Edoarda Masi |
"Le forme si
dissolvono". Sono le forme della vecchia Cina, raccontata da
Edoarda Masi, maoista della prima ora, sinologa e insegnante
all'Istituto orientale di Napoli. Nel 1957, poco più che trentenne,
ottenne una borsa di studio per un soggiorno di un anno a Pechino. Ne
venne fuori un diario in cui l' autrice, oltre a narrare la vita nel
campus e l'esperienza scolastica, si soffermava sulla condizione
degli intellettuali - docenti, studenti e scrittori - sottoposti al
sospetto e alla repressione della nomenklatura cinese. Era il tempo
della cosiddetta campagna contro gli elementi di destra: la grande
apertura politica e culturale seguita ai fatti di Ungheria metteva in
crisi la burocrazia, che cominciò a escogitare soluzioni di
trasferimento dai centri intellettuali verso i campi periferici della
fatica manuale. Edoarda Masi e i due compagni italiani che la
affiancarono nell' avventura pechinese, furono i primi studenti
approdati in Cina dall' Europa occidentale dopo il 1949. L'
esperienza fu sconvolgente, tanto più per chi, come loro, aveva
cullato il sogno maoista come la possibile alternativa tra il
socialismo sovietico e il capitalismo rampante occidentale. Ma
intanto si allungavano le liste di nomi con fregi rossi e oro affisse
agli albi dell' Università , erano i nomi dei "xiafang",
coloro a cui l' amministrazione centrale imponeva, come malcelata
punizione, l'immersione "nella base" proletaria. Senza
questa premessa non sarebbe possibile spiegare la bocciatura che il
diario di Edoarda Masi subì , al ritorno in Italia dell' autrice,
presso un editore come Einaudi.
Se si aggiunge che il
libro viene pubblicato solo adesso da Feltrinelli, con il titolo
Ritorno a Pechino (pagg. 205, lire 30.000), non si può negare
che siamo di fronte a un caso insolito nell'editoria italiana. Che
cosa accadde dunque nel lontano 1958, quando Edoarda Masi decise di
affidare il suo diario all'autorità di Franco Fortini? Accadde che
Fortini, consulente della casa editrice torinese, sottopose il
manoscritto al comitato editoriale, sollecitandone la pubblicazione.
Si formarono subito due schieramenti: quello, minoritario, di Fortini
e Raniero Panzieri (che sarà, dopo la militanza socialista, il
fondatore dei "Quaderni rossi") e quello "istituzionale".
I nomi che aderirono a quest'ultimo fronte sono arcinoti e nel 1958
dovevano essere più o meno gli stessi di quelli che cinque anni dopo
avrebbero rifiutato l'inchiesta di Goffredo Fofi sugli immigrati
meridionali a Torino: da Bobbio a Bollati, da Calvino a Davico, a
Venturi, a Vivanti, allo stesso Giulio Einaudi, ai più
"possibilisti" (almeno nel caso Fofi) Mila, Solmi, Strada.
Edoarda Masi commenta, nel primo capitolo di Ritorno a Pechino,
la tormentata vicenda editoriale del suo diario: "fu bloccato da
alcuni intellettuali Pci: da un pezzo avevano smesso di credere che
la verità è rivoluzionaria. O forse lo credevano e proprio per
questo la temevano". Non é difficile intuire le ragioni del
rifiuto, visto che il libro avrebbe offerto un' immagine della Cina
poco allineata rispetto alle idee circolanti nella sinistra europea.
Fatto sta che Edoarda Masi rinunciò del tutto a pubblicare il suo
diario: "Sapevo che, nelle condizioni imposte dalla guerra
fredda, dare quel testo a un editore anticomunista avrebbe
significato passare dall'altra parte del fronte. Decisi di condurre
la mia critica per altre vie. Seguii il consiglio di Panzieri,
trattare in forma saggistica il tema della Rivoluzione cinese -
approfondire la problematica che essa rivelava e imponeva al mondo,
con le sue contraddizioni manifeste e gli esiti drammatici".
"Le forme si
dissolvono", dunque. Nel capitolo iniziale di Ritorno a
Pechino (che curiosamente esce ora come il "Diario 1960"
di Fofi) la palude cinese viene rivisitata a trent'anni da quel primo
viaggio: "la vecchia Cina resta come folklore impoverito o
monumento archeologico museizzato, sempre più scisso dal presente...
Gente smarrita, privata di identità e di speranza, che fa le cose
per imitazione. Dietro la maschera, sembra il vuoto". Ma nel suo
nucleo centrale, il diario (in terza persona) ha l'andamento del
romanzo, in cui al di là degli incontri semiclandestini con gli
studenti del posto e tra le appassionate discussioni e riflessioni
politiche, affiorano i paesaggi, le luci, i pomeriggi invernali, le
notti fredde, i sentieri di fango, le botteghe dell' antiquariato, i
cieli senza luna che coprono la città.
Corriere della Sera 29
aprile 1993
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