Esenin 1921 |
«Ascolta! Anch’io un tempo credevo/ nei sentimenti: / nell’amore,
nell’eroismo e nella gioia, / ma ora ho compreso, alla fine / ho
capito che tutto questo / è uno schifo integrale». Sono versi di
amara disillusione, di compianto per l’ideale della rivoluzione,
estintosi nel duro impatto col reale, che il poeta Sergej Esenin
affida alla bacca di Nomach (soprannome-metatesi di Machno, noto
anarchico ucraino che capeggiò bande contadini e finì miseramente i
suoi giorni a Parigi, nel 1934, nel «poema drammatico» Il paese
dei banditi (Strana negodjaev).
Qui questo romantico ribelle é opposto alla figura di Rassvetov ed
entrambi — scrive De Luca nella prefazione — «personificano due
ideologie alimentate dalla rivoluzione d’Ottobre. La prima di tipo
anarchico-libertario (Bakunin, Necaev), con tinte nichiliste e anche
nietzschiane (da Leontev); la seconda di tipo comunista-autoritario».
Due ideologie impossibili a conciliarsi, «impegnate in una lotta di
reciproca distruzione». L’azione del dramma si snoda in quattro
parti, tenute tra loro da un rigoroso equilibrio, ed è riassumibile
così. Inverno del 1921, quello della terribile carestia. Presso una
cantoniera della linea ferroviaria degli Urali, Zamaraskin, dato il
cambio della guardia a Cekistov, s’incontra di nascosto con Nomach,
suo vecchio amico di scuola, che dapprima gli motivava la sua
condotta sociale eppoi arriva all’essenziale («Oggi passa
l’espresso,/ alle due di notte-/ 46 posti./ Krasnoarmejev e
operai./ Lingotti d’oro»). Pur dandogli un pò atto delle sue
ragioni Zamaraskin si rifiuta di collaborare alla rapina al treno e
ciò induce Nomach a legarlo e imbavagliarlo. Sull’espresso n. 5,
nella vettura-salone, viaggiano commissari e operai comunisti; anche
Rassvetov, che racconta loro le sue esperienze di cercatore d’oro
nel Klondik, «dove un pezzo grosso di New York,/ senza alcun
rischio, per tre milioni/ ne metteva 12 e mezzo nel berretto» e che
più avanti prosegue «Tutta l’America è una fauce avida./ Ma la
Russia... è un blocco.../ purché ci sia il potere Sovietico!.../
Noi, certo, in molte cose siamo rimasti indietro./ Il nostro
continente:/ foresta, steppa e acqua./ Con cemento armato e acciaio/
là si sono costruite città». Nomach riesce con una rossa lanterna
accesa a fermare il treno e, coi suoi banditi, a portare a segno
l’impresa. Il giorno seguente, alla stazione N (a otto verste circa
della cantoniera) Rassvetov, Cekistov e Zamaraskin si consultano su
come riaciuffare Nomach e recuperare l’oro. Si risolvono col
servirsi dell'aiuto del cinese Litza-Chun, agente segreto sovietico,
che messosi sulle tracce di Nomach lo trova dapprima in un «covo
segreto» di una «cittadina sul Volga» (in cui pure stanno
Seerbatov e Platov, nobili ricercati dai rossi, che trafficano in
alcoool e cocaina) e poi lo segue a Kiev, dove Nomach ha deciso
d’andare. Alla stazione N arriva un telegramma: «Io Kiev. Oro
qui./ Necessario arresto?/ Litza-CHun». Rassvetov e Cekisov
divergono sul modo di prendere Nomach e infine il secondo parte per
Kiev. Qui già da una decina di giorni, Nomach viene raggiunto nel
suo rifugio dal fedele Barsuk che lo avverte del tranello tesogli.
Allora Nomach con un abilissimo stratagemma riesce a sottrarsi alla
cattura e a farsi beffa di Litza-Chun, di Cekistov e dei miliziani.
La gestazione di Il paese dei banditi è lunga e laboriosa.
L’idea di comporlo si affaccia alla mente di Esenin subito dopo la
pubblicazione di Pugacev
(in cui viene rievocata la rivolta contadina del XVIII secolo,
tradotto e introdotto sempre da De Luca, come pure il poema Anna
Snégina, entrambi per Einaudi). Ne è testimone I. Starcev,
amico di Esenin, che così racconta: «Meditando il poema, egli
temeva di cadere nell’astratezza, proponendosi di avvicinarsi
concretamente e con stretta aderenza ai fatti descritti.
Richiamandosi a Dvenadcat (I dodici, 1918) di Blok,
diceva che era facile fallire con un tema semplice a prima vista ma
cosmico nella sostanza.
Questo poema non lo scrisse in quell'inverno (1921-22) e solo di
ritorno dall’estero (agosto 1923) ne lesse un brano. Il primo
progetto si risolse in due cose diverse nel testo esistente:
Gulajaj-pole. Nel dramma doveva essere introdotta la figura di
Lenin (sostituita poi da quella di Rassvetov), frammento invece
pubblicato a parte e incluso nell’attuale pubblicazione insieme al
poemetto Sorokoust, nel quale a Esenin riuscì — secondo il
prezioso resoconto di I.N. Rozanov — «di dare una immagine
inconsueta e non espressa da nessun altro a un tale livello di forza
e di ampiezza di generalizzazione: l’immagine della vecchia Russia
contadina che se ne va, del puledrino dalia criniera rossa che corre
dietro il treno. Nessuna delle opere di Esenin ha suscitato tanto
clamore come Sorokoust...».
Va detto ancora che il viaggio fatto da Esenin in compagnia di
Isadora Ducan in Europa e in America, tra il maggio del ’22 e
l’agosto del ’23, comporta alcuni cambiamenti nel disegno del
poema e il «reportage» Zeleznyj Mirgorod (Mirgorod di ferro)
messo in appendice ha parole crude verso «il modo di vivere nel
profondo degli Stati», verso gli americani che «sono un popolo
molto primitivo sotto l’aspetto della cultura interiore. Il dominio
del dollaro ha distrutto in loro qualsiasi aspirazione alle questioni
complesse. L’americano è interamente immerso nei business e non
desidera sapere altro».
Nel Paese dei banditi si respirano rabbia, precarietà e
ironia. Qui non c'è mera letterarietà ma profonda inquietudine
vissuta in prima persona, che fa toccare a Esenin vertici di grande
poesia, e questo poema sicuramente segna il punto più alto della sua
crisi umana e poetica (come ha modo di dire nella sua nitida
prefazione Iginio De Luca), «nel quadro della crisi generale del
paese dopo la rivoluzione (...). Attraverso la dialettica degli
opposti (anarchia-libertà/autorità; socialismo/capitalismo), Esenin
mira a una armoniosa rappresentazione del mondo (dal caos al cosmos,
di là dalla sua particolare tragedia dell’esistenza che resta pure
senza soluzione».
Sergej Esenin,Il paese dei banditi (a cura di
Iginio De Luca), Einaudi - “il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1985
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