«Se volete somigliare a
Gesù Cristo, siate martiri e non carnefici». Lo scriveva Voltaire
nel Trattato sulla tolleranza, bollando i roghi della
giustizia ecclesiastica. Lo ripete Andrea Del Col nel ponderoso
volume L'Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo
(Mondadori). La sua coscienza di cristiano è turbata dai mille anni
di coercizione religiosa promossa da Roma, ma il lettore non dovrà
aspettarsi cedimenti al facile moralismo che domina le indagini
storiche degli ultimi anni. Chi di recente ha tentato di assolvere
l'Inquisizione vinto da nostalgie reazionarie non ha mai messo piede
in archivio, ricorda l'autore; chi ancora ne dipinge le procedure a
tinte «neogotiche», ignorando i risultati di molte ricerche
rigorose, ricicla stereotipi della propaganda di quei protestanti che
in età moderna non furono più teneri dei cattolici quando si trattò
di annientare i «nemici».
Del Col ha la capacità
di esporre i fatti in modo chiaro anche a chi nulla sa dei dibattiti
che impegnano gli storici di professione (virtù rara); e ha il
coraggio di raccontarne per la prima volta tutta la lunga vicenda
dalla lotta anticatara alla condanna della Teologia della
liberazione. Poiché Roma ospita il papato parlare di Inquisizione
nel nostro paese significa interrogarsi sulla «mancata Riforma» in
Italia: una questione che ha alle spalle una lunga (e stanca)
tradizione. E tuttavia il libro non assume né la prospettiva
giacobina di De Sanctis né quella, più sfumata, di Croce (e di
Gramsci). Più che di eretici l'autore parla di giudici, per dirci
che l'Inquisizione non costituì un incidente di percorso nella
storia della Chiesa. Fondato sul diritto canonico e radicato in una
teologia che giustifica la coercizione religiosa, il Sant'Uffizio
condizionò la struttura dogmatica e lo scontro di potere interno
alla gerarchia. Che dopo due secoli un papa provenga di nuovo da una
carriera interna alla Congregazione per la Dottrina della Fede (il
nome che il Sant'Uffizio ha assunto dopo il Vaticano II) rivela che
quella storia non è affatto conclusa. Né si può dire, con la
domanda di perdono pronunciata da Giovanni Paolo II, che l'errore è
stato dei singoli e non dell'intera istituzione, se di errore si deve
parlare in sede storica.
Il Giubileo del 2000,
ricorda Del Col, ha permesso agli studiosi di accedere a fonti sino
ad allora inaccessibili, ma la riflessione sull'Inquisizione deve
molto alla caduta del franchismo in Spagna e alle ricerche di storici
della cultura popolare (Carlo Ginzburg), a interpreti del peso
dell'egemonia cattolica in Italia (Adriano Prosperi), a chi ha posto
in rilievo quanto abbia contato l'apparato penale dell'Inquisizione
nella nascita del reato d'opinione (Elena Brambilla) e a chi ha
ricostruito le vicende dei processi e della censura (Massimo Firpo,
Gigliola Fragnito) o l'assenza di cacce alle streghe nell'Italia
moderna (Giovanni Romeo).
Del Col sistema decenni
di ricerche; ricorda che la lotta antiereticale fu condotta con il
consenso degli Stati, della rete ecclesiastica ordinaria e di larghi
settori della popolazione; rileva ancora una volta che i roghi di
streghe in età moderna furono pochi se li si paragona a quelli
d'Oltralpe, anche se fu l'Inquisizione a creare il paradigma
demonologico. E tiene conto di nuove domande: che peso ebbe
l'Inquisizione nel formare la disciplina quotidiana del cristiano; se
incise di più l'espurgazione o la condanna dei libri, e quanta
efficacia ebbe la censura; se si passò il confine che separa
antigiudaismo e antisemitismo; come quell'istituzione maschile
contrastò i carismi femminili; come mise sotto controllo il culto
dei santi e come arginò gli scandali sessuali in confessionale
(facendo però sapiente uso del perdono sacramentale per indurre
pentiti e fedeli alla delazione e abbreviare così le cause con
procedure sommarie).
Infine, Del Col fa un
passo in avanti, e si mette a contare. Può apparire oziosa la
numerologia delle vittime, ma sapere che i roghi sono stati poco più
di mille in trecento anni, in una percentuale piuttosto bassa sul
totale dei processi, e concentrata durante l'emergenza ereticale del
Cinquecento, mette davanti a dati di fatto prima che alle
interpretazioni. Fa riflettere che le Inquisizioni spagnola e
portoghese abbiano ammazzato di più; che abbiano ammazzato di più
(e con minore rispetto delle regole del tempo) i tribunali riformati
e quelli statali, che dai giudici papali impararono.
D'altra parte, Del Col
non intende sostituire la leggenda nera con un mito opposto. La
misura dell'attività giudiziaria prova che il tribunale fu
pervasivo, che seppe uniformare. Né, si legge, la sua attività calò
nel Settecento, come si sostiene in base alla burocratizzazione del
Sant'Uffizio e all'inefficace contrasto opposto a giansenisti,
illuministi e massoni. La sindrome da assedio di cui si nutrì per
secoli alimentò in età contemporanea la condanna del marxismo,
dell'evoluzionismo, del liberalismo e dell'emancipazione ebraica. E
sapere che Angelo Roncalli (più tardi Giovanni XXIII) finì nella
rete di delatori negli anni dell'ossessione antimodernista, certo non
consola.
“il manifesto” 19
gennaio 2007
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