Il Gallo più famoso del
mondo, inteso come guerriero celta della Gallia e non come marito
della gallina, è anche il più falso. La notizia è terribile ma
confermata: Asterix non è un Gallo doc. Perchè i Galli non erano
irsuti, non celebravano strani riti sanguinosi nel fondo delle loro
selve, non portavano caschi con le ali, non erano particolarmente
attaccabrighe e non si abboffavano di cinghiali. E qui casca anche
Obelix, e non nel pentolone della pozione magica. È quanto risulta
dalla mostra «Gaulois, une exposition renversante» alla Cité
des Sciences di Parigi fino al 2 settembre.
Fin dal logo, con il
gallo a testa in giù e gambe all'aria, la mostra parigina ribalta
l'immagine tradizionale dei Galli che poi, per tutti, è appunto
quella di Asterix & soci. E, appoggiandosi agli ultimi vent'anni
di scavi, riabilita una civiltà che non era affatto più «arretrata»
di quella dei suoi conquistatori romani, ma passa per tale perché
furono questi ultimi a descriverla con il disegno del colonizzatore.
Anzi, come scrive Libération in un rigurgito di sciovinismo postumo,
della guerra che fu fatale ai Galli «un commentatore celebre ci ha
dato una versione di propaganda», anche se, aggiungiamo giusto per
dare a Cesare quel che è di Cesare, scritta benissimo.
La sfortuna storica dei
Galli dipende proprio dal fatto che, benchéconoscessero la
scrittura, non la usavano. I druidi preferivano trasmettere per via
orale il loro sapere, che così, con buona pace dei neodruidi new
age, si è perso per sempre. Ma l'archeologia racconta di un
popolo evoluto. I Galli erano agricoltori, allevatori (specie di
maiali, altro che cinghiali), commercianti, costruttori. E ottimi
artigiani, come confermano i vari «tesori» ritrovati qua e là per
la Francia, sepolture piene di raffinatissimi caschi con paraorecchie
mobili a lungo scambiati per ali e di trombe bronzee, i carnyx,
come quella celebre scavata a Tintignac. Erano degli assi della
metallurgia, come scoprirono a loro spese i legionari. Tanto erano
pregiate le loro armi che le esportavano in Italia in cambio di vino,
che preferivano alla birra: selvaggi forse, stupidi certamente no. Lo
bevevano puro, non allungato come i Romani. Forse per questo, prima
della conquista ne importarono, secondo calcoli un po' avventurosi,
cento milioni di anfore. Erano anche mercanti scafati e metà delle
strade francesi di oggi seguono il percorso di quelle galliche
dell'altro ieri.
Però la mostra non
racconta solo com'erano davvero i Galli, ma anche come sono stati
raffigurati (e usati) dai vari regimi francesi. Per l'Ancien,
non esistevano: meglio ricollegare le origini dell'aristocrazia agli
eroi mitologici oppure ai conquistatori franchi. È la Rivoluzione
che li riscopre come antenati «popolari», già sul suolo della
patria prima degli odiati nobili. «Nos ancetres les Gaulois»,
appunto, frase simbolo dell'immagine d'Epinal che l'Ottocento impone
a questi antenati opportunamente «modulabili» e manipolabili
perché, in effetti, se ne sapeva poco. A impossessarsi del mito
provvedono gli artisti, ed é tutto un fiorire di impressionanti
quadroni pompier con titoli tipo I romani passano sotto il giogo
(Charles Gleyre, 1858), Vercingetorige chiama i Galli alla difesa
d'Alesia (Francois Emile Ehrmann, 1869), Brenno e il suo
bottino (Paul Joseph Jamin, 1893), Vercingetorige getta le
armi ai piedi di Cesare (Lionel Noel Royer, 1899), esaltazioni
del coraggio e dell'onore gallico davanti al romano invasore o, nel
caso di Brenno, invaso.
Ogni regime arruola i
Galli. Napoleone III ha per loro una vera passione e ad Alesia, che
però forse non è l'Alesia della battaglia (su Alesia, dopo fiumi di
sangue, sono scorsi fiumi d'inchiostro), fa erigere una statua alta
13 metri di Vercingetorige che assomiglia stranamente all'Empereur.
Ma poi i francesi sono battuti dai prussiani e, nelle scuole della
Terza Repubblica dove si prepara la revanche sull'odiato
tedesco, viene inventato il Gallo superpatriota, vinto ma non domo.
L'ultimo a marciarci sarà
Vichy per la sua fascistissima Légion francaise,
pubblicizzata da un manifesto con un Gallo dalle corna (dell'elmo)
all'insù e le trecce all'ingiù, tipo Heidi. Pero' già incombe la
pubblicità, e il Gallo serve a vendere di tutto, dal camembert alle
sigarette, le mitiche Gauloises ancora con l'elmo falsamente alato
sul pacchetto. Finché, nel '76, Black Hebdo, «il giornale
del mondo nero», spiazza tutti piazzando un bimbo di colore sotto un
casco gallico e lo slogan: «Se tutti i francesi avessero gli stessi
antenati, farebbero le stesse letture». La Quinta Repubblica, per
fortuna, di revanscismi non ne ha. Però, si capisce, l'idea di
rivendicare il valore di una civiltà autoctona, «francese» ante
litteram, non dispiace. Che è poi una delle ragioni perché tuttora
Asterix per i francesi resta, benché sia un falso Gallo, un vero
eroe.
La Stampa, 28 dicembre
2012
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