1976 - Terremoto a Udine |
In Italia abbiamo una
vecchia esperienza delle «catastrofi che si abbattono sul paese» ed
abbiamo una certa specializzazione nel «montarle». Terremoti,
eruzioni vulcaniche, inondazioni, nubifragi, epidemie...
Indiscutibilmente gli
effetti sono sensibili soprattutto sui popoli ad alta densità e più
poveri, e se cataclismi spesso più terrificanti assai dei nostri si
abbattono su tutti gli angoli della terra, non sempre tali
sfavorevoli condizioni sociali coincidono con quelle geografiche e
geologiche. Ma ogni popolo ed ogni paese ha le sue delizie: tifoni,
siccità, maremoti, carestie, onde di caldo e di gelo ignote a noi
del « giardino d'Europa »; e aprendo il giornale se ne trova
immancabilmente più di una notizia, dalle Filippine alle Ande, dalla
calotta glaciale ai deserti africani.
Il nostro capitalismo,
come cento volte detto, poco importante quantitativamente, ma
all'avanguardia non da oggi, in senso «qualitativo», della borghese
civiltà, di cui offrì i più grandi precursori tra lo splendere del
Rinascimento, ha sviluppato in modo maestro l'economia della
sciagura.
Noi non ci sogniamo di
spremere una lagrimuccia se i monsoni spiantano intere città sulle
coste dell'Oceano Indiano, e se le sommerge nel raz de marée,
il mare scatenato, da terremoti subacquei, ma per il Polesine abbiamo
saputo fare arrivare elemosine da tutto il mondo.
La nostra monarchia era
gloriosa per sapere accorrere non dove si danzava (Pordenone) ma dove
si moriva di colera (Napoli), o sulle rovine di Reggio e Messina rase
al suolo dalle scosse sismiche del
1908. Oggi il nostro
pezzettino di Presidente lo hanno portato in Sardegna e, se gli
stalinisti non han detto balle, gli hanno fatte vedere squadre in
azione di « lavoratori di Potemkin » che poi correvano all'altra
bocca di scenario, come fanno i guerrieri dell'Aida. Dalle acque del
Po esondato non si faceva a tempo a trarre i profughi, ma ben vi si
ponevano a mollo stival-gommati deputati deputatesse e ministri, dopo
aver predisposto macchine da presa e microfoni per la pitoccata
mondiale in grande stile.
Qui abbiamo la formula
geniale: interviene lo Stato! E la stiamo applicando da buoni
novant'anni. Il sinistrato italico di professione al posto della
grazia di Dio e della mano della Provvidenza ha posto il contributo
statale, ed è convinto che il bilancio nazionale ha limiti più
vasti della misericordia del Signore. Un buon italiano spende con
gioia diecimila lire spremute dalle sue tasche per arrivare dopo mesi
e mesi a «mangiarsi mille lire del governo». E non appena in una di
queste contingenze periodiche, che oggi si chiamano con termine di
moda emergenze, ma che affiorano ad ogni novella stagione, si
innestano le immancabili misure e provvidenze del potere centrale,
una banda di non meno specializzati «sinistristi», rimboccatesi
le maniche, si tuffa nella ruffianeria delle pratiche e nell'orgia
degli appalti.
Con autorità, il
ministro delle Finanze di turno, oggi Vanoni, sospende ogni altra
funzione dello Stato e dichiara che non darà un soldo di finanza per
tutte le altre « leggi speciali », perché tutti i mezzi vanno
convogliati nei provvedimenti per la sciagura di attualità. Miglior
prova non si potrebbe avere che lo Stato non serve a nulla e che se
la mano di Dio ci fosse, farebbe un vero regalo ai sinistrati di
tutti i tipi terremotando o bancarottando questo Stato ciarlatano e
dilettante.
Ma se la scempiaggine del
piccolo e medio borghese rifulge al massimo quando cerca rimedio al
terrore che lo gela nella tepida speranza del sussidio e
dell'indennizzo largitogli dal governo, non meno insensata appare la
reazione dei capoccia delle masse lavoratrici che nel disastro, essi
gridano, hanno tutto perduto, e purtroppo non le loro catene.
Questi capi che si
pretendono «marxisti» hanno, in queste congiunture supreme, che
spezzano nel proletariato il benessere derivante dal normale
sfruttamento capitalistico, una formula economica più scema ancora
di quella dell'intervento di Stato. La formula è ben nota: paghino i
ricchi! Vanoni viene allora vituperato perché non ha saputo scoprire
e tassare gli alti redditi. Ma un briciolo solo di marxismo basta a
stabilire come gli alti redditi allignano dove avvengono le alte
distruzioni, e su esse si innestano i grandi affari. La borghesia si
paghi la guerra! dissero nel 1919 quei falsi pastori anziché
invitare il proletariato ad abbatterla. La italica borghesia è
sempre lì, e con entusiasmo investe i suoi redditi nel pagarsi
guerre ed altri flagelli, che glieli riportano quadruplicati.
Da Omicidio dei morti
in « Battaglia comunista
», 19-31 dicembre 1951, n. 24.
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