Giovedì 26 marzo 1953 la
legge elettorale maggioritaria voluta dalla DC e dai suoi alleati e
presentata dal Ministro degli Interni Scelba – la cosiddetta legge
truffa – affrontava l'ultimo
ostacolo parlamentare, il voto del Senato all'intero dispositivo.
Le
sinistre di opposizione - i socialcomunisti si diceva allora –
tentarono di bloccarne l'approvazione con una manovra
ostruzionistica. Era già da tempo inserito nell'ordine dei lavori un
progetto di legge che prevedeva interventi sulle condizioni di vita e
di lavoro delle mondine, le lavoratrici stagionali dell'Italia
settentrionale che nel periodo piuttosto lungo di raccolta del riso
si trasferivano dai paesi d'origine alle risaie, ove trascorrevano
all'incirca tre mesi. Il senatore del Pci, Bitossi, chiese di porre
ai voti una sua proposta di inversione all'ordine del giorno:
chiedeva che la legge sulle mondine si discutesse prima della legge
elettorale per ragioni di urgenza. L'ostruzionismo si incardinò
proprio su questa proposta: i senatori comunisti e socialisti
intervennero in massa, ciascuno utilizzando il massimo del tempo che
il regolamento consentiva, per ritardare la discussione sulla
legge-truffa e farla decadere, visto che lo scioglimento del
Parlamento era già stato decretato per sabato 28 marzo.
Gli
interventi avevano dunque come tema la straordinaria urgenza dei
provvedimenti a favore delle mondine e i presidenti di turno
dell'assemblea (il presidente del Senato Ruini e i vicepresidenti
Bertone e Molé) vigilavano per impedire che i senatori – nei loro
interventi a favore dell'ordine del giorno Bitossi – uscissero dal
tema in discussione. I banchi della maggioranza, durante gli
interventi, erano in gran parte vuoti, ma alcuni senatori
democristiani, socialdemocratici e liberali rimanevano in aula per
garantire il numero legale ed impedire la sospensione dei lavori ed
era presente – in rappresentanza del governo De Gasperi – il
Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Rubinacci, competente
sulla materia della legge.
In
generale gli interventi ostruzionistici non furono particolarmente
significativi nei contenuti, anche perché il loro obiettivo reale
non era convincere a un voto favorevole ma perdere tempo, tuttavia
Sandro Pertini, l'eroe della Resistenza e dirigente di socialista di
primo piano, non volle rinunciare per l'occasione ad un intervento di
grande spessore morale e politico, ad una complessiva denuncia delle
scelte politiche, economiche e sociali del governo e della
maggioranza guidata da De Gasperi.
Quello
qui sotto trascritto è il resoconto ufficiale della seduta, che
spero sia letto come esempio di un modo, oggi in gran parte perduto,
di concepire e di interpretare l'impegno politico e civile. (S.L.L.)
PRESIDENTE. È iscritto a
parlare per dichiarazione di voto il senatore Pertini. Ne ha facoltà.
PERTINI. Signor
Presidente, onorevoli colleghi, mi pare che sia proprio il caso di
dire: Rari nantes in gurgite vasto; e speriamo che questi
naviganti possano raggiungere il porto, evitando scogli e secche.
Prima, però, di iniziare
la mia conversazione (solo di conversazione si può parlare, a
tribune vuote e con la stampa assente, per cui non parliamo per la
platea, ma parliamo di fronte alle nostre coscienze, ed in queste
condizioni possiamo essere più sinceri), mi sia concesso di
rivolgere un ringraziamento ed un plauso — e credo di avere in
questo consenzienti anche i pochi avversari presenti — al personale
tutto del Senato (applausi) per il sacrificio, per la diligenza e per
l'abnegazione, con cui svolge questo lavoro straordinario. Essi sono
veramente le vittime innocenti di questi nostri contrasti, ed io li
segnalo all'attenzione dell'onorevole Presidente perché possano
avere un giusto compenso.
PRESIDENTE. Onorevole
Pertini, anche prima di assumere questa carica conoscevo il valore
del personale del Senato. Le assicuro che terrò conto dell'opera che
esso presta e delle particolari circostanze in cui tale opera si
svolge.
PERTINI. La ringrazio,
onorevole Presidente. Ero certo che lei si sarebbe dimostrato
sensibile a questo che non voleva essere un richiamo, ma
semplicemente una esortazione.
FILIPPINI. Il personale
ne avrebbe fatto a meno.
PERTINI. Di tante cose
avremmo fatto a meno; avremmo potuto fare a meno soprattutto di
questa legge elettorale e soffermarci invece su problemi più
interessanti. Signor Presidente, prima di entrare nel vivo
dell'argomento, per cui ho chiesto di parlare, mi sia consentito di
fermarmi, sia pure brevemente, su una questione che è in relazione a
questa nostra dichiarazione di voto, a questo atteggiamento che
abbiamo assunto. Signor Presidente, noi andiamo leggendo delle
affermazioni che non possono non offendere la nostra qualità di
parlamentari e di rappresentanti del popolo che intendono assolvere
sino in fondo il loro dovere e il mandato ricevuto dai loro elettori.
La stampa governativa si scaglia contro di noi per quel che stiamo
facendo e per queste dichiarazioni di voto e adombra delle minacce,
che abbiamo ragione di pensare siano di fonte ufficiale. Noi a questi
signori facciamo osservare che
stiamo assolvendo un nostro legittimo diritto.
Il nostro collega
Jannaccone ancor prima che si iniziasse il dibattito sulla legge
elettorale ebbe a scrivere su un giornale di Torino un ammonimento al
Governo ed alla sua maggioranza: «Badate, o signori, che a una
violenza morale l'opposizione ha il sacrosanto diritto di rispondere
con altra violenza morale».
Con questo nostro
atteggiamento che cosa intendiamo fare? Opporci con tutti i mezzi
legittimi a che sia varata la legge Sceiba e nello stesso tempo
cercare che siano varate delle leggi che, come questa riguardante le
mondine, interessano le esigenze della classe lavoratrice italiana.
Quindi, stiamo contemporaneamente tentando di compiere due buone
azioni, perché quando si cerca di evitare che l'avversario consumi
una azione cattiva, solo per questo si compie una buona azione.
Vogliamo, cioè, evitare che voi consumiate la cattiva azione di
approvare la legge Scelba e nello stesso tempo vogliamo convincervi a
compiere una buona azione, che è quella di andare incontro ad una
categoria di lavoratrici, le quali da anni attendono che la loro
penosa sorte sia presa in considerazione.
Signor Presidente, dato
il suo passato, voglio sperare che ella non permetterà mai che venga
oltraggiato il Parlamento, che sia calpestato il Regolamento a danno
della minoranza, perché la minoranza si può difendere solo col
Regolamento, la maggioranza si difende col suo numero. Oso sperare, e
m'auguro per il Parlamento di non venir deluso, che ella, signor
Presidente, terrà sempre dinanzi alla sua mente questi princìpi che
sono princìpi democratici, princìpi che corrispondono a quello che
è il suo passato.
Io le voglio ricordare
per dimostrare quanto legittimo sia questo nostro atteggiamento, una
parola altissima, che nessuno non può non ascoltare senza rispetto.
È la parola del Capo dello Stato, il quale di certo anche in questa
circostanza la tiene presente dinanzi al suo spirito per giudicare
uomini e fatti. Perché è una questione di principio e le questioni
di principio non si possono modificare lungo il cammino; per una
coscienza retta esse rimangono ferme per tutta la vita. E non si può
pensare — perché sarebbe irriverente — che egli oggi rinneghi
quella sua parola per il solo fatto che lo stesso atteggiamento, da
lui approvato anni or sono, è adesso assunto da chi rappresenta
l'opposizione al Parlamento italiano.
Il Presidente della
Repubblica, allora professor Luigi Einaudi, esaminando un
atteggiamento simile al nostro preso anni fa alla Camera dei Comuni
in Inghilterra dall'opposizione, ebbe a scrivere queste parole:«È
assai dubbio che l'essenza del Governo parlamentare sia nel diritto
della maggioranza di votare le leggi. Una maggioranza che si offende
al pensiero di una lotta senza quartiere da combattere contro la
minoranza prima di giungere ad attuare i suoi voleri, è l'araldo
della tirannia». E ancora:« . . . L'essenza del Governo
parlamentare sta nella libertà illimitata di discussione; e quindi
l'ostruzionismo non è offesa alle istituzioni parlamentari, ma la
pietra di paragone. Un Parlamento il quale per debellare
l'ostruzionismo ricorra a metodi restrittivi del tipo inglese
dimostra di non essere più il Parlamento di tipo classico, ma una
camera di registrazione delle volontà: in Inghilterra del Comitato
centrale del Partito dominante, in Italia della volontà del capo
personale del gruppo più numeroso dei membri della classe politica.
«Una maggioranza, per avere il diritto di chiamarsi tale, nel senso
parlamentare della parola, deve essere composta di persone le quali
siano convinte della bontà della causa che difendono e siano pronte
a rintuzzare gli argomenti della minoranza con argomenti propri e a
lottare con pazienza e risolutezza nelle sedute di venti ore al
giorno o nelle sedute permanenti per settimane e mesi contro
l'ostruzionismo della minoranza ».
E noi ci inchiniamo
rispettosamente dinanzi a questo antico pensiero del Presidente della
Repubblica e lo assicuriamo che seguiremo questo pensiero
scrupolosamente, parola per parola, sicuri di avere il suo intimo
consenso. (Applausi dalla sinistra).
La maggioranza invece di
rispondere ai nostri argomenti tace, e solo attraverso le sue
gazzette va affermando che con questo nostro atteggiamento noi
avviliamo il Parlamento. No, secondo le parole del Capo dello Stato,
siete voi che avvilite il Parlamento. Noi non avviliamo il Parlamento
quando esercitiamo un nostro sacrosanto diritto. Voi, al contrario,
signori avversari, avvilite il Parlamento, quando, pur sapendo che
non è giusta la causa che state sostenendo, la sostenete egualmente.
Vi ricordo che il vostro stesso relatore, l'onorevole Sanna
Randaccio, ebbe ad affermare che la legge Scelba è assurda nel suo
congegno e contenuto, ma che la si deve votare per necessità,
perché, cioè, è già stata votata dall'altro ramo del Parlamento !
. . . Orbene, a mio avviso, quando una maggioranza, quando un
Parlamento constatano che una legge è assurda, ingiusta, devono
opporsi ad essa anche se l'ordine di votarla è venuto dall'alto.
Avvilite il Parlamento
quando supinamente accettate l'arbitrio del potere esecutivo sul
potere legislativo; quando rimanete insensibili dinanzi alla minaccia
di scioglimento del Senato. In questo almeno dovremmo essere
concordi: impedire che si compia questo ricatto contro la nostra
Assemblea.
Signor Presidente, vi è
un'altra più grave minaccia che pesa sul Senato, e sono lieto che le
tribune del pubblico e della stampa, data l'ora, siano vuote e ci si
possa parlare con maggior franchezza. La minaccia di ricorrere alla
forza pubblica prima che preoccupare noi, dovrebbe ripugnare alla sua
coscienza, signor Presidente; comunque sappiano coloro che questa
minaccia hanno adombrata che qui vi sono uomini, i quali hanno saputo
affrontare il manganello dei fascisti e il mitra dei tedeschi e, se
vi saranno costretti, sapranno affrontare anche la forza pubblica per
difendere il Parlamento. (Applausi della sinistra).
PRESIDENTE. Entri in
argomento, senatore Pertini, e cerchi di non dilungarsi troppo.
PERTINI. È quello che
stavo per fare, signor Presidente. Vogliamo, dunque, anteporre alla
legge Scelba una proposta di legge che riguarda gli interessi e le
aspirazioni, le sofferenze e la miseria di una categoria di
lavoratrici, le cui condizioni di lavoro e di vita dovrebbero muovere
a compassione tutti coloro che abbiano un cuore umano; non è
necessario essere socialisti o comunisti, basta non avere sostituito
il cuore con un portafoglio ministeriale o con la speranza di un
portafoglio: vero, senatore Romita?
ROMITA. Io ce l'ho il
cuore, sono figlio di lavoratori. (Interruzione del senatore
Cappellini).
PRESIDENTE. Senatore
Cappellini, la richiamo all'ordine.
PERTINI. Si tratta di un
problema grave che desidero sottoporre ai nostri avversari. Quando il
senatore Bitossi ha fatto la sua richiesta, credete proprio che abbia
pensato solo di mettere un bastone fra le ruote della legge Sceiba?
Bitossi è un uomo che rappresenta la Confederazione generale
italiana del lavoro; egli è stato con noi in carcere, al confino e
nella guerra di resistenza; ed è sempre a contatto con le sofferenze
e le aspirazioni dei lavoratori.
Voi mi insegnate, o
almeno un tempo mi insegnavate (si rivolge ai socialdemocratici) che
chi è a contatto con i lavoratori, non vede e non sente altro che la
loro causa; non appartiene più a sé stesso per appartenere soltanto
alla classe lavoratrice; non sente più le esigenze della propria
vita privata per sentire solo quella dei lavoratori sfruttati ed
oppressi. Non ci si deve, quindi, stupire se un uomo, come il
senatore Bitossi, una bella mattina dica: invece della legge Scelba
che è una vergogna per la democrazia italiana, perché non pensare a
una categoria di lavoratrici che soffrono da anni nella miseria e
sono in condizioni disastrose di lavoro? Vi proponiamo un disegno di
legge che non è poi solo il frutto delle nostre meditazioni, ma
anche di quelle dei nostri avversari.
Se interrogaste il vostro
Pastore vi direbbe che Bitossi ha ragione e che bisogna decidersi a
risolvere il problema delle mondine. Ho sentito qualche avversario
dire che si può attendere dal momento che le mondine da anni si
trovano in così tristi condizioni. Già, chi giace nella miseria da
tanti anni vi può rimanere ancora, perché dovrebbe essere ormai
abituato alla miseria! Ma se la miseria dovesse invadere le vostre
case sono certo che non pensereste alla legge Scelba, bensì verreste
qui a proporre delle leggi per risolvere il vostro problema. Un
giorno, non faccio nomi per discrezione, ero nel treno che mi
conduceva da Roma nella mia Genova e vi erano due colleghi
democristiani. Si parlava dell'episodio di Melissa che aveva turbato
la coscienza nazionale oltre che sdegnare noi, così interessati in
quella lotta. Uno dei due si scagliava contro i braccianti di
Melissa; l'altro, un galantuomo guidato da una coscienza retta, si
rivolse al collega con queste parole:«Tu vai a casa e sei sicuro di
trovare i tuoi bimbi e tua moglie al caldo davanti alla tavola ben
imbandita. Così per me e per questi due signori (erano due armatori
di Genova). Ma se per caso andando a casa io vedessi mia moglie e i
miei figli morire di fame, vivaddio, mi armerei di un fucile ed
andrei nella strada a cercare pane per i miei cari». È un modo come
un altro per portare alla luce un pensiero che sorge nella nostra
coscienza; certo però quel nostro collega disse una sacrosanta
verità.
Ricordandovi questo
episodio ho voluto mettere in evidenza quello che ha fatto Bitossi.
Egli dice:«Che cosa interessa la legge Scelba alla categoria delle
mondine, ad esse interessa che sia risolto il loro problema e che
siano soddisfatte le loro esigenze. Chiedo dunque l'urgentissima per
il mio disegno di legge; cercate di accantonare per un momento —
Dio volesse per sempre, dico io — questa legge Scelba e cerchiamo
di risolvere insieme il problema delle mondariso ». D'altra parte
Bitossi, ciò chiedendo, aveva presente un precedente recente.
Infatti, amici di questa parte, d'accordo con i colleghi del centro,
pensarono di inserire nella discussione della legge Sceiba la legge
che riguarda i pensionati di guerra. So che avete masticato amaro per
questa proposta di Palermo e di Berlinguer, perché essa ritardava la
discussione della legge Scelba, ma avete accettato la discussione
contemporaneamente per opportunità politica, perché i mutilati
stavano alla porta di palazzo Madama e facevano sentire la loro
volontà precisa che il Parlamento si interessasse della loro triste
situazione. Non è assurdo, perciò, che il collega Bitossi chieda
l'urgentissima per la sua legge. C'è solo da chiedersi se sia
veramente urgente questo disegno di legge Bitossi, perché, se non lo
fosse, il Parlamento non dovrebbe perdere le sue notti a discuterlo.
Ma poiché è da tutti unanimemente riconosciuto che il problema è
urgentissimo, la proposta va subito affrontata.
La situazione delle
mondine ha sempre commosso quanti sono addentro alle questioni di
carattere sociale. Sorte triste, quella delle mondine, simile a
quella dei minatori, tanto è vero che la risaia e la miniera le
associamo sempre nella nostra mente. Da una parte abbiamo lavoratori,
dall'altra lavoratrici, ma la loro fatica e le loro pene sono molto
simili. Gli uni sono giù centinaia di metri sotto terra e si sa che
cosa voglia dire questo lavoro; le altre sono immerse fino alle
ginocchia nell'acqua melmosa. Queste due situazioni di lavoro sono
simili per le sofferenze che recano. Badate, signori, voi per vostra
fortuna non sapete cosa voglia dire la fatica fisica, il lavoro
manuale. Io benedico il mio destino perché mi ha fatto conoscere
un'esperienza che non dimenticherò mai. Se vi parlo dei lavoratori
con tanta passione è perché so che cosa vuol dire la fatica fisica.
Infatti per due anni e mezzo in Francia, lontano dalla mia famiglia
per motivi politici, per mantenermi fedele alla mia idea, ho dovuto,
per vivere onestamente, fare il manovale-muratore. So quindi cosa
vuol dire il lavoro fisico, cosa vuol dire lavorare per ore e ore,
ritornare stanco sfinito a casa e alla fine della settimana ricevere
un compenso per nulla adeguato alle più elementari esigenze. Si
trattava di risolvere problemi ben più importanti di quello della
legge Scelba. Se si doveva pagare la pensione non si poteva comperare
altra cosa sia pure necessaria. Il salario che ricevevo mi appariva
un po' come la coperta da campo, quando facevo il soldato nel 1916;
se cercavo di coprirmi le spalle, mi scoprivo i piedi e viceversa.
Questo vi ho detto, signori, per spiegarvi come mai io parli con
tanta passione di un problema riguardante lavoratori. Vedete, io ho
commesso diversi errori nella mia vita — e chi non ne commette? —
però un errore non ho mai commesso e non commetterò mai : quello di
allontanarmi dalla classe operaia. E questo non solo per una
convinzione ideologica, ma anche e soprattutto perché quella mia
esperienza mi ha indissolubilmente legato in modo direi fisico alla
classe operaia, alle sue ansie ed alle sue sofferenze. Tutti gli
errori, dunque, potrò commettere ma non potrò commettere mai quello
di staccarmi dalla classe operaia. (Applausi dalla sinistra).
ROMITA. Se permetti che
io ti interrompa, vorrei dirti che con questo tuo atteggiamento ti
allontani dalla classe operaia mentre io penso di avvicinarmi ad
essa. (Interruzioni dalla sinistra).
PRESIDENTE. Vorrei che
tutti i senatori, sull'esempio del senatore Romita, chiedessero
all'oratore il permesso di interromperlo, seguendo il sistema
adottato — credo — in Francia.
PERTINI. Signor
Presidente, lei ha perfettamente ragione. È questo il modo di
discutere in Parlamento, cioè è giusto chiedere il permesso di
interrompere come ha fatto il senatore Romita. Non posso fare a meno
di riconoscere che mi ha interrotto con molto garbo in ricordo forse
dell'antica amicizia. Lei, onorevole Romita, ha affermato che con
questo mio atteggiamento vado allontanandomi dalle masse lavoratrici
e che lei invece si avvicina ad esse. Non dimentichi, senatore
Romita, che ella a Bologna prima e poi a Genova ebbe ad affermare che
la tragedia del suo Partito consisteva precisamente nel fatto di non
aver operai nel suo seno, mentre ella ha riconosciuto con me che il
mio Partito, in questi ultimi anni, ha ricevuto un maggior consenso
dagli operai del nord e dai braccianti del sud. E questo per quale
misteriosa ragione, onorevole Romita, si è verificato? Badi che è
stato proprio l'onorevole Scelba a procurarci questo consenso.
Infatti, onorevole Romita, quando i braccianti del sud, a Melissa,
perseguitati dalla « Celere » di Sceiba e dagli agrari si sono
guardati intorno per vedere chi era al loro fianco, hanno visto i
comunisti e i socialisti, e una parte è venuta verso di noi. Non
hanno visto mai voi, onorevole Romita, perché in quell'epoca eravate
al Governo a fianco di Scelba che aveva fatto spargere tanto sangue
innocente.
E così a Modena.
Le ripeto quello che ho
detto nella discussione generale: non valgono le sue e le mie
affermazioni, con cui ci contendiamo la rappresentanza della
tradizione socialista. È la realtà che vale e noi sappiamo di
rappresentare la tradizione socialista, perché affondiamo le nostre
radici in seno alla classe lavoratrice italiana, invece voi affondate
le vostre in seno alla Democrazia cristiana.
E torno all'argomento
nella speranza di aver stabilito un clima distensivo. Mi rammento di
una leggenda che vorrei raccontare ...
PRESIDENTE. Le avevo
raccomandato di non dilungarsi troppo.
PERTINI. Va bene, signor
Presidente, allora la leggenda la racconterò dopo in separata sede
ai colleghi. Dicevo che la sorte, le condizioni di vita delle mondine
sono simili a quelle dei minatori. La risaia ricorda sempre la
miniera. Quindi spettacoli di sofferenze, di miseria, spettacoli che
non possono non muovere a pietà. Basta avvicinarci a queste
lavoratrici, vederle quando lavorano sotto il sole ardente immerse
fino alle ginocchia nell'acqua melmosa, per sentire pietà anche se
non si è socialisti o comunisti. Ho cercato di esaminare da un punto
di vista direi sindacale, sociale, il problema delle mondine e mi
sono servito di una relazione firmata non dal collega Bitossi, bensì
anche da colleghi di parte avversa. Infatti essa reca la firma del
senatore Macrelli oltre a quella del compianto senatore Bibolotti.
Questa relazione inizia con quattro versi del nostro inno antico
scritto da Filippo Turati: «La risaia, la miniera — ci han
fiaccati ad ogni stento — come bruti di un armento — siam
sfruttati dai signor ». Questo «Inno» è stato scritto circa 60
anni fa, ma è forse cambiata, signori, la sorte di queste
disgraziate lavoratrici ? No, continua triste e penosa come allora.
Seguiamo, o signori, il
calvario di queste donne che lasciano la loro casa e vanno in risaia
a lavorare. Chi osa parlare di viaggio? È un vero calvario! Prima di
tutto l'ingaggio, che ormai è abbandonato in mano all'Ente risi e
cioè in conclusione in mano dei datori di lavoro; gli Uffici del
lavoro non ne sono interessati. L'onorevole Macrelli ricordava che,
quando fece parte di quella Commissione, cui ho accennato, ebbe ad
interrogare delle mondine chiedendo loro come erano state ingaggiate.
Esse risposero che non erano state ingaggiate regolarmente. Il
collocatore le aveva assunte dietro un «nulla-osta» rilasciato da
una mondina che rappresentava il datore di lavoro. Lei stesso,
onorevole Rubinacci, che faceva parte della Commissione, allora si
scandalizzò per questo fatto, perché si sa bene quali ingiustizie
si nascondono dietro questa forma di ingaggio.
BITOSSI. L'80 per cento
degli ingaggi avviene così.
RUBINACCI, Ministro del
lavoro e della previdenza sociale. Si tratta soltanto di casi
episodici.
PERTINI. Onorevole
Rubinacci, qui c'è una relazione nella quale sono contenuti anche
degli elogi fatti a lei per la sua sensibilità e comprensione, elogi
fatti dal compianto collega Bibolotti che tutti ricordano quanto
fosse onesto e sincero; in questa relazione sono i dati di fatto, che
io vado citando. Ora, io non so la percentuale esatta delle varie
forme di ingaggio adottate, ma mi permetterà di credere al collega
Bitossi, il quale afferma che l'ingaggio in gran parte viene fatto
col sistema che io ho esposto. Lei inoltre sa, onorevole Rubinacci,
che tra le mondine vengono assunte illecitamente delle fanciulle di
14-15 anni ed anche di età inferiore. Questo non dovrebbe avvenire;
lei sa pure che prima d'ingaggiare una donna essa dovrebbe essere
visitata seriamente. È chiaro, invece, che quando l'ingaggio viene
fatto nel modo da me denunciato, la visita non viene fatta, oppure
sarà fatta con nessuna serietà. Io non pretendo certo di avere
profonde cognizioni in medicina, ma so, per esempio, che quando una
persona è ammalata di nefrite il lavoro in risaia non le è affatto
indicato, anzi costituisce un vero e proprio suicidio; se una donna è
artritica per predisposizione e va a lavorare in risaia per un mese o
due, evidentemente essa si rovina in modo completo; altrettanto si
può dire delle puerpere. Si risponde a queste nostre
osservazioni:«Ma perché queste donne, sapendo di essere ammalate,
si fanno ingaggiare?». Questa è la tragedia, onorevoli colleghi!
Esse sono sospinte dalla loro miseria a fare un qualsiasi lavoro
anche se controindicato alle precarie condizioni della loro salute.
Certo, invece di andare a lavorare nelle risaie dovrebbero essere
ricoverate in colonie sanitarie per curarsi, come possono fare le
nostre mogli e figlie. Queste povere donne nascondono i mali di cui
soffrono e si fanno ingaggiare pur di procurare un pezzo di pane alle
loro creature che al mattino si aggrappano alle loro gonne, piangendo
per la fame.
Parliamo adesso dei mezzi
di trasporto. Non è vero, onorevole Ministro del lavoro, che ormai i
carri bestiame siano scomparsi! Ricordo che un giorno alla stazione
di Novara vidi un treno composto esclusivamente di carri bestiame.
Era pieno di mondine ammucchiate quasi fossero cose. Chiesi loro da
quanto tempo stavano ferme in quella stazione e mi risposero che vi
sostavano da ben sei ore. Domandai allora al capo stazione la ragione
di quella lunga sosta. «Abbiamo altre cose da pensare» mi rispose
seccato; e quando gli feci presente la mia qualifica di parlamentare
mi aggiunse con più cortesia : «Che vuole ? Abbiamo tanti treni
passeggeri che debbono andare a Milano e a Torino e quindi facciamo
sostare queste tradotte nei binari morti». Evidentemente non si
curavano del fatto che quelle povere donne dopo un viaggio così
disagiato avrebbero dovuto andai'e a lavorare, non certo a riposarsi.
Vi è di più: in molte zone le mondine devono fare dei lunghi tratti
a piedi. Sappiamo bene poi in cosa consistono i posti di ristoro
lungo il tragitto : i servizi igienici si può dire che non esistano.
Come si svolge il lavoro?
Ho visto io con i miei occhi e non ho potuto frenare la mia interna
commozione, quando ho scorto queste povere donne, curve sotto il sole
cocente, con l'acqua fino alle ginocchia. Molte di loro non hanno
neppure il cappellone per difendersi dai raggi del sole. Mi sono
avvicinato ad una donna che stava riposando e le ho chiesto:«Ma come
potete stare nell'acqua tante ore?». «Non è tanto l'acqua, mi
rispose, sono le zanzare, le sanguisughe che ci tormentano. All'acqua
oramai ci siamo abituate». Si sono abituate! E la retribuzione di
questo lavoro? Ormai i competenti ci dicono che non è sufficiente
per provvedere a tutte le esigenze delle mondine, le quali sono
costrette a lavorare anche la domenica con retribuzione non adeguata.
Queste povere donne lavorerebbero non soltanto la domenica, ma tutto
il giorno in queste condizioni pur di mandare un pezzo di pane alle
proprie creature. Ma l'assistenza ai figli è la cosa che le tormenta
di più. Le madri non si sono lamentate con me della fatica che esse
dovevano sopportare. La preoccupazione che maggiormente le tormenta è
una sola: i bambini, le loro creature che hanno dovuto lasciare senza
assistenza alcuna. È vero, ci sono gli enti locali, i patronati. Ma
la collega Bei sa come viene concesso questo genere di assistenza.
BEI ADELE. È una carità
pelosa.
PERTINI. Non vi sono nidi
di infanzia per ospitare questi bambini e tranquillizzare le loro
"madri. Vi è poi il problema delle cascine dove vengono
ospitate le mondine. Molte di queste cascine, come risulta anche
dalla relazione, sono prive di servizi igienici, hanno dormitori
infelici dove le mondine non trovano il riposo tranquillo ed
igienico, cui avrebbero diritto. Vi sono cascine in quel di
Lacchiarello (Milano) e Buronzo (Vercelli) di proprietà del conte
Passalacqua. Si tratta di cascine prive di acqua potabile, di servizi
igienici e perfino pericolose per l'incolumità fisica per coloro che
vi vivono dentro, perché possono crollare da un momento all'altro.
Naturalmente il signor conte non se ne interessa perché ha la casa
comoda in città, la sua villa in campagna e gli alberghi di lusso a
sua disposizione. A lui interessa soltanto il riso che dovrà vendere
ed il ricavato che dovrà servire a soddisfare i suoi vizi ed a
rallegrare i suoi ozi. Ma se a questo non pensa il signor conte, ci
dovrebbe
pensare il Governo. Per
quanto riguarda il vitto dalla relazione risulta che si dà molto
riso ma poca pasta.
RUBINACCI, Ministro del
lavoro e della previdenza sociale. L'onorevole Bitossi le potrà dire
che si è provveduto.
PERTINI. Non voglio
polemizzare.
RUBINACCI, Ministro del
lavoro e della previdenza sociale. Io desideravo soltanto dire che
questa relazione della Commissione fu redatta appunto per vedere
quello che si poteva fare. E ciò che è stato possibile è stato
fatto.
PERTINI. Per il momento,
siccome non voglio polemizzare con lei, prendo atto della sua
osservazione. Non mi può però dare torto sul fatto, lamentato dalle
mondine, della monotonia del vitto. Voi non sapete che cosa vuol dire
la monotonia del vitto. Lo sa chi è stato in galera, lo sanno i
medici, che ci informano che essa rovina gli intestini. Mi par di
sentire rispondere il «signor conte» Passalacqua : « Volete forse
che questa gente abbia il vitto variato, i polli, gli antipasti? In
fin dei conti si tratta di mondine!». Lo sentirei esprimersi come si
è espresso un industriale cotoniero, il quale, sul rapido da Milano
a Roma, diceva esasperato ad un suo vicino : «Trent'anni fa i miei
operai non pensavano di andare al cinema : adesso vogliono andare
anche al cinema. Ecco perché non basta il salario che ricevono».
Così, si esprimerebbe il conte Passalacqua, se l'onorevole Rubinacci
andasse a dirgli che il vitto delle mondariso è monotono. Ed alla
fine gli direbbe: «Eccellenza, lasciamo stare queste malinconie,
venga a casa mia che le offro un buon pranzo».
RUBINACCI, Ministro del
lavoro e della previdenza sociale. Abbiamo mangiato con le mondine,
non con il conte Passalacqua.
PERTINI. Lei è
napoletano, appartiene ad un popolo che ha il dono dell'umorismo.
Sappia, quindi, intendere le mie parole che non recano nessuna offesa
per lei. È indubbio però, onorevole Ministro, che la risposta del
conte Passalacqua sarebbe quella d'invitarla a pranzo e le farebbe
constatare la differenza tra il vitto delle mondine e il suo vitto.
Orbene, per quale ragione il signor conte deve avere diritto alla
varietà del vitto e non anche le mondine, le quali, d'altra parte,
sono esse a procurarglielo, il vitto, con le loro sofferenze?
In conclusione queste
povere lavoratrici sono abbandonate all'egoismo degli agrari, come
già ebbe a dire ieri, con tanta eloquenza, il senatore Secchia.
Giustamente egli ha messo in luce l'eterno egoismo che domina in
costoro. Non dimenticate che furono precisamente gli agrari della
Lomellina
che hanno dato vita al
fascismo, contemporaneamente agli armatori di Genova e agli
industriali del nord.
Gli agrari sono guidati
solo dal loro gretto egoismo, che può esser vinto spesso solo con
l'arma dello sciopero, onorevoli colleghi della socialdemocrazia. Lo
sciopero è stato creato dalla sofferenza dei lavoratori e
dall'egoismo della classe padronale. Se la classe padronale non si
fosse dimostrata sempre gretta ed egoista ma avesse concesso tutto
quello che era necessario alla classe lavoratrice, lo sciopero non
avrebbe avuto ragione d'essere. Lo sciopero si è fatto e si fa
semplicemente quando la miseria invade le case dei lavoratori e li
spinge fuori a chiedere lavoro e pane. (Interruzione dell'onorevole
Romita).
Onorevole Romita io ho
ricordato all'onorevole Piccioni quel mio episodio dell'ergastolo di
Santo Stefano, a lei ricorderò quello che facevamo talvolta quando
eravamo fanciulli. Si prendeva un passerotto gli si legava una
zampetta ad un filo e poi lo si lasciava andare liberamente di ramo
in ramo per tutta la lunghezza del filo. Ma quando la povera bestiola
tentava di prendere le vie del cielo, allora con un colpo lo
rimettevamo in gabbia. Ecco la libertà di sciopero che vorrebbero
lei ed i suoi: lo sciopero quando passa il limite rappresentato dagli
interessi della classe padronale non è più concesso. Il diritto di
sciopero è un diritto sacrosanto e se voi foste anche solo in parte
socialisti,
lo dovreste riconoscere.
Invece, ecco che si presenta la legge antisindacale.
Comunque, il Governo che
cosa fa di fronte a questo egoismo della classe padronale,
l'asseconda. Badiate a quanto avviene nell'Italia meridionale: come
ai tempi del feudalesimo il signore, il proprietario terriero è
considerato dal maresciallo dei carabinieri come il rappresentante
dell'ordine e come il rappresentante del Governo. Se, ad esempio, il
proprietario del posto compie qualche cosa d'illecito, il maresciallo
non riconosce la illiceità, perché è assurdo per lui che un «
signore » possa commettere azioni illecite, disoneste, come per lui
non potrebbero compierne né De Gasperi né Scelba. Il «signore»
rappresenta l'ordine, la giustizia e perciò quando egli chiama il
maresciallo e l'avverte, che è necessario dare una severa lezione a
quelle canaglie di contadini, che osano abusivamente coltivare la
terra da lui abbandonata agli sterpi, il maresciallo si mette
sull'attenti ed assicurerà il «signore» che penserà lui a mettere
le cose a posto. Pensate voi che il maresciallo in questo modo creda
di avere agito sotto la spinta di un cittadino qualsiasi? No, penserà
di avere agito in nome del rappresentante della legge e dell'ordine.
Questa è la situazione specie nell'Italia meridionale; ove i
rappresentanti del Governo si considerano gli agrari, i quali
dominano con il loro egoismo, mentre il Governo avrebbe il sacrosanto
dovere di intervenire contro di loro in favore dei lavoratori
sfruttati.
Tutto questo non
avverrebbe se si osservassero e si attuassero i rimedi racchiusi
nella Carta costituzionale. La Carta costituzionale, signori, è la
logica conseguenza della lotta ventennale contro il fascismo e della
guerra di liberazione. Il proprietario, secondo la Costituzione, non
è più il designato da Dio; non più il privilegio alla base della
società, bensì il lavoro. Perciò quel tale maresciallo dei
carabinieri non dovrebbe mettersi più sull'attenti dinanzi al barone
o al marchese, al «signore», dovrebbe mettersi sull'attenti dinanzi
ai braccianti perché essi rappresentano il fondamento della
Repubblica italiana. (Applausi dalla sinistra).
Invece questo Governo fa
tutto il contrario. Quando noi vi esortiamo ad applicare la Carta
costituzionale voi tergiversate, e dimostrate di avere in proposito
delle gravi riserve mentali, e queste riserve le ha espresse
l'onorevole De Gasperi, quando ha detto che lo si può obbligare ad
essere fedele allo spirito della Costituzione non alla lettera. E voi
giuristi insegnate che basta cambiare di una legge una virgola per
cambiarne anche lo spirito. Signori, parlando delle mondine, delle
condizioni del loro lavoro, della loro vita, delle loro sofferenze,
dei loro bimbi non assistiti, noi implicitamente abbiamo ricordato
princìpi racchiusi nella Carta costituzionale, princìpi riguardanti
le condizioni di vita dei lavoratori; la dignità del lavoro;
l'assistenza ai lavoratori; i diritti della donna.
Noi abbiamo l'articolo 3
che al secondo capoverso dice : «È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale
del Paese». Mi fermerò sul concetto dello sviluppo della persona
umana al quale ha accennato anche il senatore Secchia. Quanto teniamo
noi socialisti, alla dignità umana! È l'essenza del socialismo.
L'onorevole Saragat ha ricamato e seguita sempre a ricamare su questa
parola. Ma io vorrei che coloro che parlano di dignità umana si
recassero nelle solfatare della Sicilia, nelle miniere della Sardegna
e nelle risaie del nord e andassero ad assistere alla fatica di quei
lavoratori e di quelle lavoratrici e parlassero loro di personalità
umana. Si sentirebbero rispondere: «Come possiamo avere anche noi
una personalità umana, se ci lasciate in queste condizioni?».
Quando uno è fisicamente abbrutito, lo è anche moralmente. Se di
ogni uomo e di ogni donna volete fare un cittadino ed una cittadina
liberi, dovete prima di tutto sollevarli dalla loro miseria. Finché
li lascerete in queste condizioni, essi si sentiranno più simili ai
bruti che agli uomini e non potranno mai sviluppare la loro
personalità umana. È un inganno, è un'offesa parlare di
personalità umana a questa povera gente! Cercate di metterli in
condizione di vivere umanamente. Allora sentiranno palpitare in sé
stessi una dignità umana, la svilupperanno e la difenderanno al
momento opportuno. Libertà, democrazia! Parole vane se si
disgiungono dalla giustizia sociale. Dice l'articolo 35 della
Costituzione che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme
ed applicazioni e dice l'articolo 36 che il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
una esistenza libera e dignitosa. L'articolo 37 sancisce che la donna
lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse
retribuzioni che spettano al lavoratore. Se dimenticate questi
articoli la parola democrazia diventa vana, vuota d'ogni contenuto
come uno di quei palloni con cui giuocano i bambini: basta un colpo
di spillo a ridurli in cosa inutile. Se volete che la democrazia e la
libertà diventino veramente una conquista per tutti i cittadini, se
volete che la libertà non si risolva in un privilegio per una
minoranza e in un inganno per la maggioranza, bisogna che la libertà
riposi sulla giustizia sociale.
La Carta costituzionale,
signori, è sottoscritta anche da voi. Orbene, se non volete essere
dei disonesti, dovete far onore alla vostra firma, dovete pagare
questa cambiale e si paga rendendo concreti ì princìpi racchiusi
nella Costituzione. Ma vi è di più. Voi parlate spesso di famiglia.
La Costituzione all'articolo 31 dice che la Repubblica agevola la
formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, e che
protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù. Voi parlate spesso
di Nazione e di Patria. Orbene, qual'è la base della Nazione? È la
famiglia. Non fateci delle obiezioni in proposito, voi sapete qual'è
il culto che noi socialisti abbiamo della famiglia è che il
socialismo ha sempre considerato la famiglia come il nucleo della
società futura. Dovete dunque prima di tutto risolvere il problema
della famiglia e fare in modo che essa viva sanamente non solo dal
punto di vista morale, ma anche dal punto di vista economico.e
sociale. Non vi accorgete che minate il fondamento della Nazione
quando abbandonate le famiglie dei lavoratori alla loro tristissima
sorte? Quando le madri debbono lasciare i loro figli, perché debbono
andare in risaia, ove si svilupperanno le malattie che già portano
in sé; ed i loro bambini crescono denutriti, non darete mai vita ad
una Nazione veramente solida socialmente, economicamente e
politicamente. Infatti una Nazione dove esistono bambini denutriti,
condannati alla tubercolosi, dove sono madri dannate a fare il lavoro
che fanno le mondine senza un giusto compenso, in quella Nazione non
vi è vera democrazia. Ed è inutile, signori, che nelle ore
difficili facciate appello alla solidarietà nazionale quando tutta
questa gente che dovrebbe rispondere al vostro appello, oggi
l'abbandonate all'egoismo delle classi padronali. Voi avrete in
questa gente, in questi lavoratori, dei nemici, perché così tali li
avete sempre considerati.
Ecco spiegato il nostro
atteggiamento di fronte alla proposta Bitossi. Tale atteggiamento
vuole essere anche un monito. Fraternamente vi diciamo: cercate di
ascoltare la parte migliore che ogni uomo porta nella sua coscienza.
Il consenso intorno a voi non riuscirete a crearlo con la
legge-truffa, con essa aumenterete i vostri nemici.. Se volete del
consenso — ed ogni Partito ha il diritto di cercarlo — sappiate
che esso si ottiene, cercando di soddisfare le esigenze delle masse
lavoratrici. Solo così i lavoratori vi guarderanno con meno
ostilità. Vi abbiamo chiesto di realizzare le riforme di carattere
sociale, ma inutilmente. L'unica riforma è stata quella presentata
da Scelba!... Ci dite dateci il tempo necessario. Ma, signori, sono
sette anni che siete al Governo e non avete realizzato neanche una di
queste riforme. Del resto abbiamo visto i risultati della cosiddetta
riforma agraria! Nel vostro Partito vi sono anche delle correnti che
sono sensibili alle esigenze della classe lavoratrice, ma purtroppo
queste correnti vengono sommerse dall'avanzare della destra clericale
ed economica.
Così, dopo aver
osteggiato i lavoratori in tutti i modi, ecco la legge Scelba ad
umiliarli politicamente. Infatti, essa in ultima analisi questo vuol
dire: tu mondina, dato che appartieni ai Partiti di sinistra, il tuo
voto vale meno di quello del tuo padrone, che ti sfrutta. Credete che
servirà a creare tutto ciò un consenso di lavoratori e di
lavoratrici intorno a voi? Creerete semplicemente la discordia civile
e raccoglierete cenere e tosco.
Ed eccomi, signori,
arrivato alla fine del mio intervento. Noi ci auguriamo che queste
notti, che vi costringiamo a trascorrere qui, in Senato, vi rechino
consiglio. Ci auguriamo, che nelle vostre notturne meditazioni, si
ridesti in voi un lembo di coscienza cristiana, per cui anche voi
sentiate l'impulso, il dovere di guardare a chi soffre. Benedette,
allora, sieno queste notti trascorse qui, assieme, se esse varranno a
farvi desistere dal consumare sino in fondo la cattiva azione
rappresentata dalla legge Scelba e se vi indurranno a compiere
finalmente una azione cristiana, ad alleviare, cioè, le sorti penose
e tristi di lavoratrici, alle quali forse un giorno, in compenso
delle loro sofferenze di oggi, strapperete i figli per gettarli nella
fornace d'una nuova guerra. Signori, cessate di sentirvi sempre e
solo democristiani; siate, almeno per una volta, cristiani. (Applausi
dalla sinistra).
dal sito del Senato della Repubblica
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