Il famoso haiku della rana, di Basho, illustrato in una stampa giapponese. |
Quella del haiku
classico è una struttura ferrea: 17 sillabe suddivise in tre versi
di 5-7-5. in questa composizione così rapida vengono riportate
immagini di una concretezza materica che evita qualsiasi ambiguità o
allusività, qualsiasi alone simbolico, qualsiasi patetismo: nella
sua istantaneità il haiku illumina oggetti i una precisione
inequivocabile. L’aleatorietà, se così vogliamo dire non sta in
una incertezza del tema o in una vaghezza di immagine estompée: sta
piuttosto nell’omissione di alcuni nessi che dovrebbero collegare
le parti del discorso, ed è in queste omissioni che si realizza
l’effetto di choc della composizione.
La fente aperta
tra il discorso evidente e il suo significato sotteso (non
sottinteso) non viene mai colmata. E non deve essere colmata. La sua
funzione è di agire come “buco nero” in cui va ad annullarsi
ogni associazione convenzionale, ogni meccanismo logico di
apprendimento, spingendo il lettore verso un linguaggio liberato che
illumina la distanza del soggetto da qualsiasi identificazione
immaginaria o simbolica.
Spesso si è detto che in
un certo senso un haiku assomiglia a un koan dello Zen,
cioè a una rottura delle sovrastrutture associative note, per
toccare il significante primario che l’immagine contiene e che in
questo caso non è sostituibile per sostituzione o per contiguità,
ma solo per un annullamento della pretesa stessa di sapere.
Vediamo che cosa si può
perdere della qualità intrinseca di un haiku in una cattiva
traduzione. Prendiamo ad esempio un haiku di Basho pubblicato
(pa.g. 50) dall’edizione Longanesi, uno dei più noti in Giappone.
Il testo, nella
trascrizione fonetica, dice: “Furu ike ya / kawazu tobikomu
/mizu no oto”. La traduzione letterale è: Furu,
vecchio; ike, stagno; ya è un segno di accentuazione e
di pausa; kavazu, rana; tobikomu (parola composta di
tobu, volare e komu, entrare), si tuffa; oto, suono; no,
di; mizu, acqua. La traduzione che ci viene data è: “Nello
specchio antico / d’acque morte / s’immerge / una rana. /
Risveglio d’acqua”. … Quello che si perde (soprattutto) è
l’efficacia della parola tobikomu, suono di rottura intorno
a cui le altre sillabe si aggregano, che significa “balza, si
tuffa” e viene graziosamente tradotto con un “s’immerge”
ulteriormente addolcito dall’elisione… quel tobikomu, che
è il centro dell’interesse dovendo esprimere un colpo improvviso,
una rottura, uno choc auditivo ed emozionale. [...]
“Alfabeta” n.58,
marzo 1984
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