Domenica 11 dicembre
scorso, a una settimana dal referendum che respingeva la confusa e
velleitaria riforma costituzionale con cui Matteo Renzi sperava di
consolidare la sua “presa del potere” e stabilizzare il primato
politico dei dirigenti nuovisti (seppure non sempre nuovi) che era
riuscito ad aggregare, su “la Repubblica” compariva un editoriale
di Scalfari, che segnava la presa di distanza di uno dei più
autorevoli sponsor del segretario del Pd e premier dimissionato. Il
titolo, irridente, recitava Per essere uno statista Renzi studi
Garibaldi e Cavour; il contenuto
rimaneva vagamente simpatizzante: si suggeriva al politico fiorentino
di riassumere in sé “in vesti moderne quello che furono un secolo
e mezzo fa Cavour e Garibaldi: la guida politica e lo spirito
rivoluzionario”. Troppa grazia!
L'invito
a studiarsi l'abc della storia dovrebbe secondo noi estendersi a
molti esponenti del renzismo, a livello nazionale e periferico. Nel
governo di tutte le cose e, particolarmente, della cosa pubblica non
guasta una certa dose di empirismo. Lo raccomandano, paradossalmente
ma non troppo, proprio i maggiori teorici della politica di ogni
tempo e latitudine, da quello che prescriveva di tenersi ben stretti
alla realtà effettuale della cosa piuttosto che all'immaginazione di
essa a quell'altro che aveva elevato a sistema “l'analisi concreta
della situazione concreta”. Analisi concreta non vuol dire, però,
sguardo superficiale, per impressioni, ma studio della realtà in
esame nei suoi elementi costitutivi, nei rapporti fra di essi, nelle
dinamiche che producono. L'analisi ha bisogno di criteri
metodologici, di ipotesi di lavoro, di visione storica appunto. Non è
così per i rottamatori renzisti: in loro la “mistica del fare”
si rivela il più delle volte annuncio, slogan vuoto di contenuto.
Prendiamo
Leonelli, segretario regionale del Pd in Umbria. Di recente è
intervenuto a più riprese sulla situazione economica e sociale della
regione. Ha commentato, per esempio, l'indagine del “ Sole 24 ore”
sulle condizioni di vita nelle province italiane, guardando
soprattutto alla provincia di Perugia che, nella classifica del
quotidiano, scala una dozzina di posizioni collocandosi al 44° posto
(mentre Terni scende al 68°). Ha detto: “Segnali incoraggianti. Un
risveglio economico... c'è!".
Con
altri toni, assai dolenti, qualche giorno prima, aveva chiosato il
Rapporto Istat sulle povertà relativo al 2015, secondo il quale in
Umbria più di un quarto delle famiglie è a rischio di povertà e di
esclusione sociale. La percentuale risulta appena sotto la media
nazionale, ma a livelli superiori di Marche, Toscana, Emilia Romagna.
Dentro questa sofferenza il problema più grave resta il lavoro,
mentre da parte del mondo cattolico si rileva la grave insufficienza
delle politiche sociali e si fa presente che del cosiddetto Sia
(Sostegno all'inclusione attiva), vanto di Leonelli e del Pd umbro,
pochi riescono ad usufruire.
Sempre
a rimorchio degli eventi Leonelli passa dalla depressione all'euforia
senza mai collegare i germogli di eccellenza, che certamente qua e là
si intravedono (“micropolis” e Renato Covino ne stanno dando
ampiamente conto viaggiando per l'Umbria), con la povertà che
cresce, i giovani che vanno via e il lavoro che continua a mancare,
senza mai spiegare con chiarezza quali politiche sociali si intende
praticare, con quali obiettivi, con quale ruolo per il pubblico e per
il privato. L'unica cosa che s'intende è la contrarietà a misure
universali di sostegno al reddito: a diritti sociali pienamente
esigibili che liberano le persone sembra preferire percorsi
individualizzati che confermano la dipendenza di chi è in stato di
bisogno, o dal politico o dall'imprenditore convenzionato o dal prete
caritatevole.
In
compenso Leonelli parla di “un grande appuntamento regionale che
coinvolga tutti i soggetti interessati” da tenersi il prossimo
febbraio, aggiungendo che “una proposta politica che non guarda
prima di tutto agli ultimi rischia di perdere la sua credibilità”.
Non sa dove guardare Leonelli, un po' agli ultimi un po' ai primi,
un po' al pubblico un po' al privato, e per attirare l'attenzione
racconta che sta organizzando gli “Stati generali della povertà”.
Gli
Stati generali, cioè le rappresentanze della nobiltà, del clero,
dei ceti borghesi, venivano riuniti dal re di Francia
eccezionalmente, in momenti di particolari difficoltà, a distanza di
decenni, se non di secoli. La convocazione più celebre è quella del
1789, in cui la secessione del Terzo Stato (la borghesia) diede il
via alla celebre Rivoluzione. Che cosa c'entri tutto ciò con il con
il convegno sulle povertà che Leonelli vorrebbe organizzare è
difficile da comprendersi. Forse Scalfari ha più ragione di quanto
lui stesso non creda. Renzi e i suoi giovanotti, così ansiosi di
impadronirsi del futuro, hanno proprio bisogno di studiarsi un po' di
storia. Magari alla scuola serale.
Nella
rubrica La battaglia delle idee
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