Suore Consolatrici del sacro Cuore |
Come sempre enfatizzate,
le parole del Papa vengono presentate come una grande novità. Ma
basta esaminarle con attenzione per capire che di sostanza ne resta
davvero poca.
Papa Bergoglio è uno di
quei personaggi sui quali grava un'aspettativa mastodontica e per
contrappunto un credito gigantesco di alibi. Tutto ciò che egli pare
promettere, quando poi non si avvera o dimostra ambiguità tali da
azzerarne il significato, viene immediatamente scusato in nome di
vari fattori: il peso dei conservatori, molto potenti tra il clero,
la necessità di procedere con cautela per non causare scismi e
dissidi insanabili, il ricatto di alcuni cardinali e correnti, le
priorità, eccetera.
Se su alcuni temi
inerenti al governo terreno del santo carrozzone è stato chiaro
l'intervento di potenti freni alla vocazione anti-romana di questo
Papa, è altrettanto evidente che su altri, riguardanti questioni
dottrinali come ad esempio la possibilità per le donne di dire
omelie o altre innovazioni da tempo attese, è la volontà di
Bergoglio a frenare. Il copyright patriarcale sulla religione è
anche una sua personale convinzione.
Non ha certo torto
Giuliana Sgrena nel suo ultimo pamphlet sulle religioni monoteiste,
ad affermare che “Dio odia le donne”. Le donne in quanto
proprietà, merce di scambio, esseri di servizio, sono essenzialmente
silenziose sotto le navate, dietro i minareti, dentro i monasteri.
Spesso nascoste al pubblico, la loro voce è scandalo, come il loro
volto, ritratto come fosse esso stesso un corpo nudo in “Le viol”
(lo stupro) di René Magritte, volto senza parola non solo
nell'islam.
Che è successo quindi il
13 maggio scorso durante l'udienza del Papa a tutte le Superiori
degli ordini femminili? Titoli altisonanti il giorno dopo sulla
stampa nazionale: “Il Papa apre al diaconato femminile” (La
Repubblica), “Papa Francesco apre al clero femminile” (Il Fatto
quotidiano), “Donne diacono, l'apertura del Papa” (Famiglia
Cristiana).
Qualche giorno dopo
l'effetto novità svanisce e rimane la realtà testuale delle parole
del Papa: “[...] chiederò alla Congregazione per il culto che
spieghi bene, in modo approfondito, quello che ho detto [...] bisogna
distinguere bene: una cosa è la predicazione in una liturgia della
Parola, e questo si può fare; altra cosa è la celebrazione
eucaristica”. In pratica Bergoglio si era limitato a dire che la
Congregazione per la dottrina della fede avrebbe costituito di nuovo
(per la seconda volta!) una commissione di studio sul diaconato delle
donne, come già nel 2002.
Accontentarsi della
Madonna
Questa commissione, si
badi bene, è incaricata di studiare e quindi confermare quello che
il Papa ha già indicato: in parole povere che le donne non possono
celebrare messa e quindi nemmeno presiedere con la omelia dal
pulpito, la quale è destinata al celebrante (diacono, sacerdote o
vescovo), che sia gay, etero, bisex o metrosexual ma
obbligatoriamente di sesso maschile.
Si chiarisce quindi la
posizione papale rispetto al “mistero delle diaconesse”, figure
presenti nella chiesa primitiva e in alcuni episodi del monachesimo,
che vengono però definite, appunto, “di servizio”: “Esiste
nella Chiesa l'ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare
le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per
la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo”.
Che le donne possano di
nuovo rivestire i panni della Dottora della chiesa Ildergarda di
Bingen, quindi, dicendo la loro dall'alto, nella chiesa cattolica se
lo possono scordare ancora per molto. Le donne debbono contentarsi
della Madonna, venerato essere che pare esprimersi più con lacrime
che con parole, o al più direbbe qualcosa cambiando i pannolini o
mestando il sugo.
Nel frattempo, però,
altre autorevoli voci (maschili) si erano levate a favore delle donne
sul pulpito; innanzitutto l'Osservatore romano, nel suo supplemento
“Donne Chiesa Mondo” di marzo, pubblicava un articolo di Enzo
Bianchi nel quale si affermava che il “mandatum praedicandi''
potrebbe essere concesso anche alle donne: “La concessione della
facoltà di predicare, a queste condizioni, consentirebbe alle
comunità religiose femminili di non ascoltare sempre e solo l'omelia
del cappellano loro assegnato”2. Sottolineava che alle predicatrici
si raccomandava che queste omelie fossero di carattere morale ed
esortativo e non dottrinale o teologico.
Quindi aperture
autorizzate, minimizzate (prediche sulla morale e non sulla
teologia), e solo a persone già “istruite” ma... apriti cielo!
Immediata la rettifica dell'Osservatore che pochi giorni dopo tarpa
le ali a Bianchi precisando che “Gli articoli del mensile non
avevano alcuna intenzione di contraddire l'attuale disciplina [...]
per questo si insisteva sul fatto che la presidenza liturgica della
messa non deve essere ferita od offuscata e che l'intervento dei
fedeli laici deve essere aperto e concluso dal presbitero”.
Del resto, i timori verso
il potenziale esplosivo delle omelie femminili è anche di Bergoglio,
non per niente consigliava nel 2013 alle suore e monache cattoliche
di tutto il mondo (circa 700mila con 1900 tra ordini e congregazioni
femminili): “Siate madri e non zitelle”, richiamandole ad un
ruolo di servizio essenziale per la Chiesa negli oratori, nei
conventi, nei monasteri ormai anche adibiti a resort con inservienti
religiose, negli ospedali, negli istituti di accoglienza, nelle
missioni, ove queste donne lavorano.
La paura della zitella (e
della lesbica) insorge in Bergoglio a causa del sempre più evidente
scollamento dai canoni delle suore USA, la Leadership Conference of
Women Religious; queste “madri superiori” non vestono abiti da
suora e sono decisamente ribelli ai voleri dei tradizionalisti e alle
ispezioni mandate da Roma. Già nel 1977 avevano rifiutato la
dichiarazione papale sull'esclusività maschile del sacerdozio e nel
2011 la Congregazione per la dottrina le aveva stoppate a causa della
loro non opposizione ad aborto e eutanasia.
La “tratta”
delle novizie
Non solo quindi Bergoglio
si ritrova isolato dalle scelte delle chiese protestanti, e anche da
quella israelita, ma deve minimizzare i forti scossoni delle
Superiore, le quali però sono più attempate rispetto alle religiose
più giovani e obbedienti al magistero raccolte nel nuovo Council of
Major Superiors of Women Religious, fondato negli anni Novanta.
Sembra che il problema per la chiesa cattolica sia, oltre che la
sempre maggiore distanza tra le donne e la pratica religiosa, anche
la diminuzione degli ingressi femminili negli ordini4, lenita solo
dal fatto che chi entra ora è “più fedele”.
Questa fedeltà e questo
rispettoso silenzio cozzano con la “tratta delle novizie”, cioè
col reclutamento per il servizio religioso di donne giovanissime
provenienti dai paesi più poveri. Di queste anche la cronaca
italiana racconta le paradossali vicissitudini, come quelle della
suora salvadoregna di stanza a Rieti che ha partorito un bambino e
l'ha chiamato Francesco in... ossequio al papa, dichiarando di non
essersi accorta di essere incinta.
Scherzo da suora, si
direbbe, molto meno maligno di quello di Karol Wojtyla che diramò la
sua Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, indiscusso
cardine della porta chiusa alle donne, proprio nel giorno di
Pentecoste del 1994, giorno che per i cattolici celebra la discesa su
tutti gli apostoli dello Spirito Santo, alla quale calata la
tradizione vuole fossero presenti anche donne.
Così, mentre Bergoglio
dribbla con “la chiesa è femminile perché è sposa e madre”
facendo capire alle donne la grande importanza, basilare, di servire
e stare zittine, centinaia di frange ribelli si agitano dando vita ad
un poco conosciuto mondo di donne-prete, non solo le legittime
pastore delle chiese protestanti, ma le “Sacerdotesse
cattolico-romane dell'Europa occidentale” che organizzano cerimonie
di ordinazione a base di vescovi scomunicati e gite sul fiume Danubio
o sul Lago di Costanza, le donne scomunicate perché partecipanti a
messe autogestite e quindi ree di “attentato alla celebrazione
della santa messa”, o quelle delle comunità cristiane di base
italiane che affermano giulive che è facile celebrare e distribuire
l'Eucarestia in gruppi spontanei.
Il copyright sul fenomeno
religioso, col suo potere, è sempre difficile da riservare.
Da A-Rivista Anarchica
dicembre 2016
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