Riprendo qui la parte finale di
un'intervista allo scrittore Vitaliano Trevisan, autore tra l'altro
di Works, Einaudi 2016. Non sono d'accordo con lui, ma la sua provocazione mi pare utile: (S.L.L.)
Cosa pensi di tutto questo interesse
per il cibo?
«Il peggio possibile».
È indicativo di qualcosa?
«No, è parte del grande mondo della
comunicazione. Ormai si comunica qualsiasi cosa. Quando vado al
ristorante e cominciano a “raccontarmi”, tra virgolette, i
piatti, mi vien voglia di andarmene. Qualche mese fa sono andato al
ristorante e un amico ha ordinato una birra particolare, artigianale.
L’hanno portata col secchiello del ghiaccio, tipo lo champagne, e
fatta assaggiare. Una cosa senza nessun senso, secondo me».
Perché accade?
«Per vendere. Per cos’altro?».
Non è un po’ legato alla crisi?
«Più cala la qualità, più devono
contarci una storia».
Loro la raccontano, ma noi ce la
facciamo raccontare.
«Io no. Ho due ristoranti preferiti,
al mio paese (Crespadoro, provincia di Vicenza, 1300 abitanti n.d.r.), uno fa due piatti:
polenta e musso, l’asino, e polenta e corgnoi, le lumache. Non sono
ancora arrivati a narrare il cibo».
Pagina 99, 12 agosto 2016
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