Raffaello Sanzio, Epicuro nella "Scuola d'Atene", Musei Vaticani |
Nella storia della
fortuna di Epicuro, l’etica è stata sempre al centro delle
polemiche e delle condanne per la sua teoria del piacere, fino alla
sua riabilitazione nella cultura rinascimentale, anche per la diretta
conoscenza delle fonti originali, il poema di Lucrezio e il X libro
delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio. Tuttavia, nella
più recente storiografia, è stato prevalente l’interesse per la
fisica epicurea — con il suo atomismo — all’interno della più
complessa formazione della nuova scienza.
Opportunamente dunque
Gianni Paganini, in collaborazione con Edoardo Tortarolo, ha promosso
una raccolta di studi tutti volti non alla fisica, ma all’influsso
dell’epicureismo sull’etica e sulla teoria politica dell’età
moderna, dall’Umanesimo all'Illuminismo.
Ne esce un quadro
variegato e complesso che, dopo uno studio iniziale sulle fonti
antiche (Jean Salem), si impegna a tracciare alcuni momenti esemplari
della fortuna di temi epicurei e lucreziani nella riflessione sui
problemi dell’utile e del piacere nei rapporti fra individuo e
società, sulla natura delle leggi, sul concetto di giustizia e sulle
origini della vita associata. Dopo un ampio panorama (Martin Mulsow e
Claudia Schmitz) sulla varia presenza di motivi epicurei nella
cultura del Quattrocento e del Cinquecento (che si completa con il
saggio di Guido Canziani su Cardano e l’epicureismo), un luogo
storiografico ineludibile è costituito dalla presenza — tra le più
significative nel Seicento europeo — di Gassendi e di Hobbes, cui
sono dedicati in particolare gli studi di Gianni Paganini e di
Patricia Springborg.
La "rinascita
epicurea’ (epicuraea anastasis), promossa e assicurata da Gassendi.
è legata sia alla sua Vita di Epicuro, della quale tratta
Sylvie Taussig, sia soprattutto al monumentale commento al X libro
delle Vite dei filosofi di
Diogene Laerzio (la principale fonte per una diretta
conoscenza di Epicuro) il cui materiale è rifluito nel grande
Syntagma philosophicum. L’etica di Gassendi muove dalla
ripresa delle fondamentali tesi epicuree: la felicità cui ogni
essere naturalmente tende si realizza nel piacere (voluptas),
che è il 'sommo bene'.
La voluptas
costituisce il criterio per distinguere il bene dal male, e la
ricerca dell’utile — ovvero di ciò che giova al piacere. quindi
al bene — si identifica con la virtù e con la pietas, è
questo il fondamento del diritto naturale e della vita associata. Nel
possesso del piacere si realizza la vita beata nella misura possibile
all'uomo. Come è noto, Gassendi distingue un diritto di natura
primario, che impone a ciascun essere la ricerca del proprio utile (è
il diritto che regna nello stato ferino), cui succede il diritto di
natura secondario che è conseguenza del patto con cui gli uomini si
sono accordati e hanno costituito la società per l’utile comune. I
principali fondamenti del diritto naturale sono il perseguimento di
ciò che è bene, l’amare se stesso prima degli altri, il libero
uso del corpo per il proprio benessere, il vivere in società.
Parallelamente a questa
ripresa della concezione epicurea del diritto di natura si sviluppa
la polemica contro un concetto astratto di giustizia come norma
metastorica da cui deriverebbe il diritto positivo: la giustizia,
afferma Gassendi seguendo Epicuro e Lucrezio, esiste solo nella
concretezza dei rapporti quali storicamente si definiscono in
relazione al patto che fonda la società nella quale gli uomini
trovano meglio garantito il proprio utile.
Questo corpus di dottrine
(riassunte nel Sintagma della filosofia di Epicuro)
costituisce un punto di riferimento fondamentale per la conoscenza e
la fortuna di Epicuro nel Seicento e nel Settecento. In questi due
secoli Gassendi svolge la sua influenza anche attraverso il riassunto
— amplissimo — che ne fece in francese il suo alunno Bernier,
così come attraverso le principali storie settecentesche della
filosofia di Brucker e di Stanley (che utilizzano Gassendi come fonte
dossografica); a Brucker è dedicato un ampio saggio di Constance
Blackwell che compie utili raffronti.
La lezione di Epicuro è
ben presente anche a Hobbes — cui andavano tutte le simpatie di
Gassendi — che legge Epicuro in Diogene Laerzio e in Lucrezio (la
prima edizione del De cive è anteriore alla pubblicazione
degli scritti epicurei di Gassendi). Gianni Paganini, in un suo ampio
studio, sottolinea affinità e differenze: indubbiamente da Epicuro
Hobbes trae alcuni temi della sua filosofia politica: la centralità
dell’autoconservazione, il tema della sicurezza, il carattere
utilitaristico del patto sociale, la natur convenzionale del giusto (
dell’ingiusto, il riconoscimento dell’aggressività umana e della
paura della morte come fondamentali impulsi per trovare tranquillità
e pace nella società politica. Peraltro Paganini mette in evidenza i
rapporti di Hobbes con alcuni ambienti contemporanei (come il circolo
Cavendish e il Great Tew) aperti a letture e interessi epicurei.
Un punto tuttavia è
centrale per differenziare la posizione di Hobbes rispetto a quella
che si può chiamare la politica epicurea; ed è il concetto di
sovranità che differenzia Hobbes da Gassendi, posto che il filosofo
inglese, nel suo pessimismo, non si accontenta di ridurre l’origine
della sovranità al calcolo dell’utile, ma elabora una teoria della
sovranità che va oltre il puro consenso e la convergenza di molte
volontà secondo un solo fine. Fra i testi esaminati da Paganini in
questa prospettiva, ricorderemo uno del De cive: «Un accordo
ossia un’associazione contratta senza un qualche potere comune, che
abbia modo di reggere con il timore delle pene i singoli individui,
non basta a raggiungere quella sicurezza che si richiede per
ottemperare alle leggi naturali. Poiché la convergenza di molte
volontà verso un solo scopo non basta per conservare e istituire una
stabile difesa, si richiede che la volontà di tutti sia, nella
scelta di quel che è necessario per il mantenimento della pace e per
la difesa, una sola, il che non può accadere se ciascuno non
sottometta la propria volontà a quella di un altro, sia essa un solo
uomo o una sola assemblea».
Se Gassendi e Hobbes
costituiscono due punti di riferimento fondamentali per la riscoperta
e utilizzazione di dottrine epicuree nell’etica e nella politica,
molti altri temi dell’etica epicurea si ritrovano nella cultura del
Seicento e del Settecento (qui i saggi di Antony Mckenna, Gunter
Gawlick, Ann Thomson), stemperandosi spesso in un atteggiamento di
tranquillo godimento del piacere, in posizione antistoica e
antiascetica, spesso anzi duramente anticristiana. Da questo punto di
vista l’approdo del volume a Diderot è naturale (Edoardo
Tortarolo): l’epicureismo si afferma come una componente non
marginale di quello che è stato detto «il paganesimo moderno» e
che più semplicemente si potrebbe dire la modernità laica.
Il Sole 24 ore, Domenica
14 novembre 2004
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