dell’89 e che
costringe ora Obama a mettere da parte per un po’ l’ingerenza
nordamericana nel continente latino.
«Sono stato spesso
critico con Cuba, ma lo faccio con amore e rispetto. Se in America
Latina la metà della gente è povera, è il libero mercato ad aver
fallito miseramente, ancora prima del socialismo»
Galeano, qualche anno fa,
polemizzando con Mario Vargas Llosa per la sua accusa alla maggior
parte degli scrittori latinoamericani di essere troppo condiscendenti
verso la rivoluzione cubana, è stato franco fino al sarcasmo:
«Vargas Llosa vede sorprendentemente l’America Latina come se
fosse un viaggiatore nato in una contea inglese e non nel Perù del
sottosviluppo e degli orrori. Amo molto Mario, uno dei più grandi
scrittori viventi, per questo mi dispiace che stia facendo una specie
di gara con il Nobel Octavio Paz, per vedere chi corre più a
destra».
E poi, entrando nella
contesa: «Io sono stato spesso critico con Cuba, ma lo faccio con
amore e rispetto, non con odio e rancore, come sembra succedere a
molti che, in altri tempi, si atteggiavano a rivoluzionari, e oggi
vogliono cancellare ogni traccia del proprio passato a costo di
ignorare che, se in questo continente la metà della gente vive sotto
la soglia della povertà, è il libero mercato, quello che ora
chiamiamo il neoliberismo, ad aver fallito miseramente ancora prima
del socialismo».
Certo Eduardo non le
mandava a dire e per questo sono orgoglioso di aver lavorato 10 anni
con lui per fare uscire 7 delle sue opere, in Italia, dove era stato
pubblicato, fino a quel momento, solo la trilogia di Memorie del
fuoco.
Una commovente
folgorazione
Nel 1971 quando apparve
il suo libro Le vene aperte dell’America Latina, fu per
molti una vera e propria folgorazione, tanto che Heinrich Böll,
scrittore tedesco Premio Nobel per la Letteratura 1972, disse: «Negli
ultimi anni ho letto poche cose che mi abbiano commosso così tanto».
Galeano, in un libro
vangelo di un continente allora di moda, aveva inventato, a trentun
anni, un metodo per raccontare la storia partendo apparentemente
dalla piccola quotidianità.
Un reportage, un saggio,
una pittura murale, un’opera di artigianato mirabile, terminato di
scrivere in esilio, lontano dal suo Uruguay, dopo che aveva dovuto
lasciare il suo paese e poi l’Argentina per sfuggire alla ferocia
di quelle dittature.
Le vene aperte, proposto
per primo dalla Feltrinelli e poi tradotto in 18 lingue, ha avuto
oltre 100 edizioni, solo in spagnolo. È un’opera tuttora di
straordinaria attualità che denuncia, analizza e spiega attraverso
episodi apparentemente senza importanza e riferimenti storici, spesso
trascurati, il processo di spoliazione del continente
latinoamericano, prima da parte dei conquistadores, poi delle potenze
coloniali e infine degli Stati Uniti.
Forse è per questa
incisività che nel 2009, al summit delle Americhe, a Trinidad e
Tobago, l’ex Presidente venezuelano Hugo Chávez non poté fare a
meno di regalare a Barack Obama questo libro vangelo di un continente
dicendogli, con la solita ironia: «Presidente, se vuoi capire
qualcosa di America Latina, leggiti questo libro».
Abbiamo il dubbio che il
Presidente nordamericano non abbia avuto il tempo di consultarlo se i
rapporti con Cuba, il Venezuela e l’America Latina hanno dovuto
aspettare altri 6 anni per diventare una speranza.
Tanti ricordi e
senso dell’amicizia
I ricordi di un’amicizia
sono tanti. Una volta ci ritrovammo a Buenos Aires per un omaggio
alla memoria di Osvaldo Soriano. C’era anche la vedova Catherine
Brucher. Tutti eravamo emozionati e per la prima volta anche il
severo Eduardo che aveva un senso dell’amicizia fortissimo.
Come tutti i
latinoamericani adorava il calcio tanto che non obiettò nulla quando
io gli dissi che, la casa editrice, avrebbe fatto uscire Le vene
aperte dell’America Latina in concomitanza a El fútbol a
sol y sombra (tradotto in Italia con il titolo Splendori e
miserie del gioco del calcio). «Sarà un successo» disse ed
ebbe ragione.
Una volta si accorse che
c’era una partita di Coppa Italia all’Olimpico, Roma-Inter,
semifinale. Mi chiese di andare con lui allo stadio. Ci avevano
consigliato di uscire 5 minuti prima per evitare l’ingorgo. La Roma
vinse 2 a 1 e dovetti penare molto per trascinarlo via una manciata
di secondi prima della fine.
Aveva anche il culto
dell’impegno civile. Lui così schivo nella vita accettò una volta
di partecipare con altri intellettuali al controllo delle elezioni in
Venezuela, stravinte da Chávez, e si arrabbiò molto quando lesse
cosa raccontavano i ridicoli cronisti del mondo occidentale, pur
smentiti nel loro tentativo di svalutare le elezioni. Tanto il
conteggio del gruppo d’intellettuali, quanto quello della
fondazione Jimmy Carter, ex Presidente degli Stati Uniti, avevano
concordato, infatti, nell’assoluta correttezza delle votazioni, ma
l’opposizione a Chávez non voleva sentir ragioni.
Amava la nuova America
Latina progressista e nelle sue note non lo nascondeva, come non
nascondeva la simpatia per il Subcomandante Marcos e l’Ezln
(Esercito zapatista di liberazione nazionale) da cui andò un paio di
volte.
La
voce dei leader e dei reietti
Ha scritto di lui Isabel
Allende nel prologo all’ennesima edizione di Le vene aperte
dell’America Latina (pubblicato in Italia da Sperling &
Kupfer): «Galeano ha percorso l’America Latina ascoltando anche la
voce dei reietti oltre che quella di leader e intellettuali. Ha
vissuto con indios, contadini, guerriglieri, soldati, artisti e
fuorilegge; ha parlato a presidenti, tiranni, martiri, preti, eroi,
banditi, madri disperate e pazienti prostitute. Ha patito le febbri
tropicali, ha conosciuto la giungla ed è sopravvissuto anche a un
grave infarto. È stato perseguitato sia da regimi repressivi, sia da
terroristi fanatici. Ha combattuto le dittature militari e tutte le
forme di brutalità e sfruttamento correndo rischi impensabili in
difesa dei diritti umani. Non ho mai incontrato nessuno che abbia una
conoscenza di prima mano dell’America Latina pari alla sua, che
adopera per raccontare al mondo i sogni e le disillusioni, le
speranze e gli insuccessi della sua gente».
Ci mancherà molto.
“il manifesto”, 14
aprile 2015
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