Due libri
recenti, Alessandro Magno. Eroe arabo nel Medioevo di Marco
Branco e Architetture del commercio e città del Mediterraneo
di Alireza Eslami, con la riedizione del Viaggio alla Mecca di
Ludovico de Varthema, confermano l'intensità degli intrecci
mercantili e culturali sulle rotte mediterranee in età medievale e
oltre
La partenza di Marco Polo in una miniatura medievale |
Dopo la caduta della pars
Occidentis, il mare nostrum dell'impero romano aveva
trovato nuovi dominatori. Al volgere del primo millennio d.C., il
commercio mediterraneo era saldamente nelle mani dei mercanti
bizantini e soprattutto arabi. Costantinopoli era il grande centro di
smistamento di tutte le merci che venivano dal mar Nero, dal nord
(attraverso i fiumi russi, il Don soprattutto, arrivavano le
pellicce, il miele, il legname, l'ambra) e soprattutto dal sud e
dall'estremo Oriente, aree da cui giungevano i prodotti più
pregiati.
Altri
empori importanti erano Antiochia, Alessandria d'Egitto e Damietta
sulla foce del Nilo, e Beirut, che era il porto «naturale» della
città di Damasco. Damasco a sua volta era il grande emporio a cui
arrivano le merci pregiate, soprattutto le spezie, dal centro
dell'Asia o dall'Asia estrema. Ma le spezie arrivavano anche
dall'Asia per via di mare, attraverso l'Oceano Indiano, col favore
del clima monsonico che permetteva sviluppi abbastanza rapidi della
marina
a vela. Attraverso l'Oceano Indiano le flotte cinesi, indiane, arabe
portavano le spezie di Giava, di Sumatra, della Malesia fino al Corno
d'Africa; e da qui passavano all'Egitto attraverso il Nilo, oppure
risalivano il Mar Rosso e in questo caso arrivavano tanto, di nuovo,
in Egitto quanto verso la Siria, la Palestina e così via.
Il
bazar genovese
Anche se
le merci più pregiate provenivano dal continente asiatico, i
traffici mediterranei avevano un segmento importante anche nella
porzione occidentale del Mediterraneo, una sorta di imperfetto
triangolo che collegava Sicilia, Maghreb e al-Andalus. Gli archivi
della Geniza del Cairo conservano documenti dai quali emerge una
presenza precoce di mercanti occidentali che si muovevano fra questi
porti, e anche oltre. Mercanti baresi, veneziani, amalfitani, pisani
e genovesi sono attestati in molti porti del Mediterraneo bizantino e
arabo già dal X secolo. Dal successivo, tuttavia, alcune fra queste
città si fecero più intraprendenti, accostando brevi spedizioni
militari al normale traffico dei commerci.
Intorno
al Mille diversi centri urbani italo-bizantini affacciati sul mare
avevano già raggiunto livelli di vita e capacità commerciali assai
elevate. Dal principio del IX secolo Amalfi, Napoli e Salerno
battevano una moneta propria, che derivava dal tarì arabo, segno che
l'Islam, non solo Bisanzio, era la loro area privilegiata di scambio.
Da questi intrecci prende le mosse Alireza Naser Eslami in
Architetture del commercio e città del Mediterraneo. Dinamiche e
strutture dei luoghi dello scambio tra Busanzio, l'Islam e l'Europa
(Bruno Mondadori 2010, pp. 218, euro 21): uno studio in cui si
evidenzia come questa rete abbia influito sui destini architettonici
delle città commerciali.
Fra tutti i centri italo-bizantini, comunque, doveva essere Venezia a lanciarsi verso un futuro di grande portata, riuscendo a intrecciare interessi fondiari e commerciali con attività agricole e finanziarie in un impero marittimo di immensa portata. Resa sicura la navigazione in Adriatico tra il IX e il X secolo con la forza e con gli accordi, al principio dell'XI secolo la rete di interessi dei veneziani si estendeva fra Costantinopoli, la costa siro-libano-palestinese, il nord-Africa e la Sicilia. Nonostante i reiterati divieti imperiali, da Oriente e da Occidente, e papali, Venezia vendeva agli arabi generi proibiti come il legname, il ferro e gli schiavi provenienti soprattutto dall'Istria, dalla Slovenia e dalla Croazia.
Fra tutti i centri italo-bizantini, comunque, doveva essere Venezia a lanciarsi verso un futuro di grande portata, riuscendo a intrecciare interessi fondiari e commerciali con attività agricole e finanziarie in un impero marittimo di immensa portata. Resa sicura la navigazione in Adriatico tra il IX e il X secolo con la forza e con gli accordi, al principio dell'XI secolo la rete di interessi dei veneziani si estendeva fra Costantinopoli, la costa siro-libano-palestinese, il nord-Africa e la Sicilia. Nonostante i reiterati divieti imperiali, da Oriente e da Occidente, e papali, Venezia vendeva agli arabi generi proibiti come il legname, il ferro e gli schiavi provenienti soprattutto dall'Istria, dalla Slovenia e dalla Croazia.
Poiché
siamo soprattutto portati a valutare la presenza dei mercanti europei
in Oriente, con i loro fondaci, tendiamo spesso a dimenticare quanto
i mercanti arabi fossero presenti in Occidente. E non solo loro:
«Molti stranieri - scrive Eslami - si stabiliscono anche a Venezia
che, tra la fine del XII e gli inizi del XIV, diviene uno dei nodi
più importanti di scambio commerciale tra Oriente e Occidente: agli
Italiani di altre città si uniscono Dalmati, Albanesi, Turchi,
Tedeschi, Persiani, Greci, Armeni, Arabi, Ungheresi, Russi e
naturalmente Ebrei. La presenza di una colonia greca, già a partire
dal IX secolo, è da ritenere probabile (...). I Turchi abitavano a
San Giacomo dall'Orto, nel Fondaco dei Turchi. Sul Canal Grande vi
era invece il Fondaco dei Persiani, per non parlare del noto Fondaco
dei Tedeschi».
Altrove,
più che singole emergenze architettoniche, è la struttura della
città a evocarne la vocazione mediterranea: «Un elemento più volte
sottolineato ed osservato è il fatto che nella Genova medievale
mancava una "piazza" che fosse dimensionata in base alle
esigenze comunitarie dell'intera cittadinanza. Ciò, invece, accadeva
di norma in tutte le altre città europee del Medioevo. La
spiegazione di questa circostanza è che la funzione assolta, nelle
altre città, dalla piazza comunale, era assolta a Genova dal
complesso bazarra di Ripa: la vasta rete commerciale che si forma va
a costituire uno spazio così esteso da diventare il più importante
spazio collettivo per eccellenza in cui incontrarsi e scambiare,
oltre alle merci, anche esperienze di vita sociale. Questa eccezione
conferma in tutta chiarezza la regola, anche se appartenente a un
altro sistema urbano. Si tratta della "regola", per così
dire, tipica delle città islamiche del Medioevo, caratterizzate
dall'assenza della piazza: erano infatti qui le strutture del suq e
bazar ad assorbire tutte le funzioni collettive».
Alcuni storici hanno usato il concetto di «rivoluzione commerciale» per indicare il complesso di fatti economici, sociali, tecnologici che hanno accompagnato il ridursi in Europa dell'importanza dell'agricoltura come traino dell'economia, e l'affermarsi di attività diverse: il commercio, l'artigianato su scala manifatturiera, gli strumenti di cambio e di credito, ossia l'insieme di fattori che hanno consentito il costruirsi delle città euromediterranee e a decretarne alla lunga il trionfo. Difatti, nel corso del Duecento, la bilancia commerciale (fino ad allora favorevole al Vicino Oriente) si invertì, e grazie all'afflusso di oro nelle casse dei mercanti latini l'Europa poté accedere alla coniazione della moneta d'oro, dal IV al XIII secolo privilegio praticamente esclusivo dei bizantini e di alcuni potentati musulmani. Non bisogna però neppure dimenticare che il successo non si basava su meccanismi di esclusione, ma anzi di condivisione di modelli e di interessi; è insomma il tessuto multiculturale di Venezia e Genova, la capacità di assorbire le migliori novità e di farle proprie, la ragione del loro tronfo.
Alcuni storici hanno usato il concetto di «rivoluzione commerciale» per indicare il complesso di fatti economici, sociali, tecnologici che hanno accompagnato il ridursi in Europa dell'importanza dell'agricoltura come traino dell'economia, e l'affermarsi di attività diverse: il commercio, l'artigianato su scala manifatturiera, gli strumenti di cambio e di credito, ossia l'insieme di fattori che hanno consentito il costruirsi delle città euromediterranee e a decretarne alla lunga il trionfo. Difatti, nel corso del Duecento, la bilancia commerciale (fino ad allora favorevole al Vicino Oriente) si invertì, e grazie all'afflusso di oro nelle casse dei mercanti latini l'Europa poté accedere alla coniazione della moneta d'oro, dal IV al XIII secolo privilegio praticamente esclusivo dei bizantini e di alcuni potentati musulmani. Non bisogna però neppure dimenticare che il successo non si basava su meccanismi di esclusione, ma anzi di condivisione di modelli e di interessi; è insomma il tessuto multiculturale di Venezia e Genova, la capacità di assorbire le migliori novità e di farle proprie, la ragione del loro tronfo.
Gli
scambi non erano ovviamente limitati alle questioni economiche,
perché la circolazione culturale attraverso il Mediterraneo è fra i
cardini di tale sistema. Un esempio peculiare di quanto andiamo
dicendo è ben illustrato da Marco Branco in un breve ma denso
scritto: Alessandro Magno. Eroe arabo nel
Medioevo (Salerno) illustra infatti la
fortuna della tradizione e della fama del conquistatore macedone in
Oriente. In un certo senso, è come vedere un'immagine rovesciata in
uno specchio; siamo abituati a un Alessandro letto «da Occidente»,
a partire dal Romanzo di Alessandro, una raccolta di racconti
leggendari sulla sua vita assemblata ad Alessandria presumibilmente a
partire dal III secolo a.C., e poi tradotto in un'infinità di
lingue. Dalla versione latina avrebbero preso piede i rimaneggiamenti
nelle lingue volgari d'Europa. Ma dall'originale greco partirono
anche le traduzioni in slavo, in persiano, in arabo; da questa fonte
deriva presumibilmente la citazione al mito di Alessandro che il
Corano riporta nella Sura XVIII, La
Caverna.
Dall'Europa
al Siam e ritorno
Se nella
tradizione europea l'ardore militare di Alessandro diventa il
prototipo per ogni eroismo cavalleresco, la sua ferocia lo rende a
volte modello della tirannia e prefigurazione di Satana. Laddove
l'interpretazione musulmana aggiunge una sfaccettatura e Alessandro
diviene l'annuncio del monoteismo; in fondo Asia ed Europa, Oriente e
Occidente, non erano per il grande conquistatore realtà
contrapposte, bensì componenti di una sola civiltà
eurasiatico-mediterranea fatta di molte lingue e di molte culture, ma
avviata a vivere all'interno di una sola, articolata compagine. Non
molto diversamente, in fondo, da quanto avrebbero cercato di
realizzare gli arabi nella loro spinta iniziale all'espansione.
Se le
merci e i miti viaggiavano da una sponda all'altra del Mediterraneo e
dall'Asia all'Europa (e viceversa) lo stesso può dirsi degli uomini:
pellegrini, mercanti, avventurieri sono stati per secoli il
principale tramite in questi mondi circolari. Uno fra i più
interessanti è stato senz'altro Ludovico de Varthema, del quale poco
è noto con certezza: non la professione né la provenienza: lui
stesso si dice bolognese nella dedica dello scritto che ne racconta i
lunghi viaggi; e bolognese lo definisce Manuele re del Portogallo nel
documento col quale lo nomina cavaliere; che è peraltro l'unico
documento ufficiale che ne attesti l'esistenza. Poche certezze anche
sul suo nome, che varia fra Ludovico e Lodovico, e soprattutto sul
suo cognome: il Ramusio lo chiama «Barthema», altri preferiscono
«Vartema»; un cognome che peraltro rinvierebbe alla Liguria (una
famiglia Vartema è attestata a Genova), mentre l'idioma del suo
scritto rinvia piuttosto all'Italia nord-orientale. Una parte di
questo scritto viene ora riproposto in versione modernizzata nel
Viaggio alla Mecca
(Skira 2011, pp. 108, euro 15).
Ludovico
sarebbe partito da Venezia nel 1500 per un viaggio che lo avrebbe
condotto prima al Cairo e poi, dopo essersi convertito all'Islam, a
Medina e alla Mecca, probita ai non musulmani. Da lì avrebbe
proseguito verso il Libano, lo Yemen, Aden, le coste somale sul Mar
Rosso e sull'Oceano Indiano, la Persia. Come mercante avrebbe
visitato l'India, lo Ceylon, il Siam, il Borneo e, sulla via del
ritorno, Mombasa, il Mozambico e S. Elena. Dopo aver trascorso alcuni
anni nelle Azzorre e in altri possedimenti portoghesi come consulente
militare, nel 1508 si sarebbe stabilito a Lisbona; non un luogo
qualsiasi, dal momento che proprio negli stessi anni le flotte
portoghesi inauguravano la «rotta orientale delle Indie»
circumnavigando l'Africa e dominando i traffici nell'Oceano Indiano.
Il condizionale è però d'obbligo: la scarsità delle notizie sulla
sua figura, insieme all'incredibile portata dei suoi viaggi, hanno
indotto molti a dubitare della veridicità del suo racconto.
Dialoghi in lingua araba
Dialoghi in lingua araba
Se la
realtà del viaggio è dubbia, non si può dire altrettanto della sua
fortuna; lo scritto del de Varthema conobbe infatti un immediato e
straordinario successo; la sua traduzione latina, tempestivamente
redatta, ne assicurò la circolazione, perdendo tuttavia per strada
alcuni elementi importanti: infatti è soltanto la prima edizione,
quella volgare, a custodire le molte testimonianze relative a frasi e
addirittura a dialoghi condotti in lingua araba, presentati in
trascrizione fonetica e corredati da traduzione che il de Varthema ci
ammannisce. Segno che la sua esperienza - o quella delle sue fonti -
non deve essere stata poi così del tutto estranea ai viaggi in quel
mondo arabo che, sebbene ormai impoverito rispetto ai fasti di
cinquecento anni prima, manteneva intatta larga parte del suo
fascino.
“il
manifesto”, 7 luglio 2007
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