Tra
il settembre del ’43 e il gennaio del '44 una mezza dozzina di
attentati contro Hitler fallirono all'ultimo istante. Giovedì 20
luglio del ’44 il colonnello Schenk introdusse una bomba nella tana
del lupo a Rastenburg, nella Prussia Orientale. Hitler rimase
miracolosamente illeso. L’attentato era stato voluto dalle più
alte gerarchie della casta militare prussiana. I congiurati furono
processati il 7 agosto, impiccati a ganci da macellaio e strozzati
con corde di violino. Hitler volle il film dell’esecuzione e lo
visionò la sera stessa. Rastenburg si chiama oggi Ketrzyn ed è in
territorio polacco.
Se si pensa alla Germania
del terzo Reich tornano alla memoria quasi automaticamente tre tipi
di immagini : masse giubilanti inquadrate in imponenti colonne o
riunite negli stadi, l’orrore dei campi di concentramento
fotografati al momento della liberazione, e le scene di guerra.
Resta, irrisolto, un
interrogativo inquietante, per il quale non ci sono facili risposte.
Come è potuto accadere che un popolo con una grande tradizione
culturale e una classe operaia politicamente all'avanguardia in
Europa siano stati sopraffatti e abbiano sopportato senza resistenza
questo regime barbarico fino alla fine?
Oggi viene ricordato
nella Repubblica federale tedesca il quarantesimo anniversario del 20
luglio, quando un gruppo di ufficiali, diplomatici e alti funzionari
statali mise in atto un attentato a Hitler che fallì solo per un
pelo: questa data viene celebrata come prova che negli anni oscuri
dell’hitlerismo c’è stata anche un’altra Germania, non
nazista.
I congiurati, la
punta di un iceberg
Ma quelli che oggi
festeggiano solennemente la ricorrenza celebrano in fin dei conti
solo se stessi: la classe politica odierna, in un atto di
riconoscimento postumo, tende la mano alla classe politica allora
all’opposizione, solidarizza con essa, e se ne proclama erede.
Perché «gli uomini del 20 luglio» appartenevano alla classe
politica, non erano «il popolo». Avevano un progetto politico
(l’obiettivo immediato era la fine della guerra) e avevano da parte
loro tollerato sin troppo a lungo il regime hitleriano prima di
prendere chiaramente coscienza della natura distruttiva del nazismo e
del führer.
Certo agirono da uomini
d’onore, mettendo i valori morali al di sopra dei loro interessi
personali. Ma non si può distinguere del tutto il loro atto
coraggioso dalla circostanza che ormai con tutta evidenza la guerra
non poteva più essere vinta. A merito di questo settore della classe
politica occorre tuttavia aggiungere che negli ambienti degli alti
ufficiali furono elaborati, a partire dal 1938 numerosi piani di
attentati, che in alcuni casi giunsero assai vicino all’attuazione:
una volta una bomba collocata su un aereo non esplose, un’altra
volta Hitler si allontanò in anticipo da un’esposizione di armi,
in occasione della quale un colonnello (oggi ancora vivente) aveva
deciso di saltare in aria insieme al führer.
Eppure la congiura del 20
luglio non fu un’espressione della resistenza popolare, e oggi, il
fatto che
si torni a celebrare con
tanta enfasi questa data, sembra confermare per l’ennesima volta
che davvero il popolo tedesco non ha opposto nessuna vera resistenza.
E questo è un altro argomento per le odierne commemorazioni degli
uomini del 20 luglio: siccome il popolo apparentemente non oppose
alcuna resistenza, gli attuali governanti non hanno bisogno di
giustificarsi per non aver fatto nulla allora: il nazismo fu una
specie di catastrofe naturale, una tragedia imposta dal destino ai
tedeschi.
Nella Repubblica
democratica tedesca la cosa viene vista diversamente. Qui fin da
subito si è imposta nella coscienza storica ufficiale la tesi che ci
sia stata un’attiva resistenza antifascista: si è messo molto in
rilievo il ruolo del gruppo di spionaggio «Rote Kapelle» e accanto
a questo, l’azione di numerosi gruppi e cellule per lo più
composte da militanti comunisti. La Rdt non ha mai dato molto peso al
20 luglio come data importante per la resistenza, preferendo dedicare
sistematicamente scuole, strade e fabbriche a combattenti comunisti
della resistenza. Dì fatto dopo il 1933 più della metà dei 300.000
iscritti al partito comunista venne arrestata, e tra questi alcune
migliaia furono uccisi.
Attualmente la sinistra
della Germania occidentale nella sua lotta contro i missili, e quindi
contro il ritorno di una politica disumana e potenzialmente
apportatrice di stermini di massa (Auschwitz - Hiroshima), si rifà
alla resistenza (mancata) nel terzo Reich. Essa pensa di dover
recuperare una lacuna storica, di dover riparare con l’azione alle
omissioni di allora. «Mai più guerra» si diceva nel ’45 e si
ripete oggi, e molti giovani hanno una cattiva coscienza per il
fallimento dei loro padri.
13.405 condanne a
morte in undici anni
Questi giovani sono
vittime di una storiografia deliberatamente distorta, che ha loro
impedito di rendersi conto della resistenza attiva e coraggiosa di
vasti settori del popolo tedesco. Anche loro vedono soltanto immagini
di masse naziste festanti e, nei volti smagriti dei prigionieri dei
campi di concentramento riconoscono soprattutto ebrei e perseguitati
per motivi razziali. Eppure nei campi venivano rinchiusi torturati e
uccisi loro e nostri compagni anche non ebrei.
La resistenza tedesca, la
resistenza dei singoli, è stata ampia, coraggiosa, pronta al
sacrificio, e regge a ogni confronto storico e internazionale. Per
venire al punto che qui più mi interessa, io non conosco
nessun’altra situazione storica, nessun popolo, che di fronte a un
rischio personale tanto alto abbia opposto una resistenza così
attiva a un ingiusto regime interno come il popolo tedesco tra il
1933 e il 1945.
Facciamo un confronto con
il fascimo italiano. Io ho sempre avuto il più alto rispetto storico
e personale per l’eroica lotta partigiana, per la resistenza, senza
la cui eredità la repubblica italiana sarebbe assolutamente
impensabile. Solo relativamente tardi, sebbene si tratta di
un’osservazione ovvia mi sono reso conto che questa lotta armata si
rivolgeva innanzitutto contro un’occupazione straniera, anticipando
l’arrivo degli alleati ma comunque potendo contare con relativa
sicurezza su un’imminente liberazione, e non era, almeno non in
primo luogo, una lotta armata e rivoluzionaria contro il proprio
governo.
Il popolo tedesco non
ebbe la chance di potersi ribellare contro un’occupazione
straniera fascista e repressiva. Aveva a che fare con il proprio
governo, giunto al potere per via legale.
É utile considerare
alcuni dati sulla repressione nei 16 anni (1927- 1943) in cui il
fascismo funzionò come regime, e paragonarli poi con quelli
tedeschi. Il tribunale speciale condannò 4.596 persone a 27.752 anni
di prigione complessivamente; pronunciò in tutto 42 condanne a
morte, delle quali 31 vennero eseguite. Accanto al carcere c’era
l’istituto del confino: 17.000 italiani, sospetti di antifascismo,
vi vennero condannati. La maggior parte dei condannati sopravvissero
al regime e, come è noto, carceri e luoghi di confino divennero
importanti centri di formazione politica soprattutto per i comunisti.
Le cose andarono
diversamente nella Germania nazista. Dal 1933 al 1939 (cioè soltanto
in sei anni) i soli tribunali ordinari condannarono più di 225.000
tedeschi a 600.000 anni di prigione per motivi politici.
Nel 1939, al momento
dello scoppio della guerra, non meno di 300.000 tedeschi si trovarono
in carcere per ragioni politiche. A questi dati si deve aggiungere il
numero, impossibile da precisare, di coloro che furono arrestati e
deportati nei campi di concentramento: un tedesco ogni 60.
E ognuno sapeva —
questo è il punto che occorre sempre tenere presente — ciò che lo
aspettava quando manifestava un’opinione antinazista o addirittura
intraprendeva un’azione antinazista: in Italia, nel caso migliore,
il trattamento all’olio di ricino, nel peggiore il confino. In
Germania: campo di concentramento, torture, morte per sevizie o per
la sentenza di un tribunale. Nei 25 anni tra il 1907 e il 1932, 1.400
uomini furono condannati a morte e 345 vennero effettivamente uccisi.
Sotto il regime nazista in soli undici anni furono pronunciate 13.405
condanne a morte, 11.881 delle quali eseguite, e più della metà per
reati politici (in Italia, come si è detto, 31). Nei quattro mesi
del dodicesimo anno nazista ci furono ancora 800 condanne.
Un’eredità
storica volutamente nascosta
Condanne a morte : questa
la pena per reati politici come la stampa e la diffusione di
volantini, lettere anonime di contenuto antifascista, scritte sui
muri, sabotaggi della produzione bellica, ma anche la pura e semplice
espressione di opinioni disfattiste sul regime, di barzellette su
Hitler, Göring, Goebbels. Resistenza nelle forme più diverse. Se ne
conosceva il prezzo, eppure si lottava.
Chi era questa gente? All’inizio compagni, che si sentivano abbandonati e traditi dall’inattività dei loro partiti — il socialdemocratico e il comunista — dai quali molti si erano attesi un appello allo sciopero generale. Singole persone o piccoli gruppi, che pensavano di dover fare qualcosa contro il governo nazista. Più tardi furono persone che avevano dietro le spalle pochi o nessun legame di partito: il più giovane fucilato nel 1943 aveva solo 14 anni e mezzo.
Chi era questa gente? All’inizio compagni, che si sentivano abbandonati e traditi dall’inattività dei loro partiti — il socialdemocratico e il comunista — dai quali molti si erano attesi un appello allo sciopero generale. Singole persone o piccoli gruppi, che pensavano di dover fare qualcosa contro il governo nazista. Più tardi furono persone che avevano dietro le spalle pochi o nessun legame di partito: il più giovane fucilato nel 1943 aveva solo 14 anni e mezzo.
Venivano da tutti gli
strati sociali e da tutte le classi: insegnanti, artigiani,
apprendisti, studenti, operai. Agivano così per salvaguardare la
loro integrità morale, per scuotere gli indifferenti, mettere in
guardia, ammonire. Sapevano quale terrificante destino li attendeva
se fossero stati scoperti, e agirono ugualmente.
Quanto più ampia sarebbe
stata la resistenza se la repressione del regime non fosse stata così
spietatamente feroce, se le conseguenze fossero state solo il confino
o pene detentive? Non possiamo saperlo. Che la maggior parte degli
uomini non siano eroi non è una colpa da rimproverargli; quelli che
nonostante tutto lo sono stati meritano n nostro rispetto e sono
un'eredità storica che — se non fosse stata consapevolmente
sottaciuta — avrebbe potuto diventare elemento costitutivo di una
Germania progressista e democratica, come lo è stata la resistenza
per l’Italia di oggi.
La sinistra tedesca
non deve vergognarsi
Anche l’esercito,
apparentemente fedele al führer e pronto a combattere con insensata
obbedienza fino alla catastrofe finale, non fu affatto così leale
come sembra.
Mentre nella prima guerra
mondiale furono in tutto 150 i soldati e gli ufficiali condannati a
morte dai tribunali di guerra, tra l’inizio della guerra nel
settembre 1939 e la fine del 1944 vennero fucilati complessivamente
9.413 soldati e ufficiali; nel solo 1944 una media di 450 al mese. In
seguito alla congiura del 20 luglio, definita da Hitler opera di una
«minuscola cricca di ufficiali criminali e senza onore», vennero
arrestati quasi 7.000 sospetti e fucilati circa duecento congiurati.
Il numero dei tedeschi uccisi nella resistenza politica contro il
proprio regime può essere stimato in 40.000, una stima per difetto
piuttosto che per eccesso.
Questi morti non
bastarono. I nazisti riuscirono a mantenersi al potere con il terrore
interno fino al compimento dei loro piani e il regime venne abbattuto
dall’esterno e non dall’interno. Ma credere che — a parte gli
ufficiali del 20 luglio o piccoli gruppi dì studenti come la «Rosa
Bianca» dei fratelli Scholl — non ci sia stata nessuna seria
resistenza, è non solo storicamente falso ma anche un’ingiuria per
le decine di migliaia che hanno perso la vita e per quel milione di
tedeschi che hanno diviso i campi di concentramento con gli ebrei,
gli antifascisti europei, gli zingari e innumerevoli altre vittime; e
che, a differenza di molti tra i deportati, si sono sacrificati per
la propria scelta politica. Essere vinti da una violenza soverchiante
non è una vergogna. La sinistra tedesca non deve vergognarsi della
propria resistenza antifascista.
“il manifesto”, 19
luglio 1984
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