Nel dicembre del 1981,
sotto il titolo Tasse, tasse, maledette tasse,
pubblicò alcune lettere di Aldo Palazzeschi scritte al suo avvocato
ed amico Demetrio Bonuglia tra il 1953 e il 1958 fino a quel momento
inedite.
Palazzeschi
era convinto che gli uffici fiscali di Roma lo perseguitassero,
tant'è che lasciò per qualche tempo la casa romana non ancora del
tutto pagata ed acquisita per riportare la residenza a Venezia, città
in cui il poeta fiorentino era vissuto negli ultimi anni. Si trattò
di un trasferimento temporaneo: a Roma tornò e a Roma morì alcuni
lustri dopo, nel 1974.
Riprendo
qui un paio dei testi riprodotti sul settimanale, aggiungendo due
considerazioni.
Prima.
Palazzeschi era fieramente anticomunista e non nascondeva, quando gli
capitava, il suo moderatismo cattolico filogovernativo: nel 48, per
esempio, si era esplicitamente schierato per la Dc e contro il Blocco
del Popolo. In una delle lettere pubblicate su “l'Espresso” e qui
riprese gli scappano tuttavia parole di comprensione per gli
intellettuali antigovernativi, che in verità si erano buttati, quasi
tutti, a sinistra. I toni duri sono al contrario riservati
all'amministrazione statale (“questi delinquenti che si accaniscono
sui poveretti, sugli artisti...”).
Seconda. L'invettiva contro una Roma burocratica e ladrona sembra anticipare (di una trentina d'anni) certi umori leghisti. (S.L.L.)
Seconda. L'invettiva contro una Roma burocratica e ladrona sembra anticipare (di una trentina d'anni) certi umori leghisti. (S.L.L.)
Venezia, 9 ottobre
1956
Mio caro, ecco ancora
questa infame persecuzione che seguita imperterrita la sua criminale
via. Oltre a quanto stupidamente accettai si aggiunge altro salasso?
Ma io non sono in grado di pagare queste cifre, non le ho, è una
questione molto chiara, le mie poche riserve se ne sono andate per
avere un rifugio più decente a Venezia, sola casa che fino a questo
momento è mia, finché il banditismo fiscale non riuscirà a
togliermela, cosa che accadrà senza dubbio, io più modestamente di
così non posso vivere, vivo da quattro mesi cuocendomi un pezzetto
di carne la mattina e due uova la sera sopra un lumino a spirito, più
giù di così non si va, il mio ne può dare perché è in mora, e io
dove li piglio per pagare le tasse? E che cos’è questa commissione
il cui avviso mi giunge solamente ora? Ti confesso che non ci capisco
nulla, so solo che mi trovo in condizione molto critica. Per questi
delinquenti che si accaniscono sui poveretti, sugli artisti, su
quelli che hanno la più aleatoria delle esigenze, è davvero una
cosa ignominiosa. Qui bisogna agire e con grande energia altro che
contrattare coi banditi da strada. Io sono ancora impaniato qui per
via di questa benedetta casa [acquistata in Calle del Forno, nel
sestiere di Cannaregio, ndr.] e ne avrò ancora per una diecina di
giorni, parleremo insieme, l’unica è di ricorrere senz’ altro a
tutte le possibili commissioni. Il bello è che uno per via delle
tasse non può muoversi dalla propria residenza, e tutte piovono sul
capo nel tempo che uno è via. E' davvero una tecnica d'una
furfanteria matricolata. Si capisce come gli intellettuali odino
senza riserve un governo che li tratta in questa maniera disumana.
Venezia, 14
settembre 1957
Mio caro (...), prima di
pagare nel comune di Roma è bene difendersi fino all’ultima goccia
di sangue. Nell'altra Italia si parla della capitale come di un
immondo bordello, ma a parte le esagerazioni polemiche c'è un fondo
di verità sacrosanto. Proprio in questi giorni mi è giunta la
denuncia per la spazzatura: è cosa che davvero fa ridere se non
facesse piangere, l’ho riempita a capocchia, altrimenti avrei
dovuto incaricare un esperto di andare a misurare la casa anche nel
buco della merda e del piscio. E che capolavori di burocrazia per
poter rompere i coglioni fino all’inverosimile al disgraziato
contribuente, e tutto a sue spese, s’intende. Mi pare che si
incominci a passare la burla. Giunsi a Roma con molto entusiasmo, ma
oramai si sta sbollendo del tutto di fronte a tante balorde
macchinazioni che rivelano l’assenza assoluta di fantasia e
d’ingegno. Pensa che qui lo spazzino ogni mattina suona gentilmente
per sapere se abbiamo qualcosa da dare, e di questo servizio nulla è
dovuto. Mi sto sempre più convincendo e consolando qui dove ancora
la vita un pochino ha senso di leggerezza e di urbanità, e se non
fosse la paura dei quattro mesi d’inverno, vi rimarrei senza
muovermi più. C’è ancora un fondo di saggezza e gentilezza
ereditaria in questo popolo decaduto che costà neppure si sogna, si
capisce che vi fu una civiltà d’altra lega.
“L'Espresso”, 13
Dicembre 1981
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