Mircea Eliade |
Nel 1935 Mircea Eliade,
oggi assai più noto come storico delle religioni che come narratore,
scrisse un romanzo di vampirismo: quel genere letterario ispirato a
macabre leggende illiriche di morti che ritornano a succhiare il
sangue dei vivi, che ebbe inizio nel 1819 con il racconto The
Vampire del dottor Polidori, amico di Byron. Ma il libro di
Eliade, che ora esce in edizione italiana (Signorina Christina, Jaca
Book), sfugge a una precisa classificazione. Ci sono anche qui,
s'intende, gli ingredienti d'obbligo: la notte, la grande villa
patrizia, il parco, la carrozza, lo spettro, l'eros, il sangue, la
tomba nascosta nei sotterranei, l'incendio finale. Tuttavia la trama
- che poi è la storia d'amore d'una giovinetta morta da oltre
vent'anni e divenuta vampiro - prende avvio dalla contemplazione di
un dipinto (appunto il ritratto di Christina) e si dipana attigendo
al folklore romeno: dietro le cupe figure degli uomini di fattoria si
percepisce l'eco delle rivoluzioni contadine dell'Ottocento. Il
segreto, il non detto, una vaga sottomissione al terrore segnano
ambiguamente i personaggi: la nobile padrona, una ragazza, un
professore di archeologia, una bambina dallo sguardo agghiacciante
che malamente nasconde una sua stretta familiarità col vampiro, un
pittore. Toccherà proprio a quest'ultimo - che Christina,
innamoratissima, va a trovare ogni notte - il penoso compito di
esorcizzare, in ultimo, la demoniaca apparizione.
Signorina Christina
è dunque la storia di una lunga, triste, faticosa lotta contro il
male che improvvisamente si affaccia dopo essersi insinuato nelle
fessure della comune realtà di ogni giorno; può trattarsi di un
dipinto, o di una conversazione, o di un accenno al passato, o di
un'interruzione qualsiasi nel profondo silenzio della campagna. Siamo
nei pressi di Giurgiu, una cittadina della Valacchia, sul Danubio,
dove - dice un personaggio - "se si sta per molto tempo immobili
e si respira lentamente, senza fretta" si sente il fiume... "io
lo sento". Così, innocentemente e senza volerlo, egli apre un
piccolo, misterioso spiraglio sulla tragedia imminente. Come dichiara
egli stesso nella prefazione all' edizione francese del romanzo
(aveva appena ventott'anni quando lo scrisse), Eliade si proponeva,
nello scriverlo, di far apparire gradualmente "il fantastico
dissimulato nella quotidiana banalità". E, potremmo
aggiungere, il lato notturno di ciascuno di noi, che mai si stanca di
premere e di battere alle porte dello stupore e dell' ansia che
sempre ci tormentano. Ma nel libro di Eliade il "fantastico"
non è quello, soverchiante e talvolta gratuito, che distingue la
maggior parte dei romanzi dell'orrore. Il "fantastico"
della Signorina Christina è sempre reale: è comprensibile e
verosimile pur nella sua assoluta incomprensibilità e
inverosimiglianza. È la teoria eliadiana della dialettica
profano-sacro-profano. L'ombra del futuro storico delle religioni
(anche se Mircea Eliade tiene a dire che nei suoi testi letterari non
ha mai inteso sfruttare le sue conoscenze sull' argomento) rispunta
dietro il narratore: nel suo stesso modo di scrivere e di immaginare.
“la Repubblica”, 4
maggio 1984
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