Al senso della vita non penso mai: la
vivo», sorride Margherita Hack, toscana di Firenze, 83 anni,
professore emerito di astronomia nell'università di Trieste,
accademico dei Lincei. Dice che ha sempre cercato di fare il suo lavoro
nel miglior modo possibile e di andare incontro agli altri: «Sono
molto pratica e poco filosofa».
Non le sembra, comunque, che voler
rintracciare un significato degno sia un atto di presunzione. «È
una domanda legittima. Io ci penso ora, perché lei me lo chiede»,
torna a sorridere. «Ma non ci vedo nulla di arrogante nel riflettere
sul perché siamo a questo mondo, e siamo fatti in questo modo, e
abbiamo certi rapporti con il prossimo. Serve a qualcosa la nostra
vita? Sì, c'è il desiderio che serva: a quelli a cui vogliamo bene,
agli altri, a noi stessi. E c'è la voglia di lasciare qualcosa che
possa essere utile per il futuro».
I suoi studi confortano le aspirazioni,
dandole un significato sostanziale? «Faccio il mio lavoro di ricerca
con la curiosità di scoprire qualcosa dell'universo, di capire
meglio le leggi che regolano la natura e la vita delle stelle. Mi
domando quali sono i grandi problemi ancora aperti per la scienza e
quando saranno risolti, non solo nell'astrofisica. Ne esistono molti
nella biofisica, nelle biotecnologie. Sono questioni straordinarie:
la scienza potrebbe venirne a capo nel XXI secolo. Si fanno tanti
progressi prodigiosi nella comprensione del meccanismo degli esseri
viventi: conosciamo la mappatura del Dna, con le indagini sulle
cellule staminali siamo sempre più vicini a comprendere la vita.
Forse riusciremo anche a capire come sia stato possibile passare
dalle forme più complesse della materia inorganica alle forme vitali
più semplici. Mi pare che questo sia il massimo problema che la
scienza deve affrontare».
Nel momento in cui si interroga...
«Sono curiosità scientifiche, a cui cerco di rispondere».
In modo soddisfacente? «No. Sono idee.
Non posso fare esperimenti in questo campo. Mi posso chiedere qual è
stata l'origine dell'universo, perché è cominciata l'espansione
dello spazio. Non lo sappiamo: certezze ce ne son molto poche».
Queste domande non hanno a che fare col
senso possibile della sua vita? «L'universo è qualcosa di così
enorme, di così infinito, e le sue origini sono così lontane nel
tempo... Ripeto: son curiosità scientifiche. Senso della vita, per
una come me, è fare ricerca in maniera onesta per indagare al meglio
le questioni che sono irrisolte. Nel mio campo ce ne sono tante: in
cosmologia, in certi dettagli dell'evoluzione stellare... È
pressante l'interrogativo: "Siamo soli nell'universo? ".
Oggi che si scoprono tanti pianeti extra solari, la probabilità che
esistano altre forme di vita, anche elevate, è sempre maggiore. E
possiamo dare risposte meno azzardate di una volta».
In particolare? «Conosciamo 163
pianeti extra solari, cioè in orbita intorno a stelle diverse dal
sole. La "facilità" di scoprirne altri fa ritenere che,
forse, quando si forma una stella, si compone anche un sistema
planetario. E i pianeti sono importanti, perché la vita può sorgere
solo sui pianeti, non certo sulle stelle, che son troppo calde, né
nello spazio interstellare, che è troppo rarefatto. Queste scoperte
fanno ipotizzare che i pianeti siano diffusi, nell’universo, e,
possibilmente, siano diffuse anche le forme di vita. E quelle
elementari saranno molto più copiose di quelle elevate, che
richiedono numerose condizioni favorevoli concomitanti. Ai tempi di
Tolomeo si pensava che la terra fosse al centro dell'universo, fatta
apposta per l'uomo. Pensare ora che essa sia unica e sola a ospitare
forme di vita, soprattutto intelligenti, è un indice di
egocentrismo, di geocentrismo», sorride Margherita Hack. «E' molto
probabile che esistano altre civiltà Ma le distanze sono tali e la
velocità della luce è un limite insuperabile: quindi, sarà
praticamente impossibile venire a contatto fisico con queste forme di
vita. Un giorno, forse, ci riusciremo tramite le onde
elettromagnetiche: l'unico modo, non fantascientifico, di avvicinare
altri esseri intelligenti. Ma son tutte domande che riguardano la
scienza, la struttura dell'Universo: la sua possibilità di ospitare
la vita».
Non riconoscono un significato alla sua
attività di ricercatrice, in ultima analisi, alla sua esistenza?
«Allora bisogna chiedersi anche il
senso dell'universo. Perché l'universo è fatto in questo modo, e ha
permesso la formazione delle stelle, delle galassie, dei pianeti, e
quindi le condizioni per la vita?».
Riesce a ipotizzare delle risposte?
«Nooo. Penso che sia la struttura naturale della materia, che si
aggrega sotto l'azione delle gravità, a formare tutti gli oggetti
che poi hanno portato alla nascita delle forme di vita. Che senso ha,
perché c'è la gravità? Perché ci son le leggi fisiche? Son tutti
interrogativi a cui non sappiamo rispondere».
Un significato alto e compiuto del
vivere può nascere soltanto dall’esperienza personale? Sorride:
«Visto che penso che tutto sia
originato un po' dal caso o dalla natura della materia, e non certo
da un Dio che ci ha creato... Rispondere: un disegno divino, sarebbe
molto più facile e più comodo...».
Un utile soccorso? «La fede religiosa
potrebbe spiegare facilmente tutto. Se Dio è onnipotente, se può
qualsiasi cosa, se aveva il disegno di fare il mondo in questo modo,
si spiega tutto: non ci sono più domande da porsi. Ma è una
risposta che non mi piace e non mi soddisfa. Non credo assolutamente
in Dio. Preferisco dire che non capisco. Quindi la nostra vita può
avere un significato se siamo utili a chi ci circonda, agli esseri
viventi, uomini e animali... Ama il prossimo tuo come te stesso:
questo può essere il senso alto e compiuto della vita. Non c'è
bisogno di Dio».
Un senso alto e compiuto non potrebbe
determinarlo la maternità, o la paternità, insomma la procreazione?
«Per chi desidera figlioli, si. Io non ne ho mai desiderati. Non ho
mai avuto questa voglia di lasciare un'eredità in carne e ossa».
Non avendo il dono della fede, se la
conclusione è la morte, quali significati ultimi potrebbero
annullare psicologicamente l'angoscia della fine? «E' un'angoscia
che non ho mai provato: non mi importa nulla che dopo la morte non ci
sia più nulla di me. Non capisco questo tormento di volere restare
in qualche modo "viventi". Penso che sia, anche questa, una
manifestazione di troppo amore per se stessi. lo son convinta che
dopo la morte non ci son più, di me resterà la materia: i protoni,
gli elettroni, gli atomi, le molecole che hanno composto il mio corpo
e potranno andare a formare altri oggetti o esseri viventi o animali
che resteranno legati alla terra dalla forza di gravità, incapsulati
dentro l'atmosfera. Ma certamente non ci sarà nulla di me. E non me
ne frega proprio nulla»,
ride, divertita.
Il senso della vita gli sembra che
debba essere circoscritto al periodo in cui si vive:
«In questo spazio di tempo, 80 o 100
anni che siano, si deve cercare, secondo le nostre capacità, le
nostre possibilità, di fare bene il nostro lavoro. E di non fare
agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. E' un senso
limitato: non si domanda che cosa ci sarà dopo perché credo che non
abbia senso».
Ha realizzato quello che poteva,
sottolinea Margherita Hack: «Non sono stata un Einstein. Non ho
fatto grandi scoperte. Ho portato, nel mio campo, un contributo al
progresso della scienza. E l'ho fatta conoscere soprattutto ai
giovani, che sono molto interessati e contenti di imparare qualcosa.
Son riuscita a mettere su una scuola di ricercatori molto bravi. Ho
fatto fare un salto di qualità all’Osservatorio astronomico di
Trieste, che ho diretto per oltre 20 anni. Con il mio compagno ci
siamo sempre integrati, capiti, aiutati. E abbiamo aiutato le persone
che avevano bisogno di noi. Sotto questo aspetto credo che non siamo
stati del tutto inutili. Punto e basta. Mi sento abbastanza animale
da non interrogarmi troppo sul significato della vita: come il mio
cane e i miei gatti, che si godono la pappa e il sole», conclude,
con un sorriso.
Il Messaggero, 25 ottobre 2005
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