Dalla bella rubrica Storie naturali che, su "Pace e Guerra", la bella rivista dei primi anni Ottanta diretta da Luciana Castellina, curava Enrico Alleva, recupero questo "pezzo", ottimo esempio di divulgazione scientifica. (S.L.L.)
Appariva sulla Terra centocinquanta
milioni di anni fa, nel periodo Giurassico Superiore, Era Mesozoica.
Simile a una piccola talpa, aveva un corpo lungo una dozzina di
centimetri — coda inclusa — di cui un p^io di centimetri di
testa; le zampe, corte ma manovrabili, fanno supporre si trattasse di
animale agile e attivo. Era quasi certamente notturno, con fiuto e
udito raffinati, e piuttosto abile nell’afferrare al volo i piccoli
insetti dei quali si nutriva; secondo alcuni non disdegnava neppure
chioccioline e germogli.
Lo hanno inizialmente battezzato
Morganucodon, poi si sono accordati sul nome Ezostrodon: è (per
quanto ne sappiamo oggi) il più antico Mammifero, e si avviava a
dare vita — evolutiva — a una nuova Classe. Così era fatto, o
almeno questa è la sua ricostruzione, dato che è estinto da milioni
di anni; una ricostruzione — si badi — solo immaginata, da
frammenti di denti, mandibole, crani e ossa varie provenienti dalle
isole Wales, oltre a un paio di scheletri quasi completi raccattati
in Cina. Ma la sua figura (debitamente ricostruita) domina i testi di
paleontologia, di biologia evoluzionistica, di zoologia dei
Vertebrati; è lui il primo, l’anello di transizione che ha
condotto alla Classe dei Mammiferi.
Ma torniamo al Giurassico, e proviamo a
ricostruire mentalmente l’evoluzione dei mondi di centinaia di
milioni di anni fa. Facciamo un viaggio (fanta)scientifico prima
all’indietro e poi in avanti, una specie di «Tutta l’evoluzione
dei Mammiferi, millennio per millennio», con tanto di «effetto
moviola» per soffermarci sui punti meno chiari. Partiamo da mondi
premammaliani, viaggiamo per continenti ancestrali, dai nomi che ci
sembrano esotici: Pangea, Laurasia, Gondwana. Camminiamo tra fiori
enormi, favolosamente colorati (dicono i paleobotanici). All’inizio
vediamo solo palme e magnolie, piano piano compaiono nuove forme, più
solite, di alberi. Arriviamo al mondo dei primi mammiferi, che è
ancora miticamente diverso dal nostro; ma la differenza è ora
faunistica, piuttosto che botanica: è letteralmente pieno di
Dinosauri.
Ce n’è di ogni forma e grandezza; dal gigantesco Diplodoco (più di venticinque metri di lunghezza, all’incirca due camion messi in fila), fino a una lucertolina chiamata Ilonomo; c’è lo Psitacosauro, con la faccia da pappagallone, l’Oftalmosauro (un’orata colossale) e una sorta di pescespada che chiamano Mixosauro; un cornutissimo Pentaceratops attraversa lentamente lo schermo, dirigendosi verso un Saurornitoide, grande mangiatore di Ezostrodon. Ma di loro — i mammiferi primitivi — non c’è traccia, anche se secondo i libri dovrebbero già essercene alla fine del Cretaceo. Finalmente, una notte, ne riusciamo a scorgere uno, che striscia furtivo, apparentemente terrorizzato, forse a caccia di uova di Dinosauro. Ma com’è, quest’umiltà «ecologica», questo ruolo subordinato — addirittura infimo — che i nostri progenitori ricoprono per tanti milioni di anni?
Ce n’è di ogni forma e grandezza; dal gigantesco Diplodoco (più di venticinque metri di lunghezza, all’incirca due camion messi in fila), fino a una lucertolina chiamata Ilonomo; c’è lo Psitacosauro, con la faccia da pappagallone, l’Oftalmosauro (un’orata colossale) e una sorta di pescespada che chiamano Mixosauro; un cornutissimo Pentaceratops attraversa lentamente lo schermo, dirigendosi verso un Saurornitoide, grande mangiatore di Ezostrodon. Ma di loro — i mammiferi primitivi — non c’è traccia, anche se secondo i libri dovrebbero già essercene alla fine del Cretaceo. Finalmente, una notte, ne riusciamo a scorgere uno, che striscia furtivo, apparentemente terrorizzato, forse a caccia di uova di Dinosauro. Ma com’è, quest’umiltà «ecologica», questo ruolo subordinato — addirittura infimo — che i nostri progenitori ricoprono per tanti milioni di anni?
Facciamo proseguire la moviola;
arriviamo al periodo Eocenico e lì il mondo è nostro, intendo di
noi mammiferi. Ce ne sono tanti, di forme varie, alcune molto simili
ai Dinosauri, che sono invece tutti scomparsi; si vedono anche lupi,
leoni ed elefanti, o almeno qualcosa di simile. Ci sono — ora —
anche gli uccelli. Fatti venti milioni di anni (nel tempo del geologo
e del paleontologo qualcosa come quattro passi), il mondo è
cambiato, repentinamente e radicalmente: scomparsi i Dinosauri,
letteralmente «esplosi» i mammiferi, i pronipoti (evolutivi) di
Ezostrodon.
Finiamo lo scherzo fantascientifico, e
vediamo di capirci qualcosa. Non ci soffermiamo sul perché, un bel
giorno (sempre geologico), i dinosauri sono scomparsi: di questa
storia — ve lo prometto — riparleremo, perché è un grande e
fascinoso mistero evolutivo. Consideriamo semplicemente il fatto che
i reperti fossili sembrano parlar chiaro: i minuscoli mammiferi —
abitatori (termoregolati) delle notti mesozoiche — sono fioriti in
centinaia di specie dopo l’estinzione dei Dinosauri.
A causare la loro «fortuna» evolutiva
è stata la scomparsa di altre forme, in qualche modo analoghe; cioè
i mammiferi hanno rapidamente occupato le nicchie ecologiche che si
stavano rendendo libere. Così i mammiferi erbivori hanno
«cominciato» a mangiare l’erba che i Dinosauri erbivori più non
brucavano, i mammiferi carnivori a catturare quelle prede che i
dinosauri carnivori più non «disturbavano». Eccetera, eccetera,
eccetera.
Un autorevole evoluzionista — su
un’autorevolissima rivista — ha proposto di ridefinire
l’evoluzione (o meglio, taluni processi evolutivi) come
devoluzione. Le forme viventi — cioè — scomparendo
«devolverebbero» i propri «spazi evolutivi» ad altre specie, in
quel momento disponibili a «modellarsi» per occuparli. Ed è merito
dei paleontologi americani Eldredge e Gould aver proprio sottolineato
questo ruolo fondamentale che le estinzioni di massa (cioè le
massicce, complete e repentine scomparse di un gran numero di forme
viventi) giocherebbero nei processi di differenziamento evolutivo.
Ogni grande balzo evolutivo di piante e
animali sembrerebbe in effetti accompagnarsi proprio a una radicale
«sparizione» di forme precedenti. E anche se oggi qualcuno contesta
ancora questa lettura dei processi evolutivi (sottolineando il fatto
che i reperti fossili sarebbero troppo poco completi per permettere
veridiche ricostruzioni delle storie evolutive), parecchi ricercatori
sono ora d’accordo sul fatto che l’evoluzione funzioni più per
«sequestri» improvvisi che per lenti «sfratti esecutivi». E
proprio la storia dei Dinosauri, che un giorno se ne sono andati
dicendo «prego, s’accomodi pure» agli Ezostrodon, i bisnipoti,
resta una delle prove più convincenti.
Pace e Guerra N.27, giugno 1981
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