In occasione delle
onoranze nazionali per i sette fratelli Cervi fucilati a Reggio
Emilia il 28 dicembre del 1943 dai nazisti, il Presidente della
Repubblica ha ricevuto al Quirinale il vecchio padre Cervi,
trattenendolo affettuosamente a colloquio.
Entrano nello studio del
presidente della repubblica il padre dei sette fratelli Cervi,
fucilati dieci anni fa dai nemici degli uomini, il magistrato Peretti
Griva, già presidente della corte di appello di Torino, l’on.
Boldrini, medaglia d’oro della resistenza e Carlo Levi, scrittore e
pittore, il quale reca l’originale del ritratto da lui dipinto dei
sette fratelli.
Il padre, che porta sul
petto le medaglie dei sette figli morti per la patria, ricorda al
presidente di averlo già incontrato in Reggio Emilia. Il presidente
aveva letto, in un articolo di Italo Calvino, che tra i libri dei
sette fratelli, si noverano alcuni fascicoli della rivista "La
Riforma Sociale”, un tempo da lui diretta e poi soppressa dal
regime fascistico e dice al padre della sua commozione per poter così
pensare con orgoglio ad un suo rapporto spirituale coi martiri.
Il padre racconta:
- Sì, i miei figli
leggevano molto, erano abbonati a riviste; e cercavano di imparare.
Se leggevano qualcosa che pareva buono per la nostra terra, si
sforzavano di fare come era scritto. Quando abbiamo preso il fondo in
affitto, ed erano 53 biolche di 2.922 metri quadrati l’una (circa
15 ettari e mezzo), vedemmo sul terreno monticelli e buche. I figli
avevano letto che se la terra sopravanzante sui monticelli fosse
stata trasportata nelle buche, il terreno sarebbe stato livellato e
sul terreno piano i raccolti sarebbero venuti meglio. Subito
acquistarono vagoncini di quelli usati dai terrazzieri sulle strade e
si diedero a levare la terra dai tratti alti e metterla nelle buche.
I vicini passavano, guardavano e scuotevano la testa: "I Cervi
sono usciti pazzi. Dove andrà l’acqua che ora finisce nelle buche?
Quando tutto sarà piatto come un biliardo, l’acqua delle grandi
piogge ristagnerà dappertutto e frumenti ed erbai intristiranno
annegati”. Ma i figli avevano dato al terreno, fatto piano, una
leggerissima inclinazione; sicché quando le grandi piogge vennero e
quando d’accordo con altri tre vicini, fittaioli di poderi
appartenenti alla stessa famiglia del nostro padrone, facemmo un
impianto per sollevare le acque ed irrigare a turno i terreni, dopo
due ore la terra è irrigata ma di acqua non ce n’è più. Coloro
che avevano detto che i Cervi erano pazzi, ora riconoscono che noi
eravamo i savi e tutti nei dintorni ci hanno imitato.
- Anch’io, osserva il
presidente, quando un terzo di secolo fa smisi di fare i fossi in
collina per le vigne e di riempirli di fascine e di letame, ed invece
eseguii lo scasso totale, senza concimazione e misi le barbatelle,
innestate su piede americano, in terra tali e quali, quasi alla
superficie, dopo aver resecate le radicette a un centimetro di
lunghezza, i vicini i quali dallo stradone provinciale osservavano
quel brutto lavoro, scuotendo il capo se ne andavano: il professore è
uscito matto e dovrà rifare il lavoro. Quando videro però che le
viti venivano su più belle di quelle dei fossati e del letame, ci
ripensarono ed ora tutti fanno come avevano visto fare a me.
Il presidente: - Ed in
quanti vivete su quelle 53 biolche?
Il padre: - Io, il
nipote, le quattro vedove, e gli undici figli dei figli, in tutto
diciassette. I figli prima ed ora noi abbiamo faticato assai. Abbiamo
ricevuto dal padrone la casa e la terra; ed avevamo quattro vacche e
pochi arnesi. A poco a poco i figli comprarono due trattori, uno
grande per i grossi lavori ed uno più piccolo per i lavori leggeri;
abbiamo falciatrici, mietitrici, aratri ed ogni sorta di arnesi. Il
fondo di fieno e mangime è tutto nostro. Nelle stalle vivono una
cinquantina di vacche ed un bel toro. Il toro lo comprammo in
Svizzera, ma viene dall’Olanda ed è originario americano. Col toro
ci hanno dato le sue carte; ma noi siamo stati sicuri di lui solo
quando abbiamo conosciuto la figlia sua e poi la figlia della figlia.
A venderlo come carne, prenderemmo pochi soldi; ma, vivo, non lo dò
via neppure se mi offrono un milione di lire. Questo - trattori,
macchinari, fondo di vettovaglie, vacche, toro - è il "capitale”
ed è nostro, di tutti noi.
- Anche del nipote?
- Il nipote non è
figlio, ma è come lo fosse. Quando uscii dalla prigione e, tornato a
casa, non trovai più i figli e mi dissero che li avevano uccisi,
vidi il nipote.
Le nuore: - È venuto per
aiutarci, mentre eravamo sole.
- Dopo qualche giorno,
poiché il nipote aveva dimostrato di essere un buon ragazzo, radunai
le nuore e: Bisogna stabilire le cose per il nipote. Lo teniamo come
giornaliero? Avrà diritto alle otto ore, alle feste, al salario che
gli spetta. Lo fissiamo come servo? Dovrà essere trattato come
salariato ad anno e dovranno essergli riconosciuti il salario e gli
altri diritti del salariato. Lo riconosciamo parente? Il trattamento
sarà quello che gli spetta come parente. Che cosa ne dite voi?
Le nuore: - Padre, quello
che voi direte, per noi è ben detto. Voi dovete decidere.
Il padre: - No. Voi,
nuore, rappresentate i figli uccisi ed i figli dei morti sono vostri
figli. Voi dovete parlare.
Le nuore: - Noi non
sappiamo parlare. Chi deve parlare siete voi, padre.
Il padre: - Siccome lo
volete, il mio avviso è questo; ed ho detto quel che pensavo. Avete
quattro giorni di tempo per pensarci. Adesso non dovete parlare.
Quando i giorni saranno passati, ritornerete e direte il vostro
pensiero.
- E le donne ritornarono
al lavoro.
Il presidente, il
magistrato, la medaglia d’oro e lo scrittore-pittore attoniti
ascoltavano il padre. Questi parlava lentamente, scandendo le parole
e ripetendole per fissarle bene nella testa degli ascoltatori. Era un
contadino delle nostre contrade, un eroe di Omero od un patriarca
della Bibbia? Forse un po’ di tutto questo. Dagli arazzi napoletani
del 1770, stesi sulle pareti dello studio, il pazzo don Chisciotte
pareva ascoltasse la parola dell’uomo saggio.
- Prima che fossero
trascorsi i giorni fissati, dopo soli due giorni, le donne tornarono
al padre, dicendo: Abbiamo pensato e quel che è il vostro consiglio
rispetto al nipote è anche il nostro.
Il padre: - Sapete voi se
il nipote intenda rimanere con noi?
Le donne: - Sì, padre,
noi lo sappiamo.
Il padre: - Ciò è bene;
ma io non posso parlare al nipote prima di aver parlato al padre ed
alla madre di lui. Il nipote non può uscire dalla sua famiglia ed
entrare nella nostra se i suoi genitori ed i suoi fratelli non lo
sanno e non sono contenti.
Non stavano in un paese
molto lontano ed andai a parlare al padre del nipote, che era mio
fratello. Fratello, dissi, il nipote tuo figlio ha detto di volere
rimanere con noi.
Il fratello e la cognata:
- Lo sapevamo. Il figlio l’aveva detto quando era partito di qui
per andare ad aiutare le donne, a cui avevano uccisi i mariti. Noi
siamo contenti.
- Se così è, il nipote
entrerà nella nostra famiglia. E, tornato a casa, radunai le quattro
buone donne e il nipote e dissi: Il fratello e la cognata sono
contenti che il nipote rimanga con noi. Ed io dico: i sette figli
sono stati uccisi e voi, donne, siete al loro luogo. Ma abbiamo
bisogno di un uomo, che diriga le cose. Io sono vecchio e non posso
più fare come una volta. Il nipote starà insieme con noi e sarà
come fosse un figlio. Quando io non ci sarò più, il "capitale"
sarà diviso in cinque parti uguali, fra le quattro nuore ed il
nipote.
Così fu deciso e così
si fa. Nella casa lavoriamo, ciascuno secondo le sue forze, in
diciassette; ed il nipote sta a capo, lavora, compra e vende.
Lui e le donne chiedono
sempre il mio consiglio ed io consiglio per il bene di tutti.
Poi i genitori del nipote
ed i suoi fratelli vollero spartire quel che c’era in casa al
momento che il nipote li aveva lasciati e diedero a lui la parte che
gli spettava. Ed egli volle fosse data alla famiglia in cui era
entrato. Ed io dissi: noi non l’avevamo chiesta. Ma tu la dai alla
famiglia ed entrerà a far parte del "capitale”. Diventerà
proprietà comune; e come il resto sarà diviso in cinque parti.
Il presidente, il
magistrato, la medaglia d’oro e lo scrittore-pittore guardavano al
padre e vedevano in lui il patriarca il quale, all’ombra del
sicomoro, dettava le norme sulla successione ereditaria nella
famiglia. Assistevamo alla formazione della legge, quasi il codice
civile non fosse ancora stato scritto.
Il presidente, rivolto
allo scrittore-pittore, il quale conosce i contadini dei suoi paesi -
e sono uguali ai contadini di tutta Italia - interrogò: forseché i
sette fratelli si sarebbero sacrificati se non fossero stati un po’
pazzi costruttori della loro terra e se il padre non fosse stato un
savio creatore della legge buona per la sua famiglia? Si sarebbero
fatti uccidere per il loro paese, se fossero stati di quelli che noi
piemontesi diciamo della "lingera” e girano di terra in terra,
senza fermarsi in nessun luogo?
Lo scrittore-pittore
rispose: - Credo di no; il magistrato e la medaglia d’oro
consentirono. Ed il presidente chiuse: - Credo anch’io di no; e
strinse la mano al padre ed a tutti.
Dal sito della Biblioteca
Gino Bianco - http://www.bibliotecaginobianco.it/
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