Una ricostruzione
giornalistica, davvero brillante e piena di ghiotte curiosità, della
Guerra d'Etiopia e delle cosiddette “sanzioni”. (S.L.L.)
Il tricolore sventola
sull'Amba Aradam. L'Amba Alagi di Toselli, altra geografia mitica
nella memoria nazionalistica, è ormai alla portata delle truppe di
Badoglio, rinvigorite dal primo, consistente successo. Non è costata
molto quell' avanzata: 36 ufficiali, 621 "nazionali" e 145
eritrei fra caduti e feriti. Il bilancio abissino è più funesto: 6
mila morti e 12 mila feriti. Ma "quei cadaveri di gente nera"
non commuovono Giuseppe Bottai, l'intellettuale del regime. Ha
partecipato, in prima linea, alla battaglia e scrive: "Questa
morte di colore sembra mascherata". La sua fredda confessione di
razzismo non è molto distante dai comuni sentimentali nazionali.
L'Italia esulta per quella vittoria e canta: "Se l' abissino è
nero/gli cambierem color/a colpi di legnate/poi gli verrà il
pallor".
Il fronte interno è
compatto, schierato, orgoglioso. La sua guerra è quella delle
Sanzioni. Il suo nemico è l' Inghilterra, la "perfida Albione":
l' Etiopia, dove si combatte, rimane quasi sullo sfondo. Si tira la
cinghia, ma non molto, all'insegna di uno slogan che liquida la
voglia di fesa, di filetto: "Due etti di italianissima robiola
nutrono più di una bistecca straniera". Del resto, siamo
abituati alla carne in tavola una volta alla settimana. Le
statistiche di qualche anno prima rivelano che il nostro consumo
annuo è di 16,3 chili, contro i 39 della Francia e i 63,7 dell'
Inghilterra. Dunque, si tratta di fare soltanto un ulteriore
sacrificio, compensato magari dalla filastrocca: "La patata e il
pomodoro/ hanno tanta vitamina/ noi cantiamo lieti in coro/
l'Inghilterra non ci mina". I giornali pubblicano una velina del
Minculpop: "L' eccesso dell' alimentazione carnea è anch' sso
una moda straniera contraria alle esigenze del nostro clima". Se
non c'è manzo o vitello, si ripiega sul nazionale coniglio che il
segretario del partito Starace esalta, in una circolare ai federali
tesa a stimolare la coniglicoltura. Il comandamento è "giù la
pancia, su il cuore".
L'inverno del 35-' 36 è
rigido. Le Sanzioni spengono stufe e caloriferi. Ma ci si consola,
pensando che, come dice una spontanea scritta d'osteria, "il
barbera riscalda più del carbone". Inneggiando all'attributo
latino, forse volitivo come la romanità dell'ideologia, si irride
all'Inghilterra con un'invettiva in versi: "Sanzionami questo/
amica rapace/ lo so che ti piace/ ma non te lo do". Lo sberleffo
si alterna al roboante "serrando i denti, la cinghia e
costruendo fucili" di Vasco Pratolini che, ventiduenne, promette
sul "Bargello": "Il popolo italiano, universale e
paesano, sopportatore e mistico, ribelle e vendicativo, reggerà
all'assalto economico". Lo sberleffo è il momento, come scrive
Corrado Alvaro in Quasi una vita, il suo diario, "in cui
si ride fragorosamente di un potente davanti a cui si era sempre
stati in rispetto: è quello che lusinga oggi l'amor proprio italiano
di fronte agli inglesi". Non è cupo il clima del fronte interno
nei mesi delle Sanzioni che il regime definisce "un'enorme
ingiustizia contro l'Italia, alla quale tanto devono le civiltà di
tutti i Continenti". Si vive spavaldamente l'autarchia come
risposta all'"assedio economico". "Qui si vendono solo
prodotti nazionali": questo è l' orgoglioso cartello esposto
nei negozi. La pubblicità insiste persino sull'italianità del
rossetto: "I tuoi baci sono più saporiti"; "Certo,
amore, il mio rossetto è nazionale". Si scopre che il caffè
"fa male", che il carcadè è più profumato del tè, che
l'orbace è un "tessuto sportivo, guerriero, buono anche per lo
sci". Dall'ordine "vestire italianamente, nasce la moda
nostrana ed è la prima volta che le signore voltano le spalle ai
figurini di Chanel, di Vionnet, di Balenciaga. Privato delle lamelle
d'acciaio necessarie a supportare l'arco del piede, Ferragamo inventa
le suole ortopediche. Lo sdegno per "l' arteriosclerosi
agglomerata di Ginevra", come D'Annunzio definisce la
sanzionistica Società delle Nazioni, fa sopportare l'idea del
lanital che dovrebbe sostituire il tweed. Si può dimenticare il
lino, il cotone, se Mussolini dice meraviglie della fibra cisalfa, un
composto di cellulosa e di sostanze proteiche, e rivela il miracolo
della nostrana, leopardiana ginestra nel settore tessile. Si ha cieca
fiducia nella carbonella, nei surrogati della benzina e un po' trova
credito anche un progetto di trasformazione dell'acqua marina in oro.
Alle 11 di sera, cinema e teatri chiudono perché è necessario
risparmiare energia. Ma l'austerity non punisce i botteghini
di "Amo te sola" con De Sica e Milly, il forse platonico
amore del principe Umberto, di Aldebaran, film fra il
sentimentale e il guerresco di Blasetti, e del Cappello a tre
punte con i De Filippo. Le pellicole (allora, si chiamavano così)
americane non sono bandite. Anzi. Gli Stati Uniti non fanno parte
della Lega sanzionistica. Trionfano Shirley Temple nel Piccolo
colonnello, Joan Crawford in La donna è mobile e Barbara
Stanwich in La sposa nell'ombra". L'anglofobia dà invece
l'ostracismo alle commedie inglesi, ma non osa espellere Shakespeare
e chiude un occhio su Bernard Shaw perché da bastiancontrario qual
è, ha ruggito contro le Sanzioni. L' autarchia è anche linguistica.
Le sigarette Giubek vengono ribattezzate Giuba. La chiave inglese
diventa chiave-morsa; il cognac diventa l'arzente; il ferry boat
treno-pontone. A Roma, l'albergo Eden deve cambiare nome a furor di
popolo. I proprietari hanno un bel dire che quell' insegna si
riferisce al vecchio paradiso terrestre. Sarà, ma fa pensare al
ministro degli Esteri inglese, al nemico Anthony Eden. Anche l'eroe
dei fumetti Brick Bradford si trasforma in un più casereccio Guido
Ventura.
Il costo della vita
cresce. Sul mercato internazionale, l'indice dei prezzi registra,
dall' agosto 1934 alla seconda metà del ' 36, un aumento del 14 per
cento. In Italia, nello stesso periodo, il balzo è del 37,7 per
cento. I salari, già taglieggiati tre volte dal 1927, si abbassano
di 14 punti, nel biennio ' 34-' 35. Il panorama non è allegro: il
solo dato confortante è il calo della disoccupazione di circa 250
mila unità, perché la guerra ha bisogno di soldati e di braccia. Ma
la vita continua. Cortina inaugura una nuova sciovia. Macario e le
sue donnine non hanno problemi d'incassi con la rivista Il mondo è
allegro. Emilio e Arturo Schwarz, con i biondissimi eserciti
delle ballerine mitteleurepee, portano un sogno ariano nelle alcove e
nei matrimoni dei "cumenda". Gandusio, interprete
dell'Asino di Buridano, conforta di risate quell'inverno di
guerra. Gli "assediati" stanno appesi alla radio per I
quattro moschettieri di Nizza e Morbelli e sono disposti a tutto
pur di procurarsi il Feroce Saladino e il Cagnolino pechinese, le più
introvabili fra le figurine del concorso Perugina. Probabilmente la
vita sarebbe stata assai buia, se le Sanzioni, decretate l'11 ottobre
e applicate dal 18 novembre, fossero state un po' meno aggirabili, se
il fronte dell'embargo fosse stato più coerente. Non fu un vero e
proprio assedio, nè un cappio al collo. Neppure l' Inghilterra fu
totalmente lineare. Permise alla Rolls Royce di venderci cento motori
per aerei e, sebbene spingesse la Società delle Nazioni ad allargare
l'embargo anche al petrolio, rifornì sempre le nostre navi in
transito a Suez. Sul petrolio ("Se avessero chiuso i rubinetti,
avrei dovuto battere in ritirata", dirà più tardi Mussolini)
fu ambigua anche l'Urss che addirittura, a partire dal febbraio 1936,
vale a dire nel pieno del nostro sforzo bellico, aumentò le
esportazioni verso l'Italia.
Furono sanzioni morbide
anche sugli altri prodotti. La Svizzera, ufficialmente, e il Belgio,
un po' dietro le quinte, non se la sentirono di perdere il nostro
mercato. Non è che tutto continuasse come prima. Sanzioni e
conseguente autarchia determinarono un fortissimo taglio delle
importazioni. Minerali di ferro: 75 per cento in meno. Lana: 60 per
cento. Acciaio e cotone: 50 per cento. Carbone: 20 per cento. Ma
l'effetto non fu letale nè per la guerra, nè per l'esistenza
quotidiana della società tricolore. "Il risultato fu nefasto,
ma negli anni successivi, come riflesso", dice l'economista
Carlo Scognamiglio, "l'avvio dell' autarchia, l'innestarsi del
protezionismo permisero alle industrie di evitare il rammodernamento
degli impianti. Nell'immediato, diedero respiro alle imprese,
rialzando i profitti. Ma quell'ibernamento degli impianti lo abbiamo
pagato anche vent'anni dopo. Quel che è più grave, il protezionismo
arrivò a scombussolare un momento economico molto delicato, quello
del processo di riforma avviato da Menichella, Beneduce e Giordano, e
lo bloccò".
Non mortali, non tali da
strozzare la nostra economia, le Sanzioni si rivelarono per il
fascismo, che seppe sfruttarle propagandisticamente con una sapiente
virulenza, un miracoloso propellente di consenso. Politicamente
furono un toccasana, la ciliegina sopra la torta propagandistica
dell'Italia proletaria tenuta al bando dall'egoismo delle grandi
potenze, costretta alle briciole coloniali di Versailles: "L'Italia
che dice alle nazioni pingui e conservatrici: Ora basta. Giù le
mani. Qualcosa anche a noi". Furono le Sanzioni a
catapultare il regime e quel conflitto verso una quasi totale
adesione ideologica, a rendere "popolare, come scrive lo storico
Chabod, una guerra che non lo sarebbe mai stata", a "frantumare
l' ultimo residuo di resistenza al fascismo in Italia", come
disse lo stesso Mussolini. In quei mesi, dall' esilio di Parigi,
Carlo Rosselli, il fondatore di "Giustizia e Libertà",
prese atto di quel che avveniva in Italia: "È necessario
riconoscere, con franchezza virile, che il fascismo, almeno sul piano
interno, esce rafforzato da questa crisi". Le sanzioni
alimentarono quello che si potrebbe definire il "sentimento
Piave". Il 18 novembre, "data di ignominia e di iniquità
nella storia del mondo", è vissuto come il momento della
patria in pericolo, del nemico in casa. In Etiopia, si combatte una
guerra d' aggressione.
Sul fronte interno, una
guerra difensiva. È la trincea del Piave, non quella dell'Isonzo e
della Bainsizza. Le Sanzioni mettevano in gioco il destino
dell'Italia o almeno così si credeva, perché erano alte e furiose
le grida del regime che gonfiava la reale minaccia e la perfidia
della Gran Bretagna. Tutto ciò eliminava, come scrive lo storico
Renzo De Felice, "alla radice ogni altro problema", ogni
distinguo ideologico. È difficile capirlo se non ci si pone nella
prospettiva di una cultura che, anche nell'antifascismo liberale, era
intrisa di nazionalismo, di patriottismo. Quello fu l'ultimo colpo di
aratro su un terreno che la propaganda aveva già profondamente
dissodato, con perizia di toni, di temi e con una magistrale capacità
nell'uso delle nuove tecniche di comunicazione di massa, del
monopolio dei mezzi: giornali, cinema e radio.
L'azione era stata
accelerata verso il giugno del 1935, tre mesi prima della guerra,
quando Carmine Senise informò Galeazzo Ciano, sottosegretario alla
Stampa e Propaganda, "sullo stato non del tutto soddisfacente
dell' opinione pubblica". Correva un senso di inquietudine,
anche se cominciavano ad attecchire i temi della missione
civilizzatrice, dell'Abissinia schiavista (si sottaceva ovviamente lo
sforzo riformatore del Negus), dell'Etiopia come Eden di materie
prime, del diritto al posto al sole e tornavano a galla gli antichi
veleni di Adua, delle sconfitte da vendicare. Senise chiese di
attivare la propaganda. Il regime lo fece. "Fu un piccolo
capolavoro", dice lo storico Giordano Bruno Guerri, "toccarono
tutte le corde: l'orgoglio nazionale; la proterva ingordigia dei
Paesi ricchi; la guerra come marcia da Roma per chi non aveva fatto
la marcia su Roma; la conquista come garanzia di diffusione del
cattolicesimo; persino l'erotismo esotico con quelle cartoline di
"faccette nere" a seno nudo. L'entusiasmo, però, stentava
ad ingranare. Era la paura che l'Inghilterra cominciasse a
bastonarci. Quando ci accorgemmo che abbaiava molto ma mordeva poco,
venne a galla l'esaltazione e trovò lievito nell'"offesa"
delle Sanzioni. Fu allora che la guerra fascista divenne guerra
nazionale". Sono le Sanzioni che fanno uscire dal guscio del
Vittoriale, dall'esilio dorato della sua vecchiezza Gabriele
D'Annunzio: "I miei legionari partono tutti per l'Africa. Io sul
principio soleva placare l'eccesso dell'ardore, persuadendoli come
quella non fosse guerra nazionale ma coloniale. Oggi, la grigia
imbecillità inglese e l'immonda cupidigia e l'ingiustizia testarda
mi eccitano a dichiararla nazionale, anzi latina, anzi romana".
È il "sentimento
Piave" che spinge Vittorio Emanuele Orlando, il presidente della
Vittoria, a offrire la propria collaborazione a Mussolini: "In
questo momento ogni italiano deve essere presente per servire".
Naufraga, sull'onda della patria in pericolo, il socialismo del
grande vecchio Arturo Labriola che esprime "piena solidarietà".
Nella giornata dell'oro alla patria, il 18 dicembre, finiscono nei
bracieri le medagliette di senatori di due mitici oppositori:
Benedetto Croce e Luigi Albertini. Il consenso all'idea di patria si
mischia e si confonde con il consenso al fascismo che, in parallelo
con le prime vittorie in Abissinia, esplode come scrive De Felice,
"in forme e manifestazioni senza eguali in tutto l'arco del
regime". Quando si tirano le somme della raccolta di oro e
argento, di fedi nuziali (in cambio le madri e le spose ricevono un
anelluccio d'acciaio a consacrare come liricizza Ada Negri "superbe
nozze con la patria"), medaglie, gioielli, candelabri,
zuccheriere e servizi di posate, si scopre che l'oro ammonta a quasi
34 mila chili e l' argento a 93 mila. Mai consenso e appoggio hanno
avuto una così palpabile evidenza e la scrittrice Milly Dandolo può
dare ali alla penna: "Sappia il mondo che quest'oro è diverso
da quello che si compra e si vende comunemente. Non c' è bilancia
che possa misurare il suo peso. Potrebbe valutarlo solo la bilancia
della Giustizia".
Il fenomeno scombussola
le precedenti valutazioni politiche. "Stato Operaio", la
rivista ideologica dei comunisti fuoriusciti, scrive: "Il
fascismo è riuscito per il momento a fanatizzare vasti strati di
piccola borghesia, ma anche una parte non indifferente della gioventù
proletaria e larghi strati della popolazione lavoratrice".
Intanto, al "sentimento Piave" si aggiunge l'euforia per
l'offensiva di Badoglio. Adesso che l'armata di ras Mulughietà,
priva del suo comandante colpito a morte da un mitragliamento aereo
mentre cercava di vendicare il figlio caduto in un agguato dei
predoni Azebo Galla, sbanda in ritirata, non è un problema
conquistare anche il secondo bastione naturale verso il cuore
dell'Etiopia, L' Amba Alagi. Il 28 febbraio 1936, la "montagna
di Toselli è redenta", telegrafano i corrispondenti di guerra.
Negli stessi giorni, le armate di ras Cassa, di ras Sejum, nel
Tembien, e quella di Ras Immirù, nella regione dello Scirè, vengono
accerchiate. Solo i brandelli dell' esercito imperiale riescono ad
uscire dalla sacca, si aprono un varco con le sciabole e i bastoni.
La superiorità italiana è totale. Il peso dell'aviazione, che
scarica 195 tonnellate di esplosivo e, secondo gli etiopi, anche
iprite, risulta determinante. L'Etiopia muore e, sulla sua pelle, le
potenze europee, nel tira e molla sull'embargo del petrolio, giocano
una partita che ha come posta il revanscismo hitleriano e il ruolo
dell' Italia di Mussolini in questo o quello schieramento.
“la Repubblica” - 8
ottobre 1985
Nessun commento:
Posta un commento