Si tratta di una
recensione delle mie vecchie Cronache giubilari dedicate
al trionfale Giubileo del 2000, pubblicata su “micropolis”.
(S.L.L.)
Leggendo le Cronache
giubilari di Salvatore Lo Leggio (Giada, 2001) viene alla mente,
per prima cosa, un passo famoso del De rerum natura di
Lucrezio; quasi all'inizio del poema, dopo aver esaltato Epicuro per
la sua lotta vittoriosa contro la religio, l'autore si preoccupa di
rassicurare il suo destinatario perché non tema di essere avviato su
una cattiva strada, empia e scellerata; infatti il male non è nella
critica alla religione, ma nella religione stessa, come dimostra
l'episodio del sacrificio di Ifigenia ("Tantum religio potuit
suadere malorum" – a proposito: come tradurre la parola
religio? Si potrebbe
proporre "alienazione religiosa"). Dunque Lucrezio ha
temuto di essere preso per un cattivo maestro (e gli capiterà di
peggio: sarà dichiarato pazza dal suo biografo cristiano). Correrà
questo rischio anche il mio amico Salvatore?
E' certo, in ogni caso,
che si troverebbe in buona compagnia: Lucrezio, appunto, e poi
Machiavelli, Voltaire, Marx... E di sicuro quest'altro benvenuto tra
i didatti del sospetto aveva ben chiaro
nella mente l'ammonimento
del vecchio Bertolt Brecht: "Anche il minimo gesto, in apparenza
semplice, / osservatelo con diffidenza. / Investigate se proprio
l'usuale sia necessario. / E - vi preghiamo - quello che succede ogni
giorno / non trovatelo naturale". Lo Leggio ha scelto come
osservatorio privilegiato l'anno giubilare, in particolare nei suoi
svolgimenti umbri, e ce ne ha mostrate di cose da guardare "con
diffidenza": per aiutarci a demistificare l'apparente normalità
di una pratica del ritualismo cosi invasivo ed ossessivo da apparire
come un dato indiscutibile e quasi fatale della realtà e non, come
è, frutto di scelte politico-mediatiche ben definite e ben
individuabili. E per farlo l'autore di queste Cronache giubilari
usa in maniera magistrale (ed anche molto divertente) l'arma
dell'ironia, strumento prediletto del pensiero critico di matrice
illuministica.
Una definizione classica
della modalità dell'ironia è questa: la moralità dell'autore si
afferma attraverso la auto-negazione delle posizioni che combatte,
che sono confutate dalla propria stessa insostenibilità. Detta cosi
sembrerebbe una cosa un po' "fredda". Ma nel caso di Lo
Leggio balza in primo piano la presa di posizione partigiana,
combattiva, spesso incalzata da un forte sentimento di indignazione e
non solo dalla consapevolezza ironica (a volte ghignante) di una
superiorità intellettuale sull'avversario. È per questo che il
discorso di Lo Leggio - così teso a smascherare conformismi,
acquiescenze e complicità di comodo - dovrebbe interessare non solo
la sinistra critica, interlocutore privilegiato, ma anche un lettore
cattolico, disposto però ad un sano bagno nell'acqua gelata e pulita
per togliersi di dosso incrostazioni del tipo di quella denunciata,
nel libro, a pag. 48, "per la quale il dialogo consiste nel dire
agli altri: - Io sono nella verità, tu nell'errore! Adesso puoi
anche parlare...". E certamente interessa una specie di povero
cristiano come me, anzi, per dir meglio, una specie di semi-cristiano
come credo di essere io, uno che del Cristianesimo ha percorso solo
metà strada, fino alla croce, perdendosi la parte più succosa e
gratificante: la Resurrezione, il trionfo sulla sofferenza e sulla
morte. Riconosco meglio la prima parte, anche perché è nel senso
comune e nel linguaggio comune il "povero Cristo", il
"Cristo in croce" (e la croce di Spartaco nell'ultima scena
del film di Kubrik, e la croce che forma il lettino dei condannati a
morte per iniezione letale...) e in generale sento un po' estraneo il
trionfo. Cosi le parole dette al ladrone "oggi sarai con me in
Paradiso" mi suonano come "fatti coraggio, tra poco è
tutto finito" - che non sarà proprio il paradiso, ma certo gli
somiglia parecchio.
micropolis, aprile 2002
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