A guardarla contro luce,
la storia di Roma è percorsa da un filo coerente: un conservatorismo
forsennato. Ogni politico si uniforma alle idee della propria gens
e proclama fieramente la continuità ideologica che si tramanda di
padre in figlio: l'ideale del romano è posto nel passato.
"Ho compendiato
nella mia condotta le virtù della stirpe. Ho cercato di emulare le
nobili azioni del padre. Ottenni la lode dei miei maggiori, sì che
si compiacquero ch' io fossi nato da loro". Così parla di sé
su la sua lapide sepolcrale uno degli Scipioni.
Quelli che esponevano
propositi innovatori venivano definiti con sospetto "uomini che
vanno macchinando novità" - e in genere facevano una brutta
fine. Le idee, però, volano come il polline dei fiori e a volte i
più accesi contestatori sono figli di reazionari. Fu forse
l'insegnamento di due ideologi greci, Blossio di Cuma e Diofane di
Mitilene, nonché la lettura dei libri portati a Roma da Scipione
Emiliano dopo la conquista della Macedonia - la biblioteca del re
Perseo - a ispirare a Tiberio Gracco (162-133 a.C.), tribuno della
plebe, le leggi a favore delle classi povere che gli storici latini
definiscono tutti temerarie, rivoluzionarie, deleterie.
In un volume pubblicato
dalla casa editrice Salerno (pagg. 252, più note, cartine e
bibliografia, lire 26.000) Luciano Perelli esamina, valuta e qualche
volta confuta le fonti antiche, Cicerone, Velleio Patercolo,
Plutarco, Appiano - tutti non soltanto tendenziosi ma posteriori di
molti anni. Benché, tranne Plutarco, prevalentemente ostili ai
Gracchi e inclini a giudicare il loro operato conforme a situazioni
del loro tempo e non di quello in cui i fatti si verificarono, gli
autori antichi appaiono consapevoli che con i Gracchi si produsse una
rottura nel sistema politico romano, cadde l'assioma che il governo
dei Padri Coscritti fosse intoccabile, il migliore nel migliore dei
mondi.
Le leggi di Tiberio
a favore dei poveri
Tiberio Gracco e il
fratello Caio (154-121 a.C.) appartenevano a una famiglia altolocata.
Il padre aveva rivestito cariche importanti, la madre - la famosa
Cornelia - era figlia di Scipione Africano, la sorella aveva sposato
Scipione Emiliano che aveva conquistato la Macedonia e concluso le
guerre puniche nel 146 a.C. con la distruzione di Cartagine. Come
posizione economica, sociale e ambiente culturale i Gracchi non
potevano desiderare di più. Tiberio, eletto tribuno della plebe,
fece votare dall' assemblea (prima che dal Senato) leggi a favore
delle classi povere. Era consapevole dell'allarmante carenza di
reclute, della disoccupazione dei lavoratori liberi, rimpiazzati
nelle grandi proprietà da schiavi, dell'insufficiente produttività
agricola. Da anni gli aristocratici si impadronivano dei terreni
tolti ai nemici. Tiberio volle semplicemente ripristinare la
legalità: dalla sua legge, che limitava i possedimenti dell' agro
pubblico a non più di 500 jugeri (lo jugero corrisponde a 2500 mq),
mentre le terre eccedenti sarebbero state suddivise in lotti
inalienabili e consegnate a chi ne facesse richiesta, traspare il
pensiero d'un uomo giusto, un conservatore illuminato, che guardava
con rimpianto ai primordi della Repubblica, al personaggio
tradizionalmente caro all'immaginario collettivo: il contadino
soldato, Cincinnato, Attilio Regolo. Ma ormai il campicello
sufficiente al mantenimento d'una famiglia non era più adeguato a
un'economia di mercato; il latifondo lavorato da schiavi, vale a dire
la situazione contro la quale si batteva il tribuno, non era ancora
molto frequente, osserva lo storico Perrelli, al contrario il
fenomeno si verificò in vaste proporzioni circa cinquant'anni dopo.
La legge, ad onta dell'opposizione dei grandi proprietari, che
indussero uno dei dieci tribuni a porre il veto (a cui seguì il suo
decadimento dalla carica) passò e fu nominata la commissione addetta
alla distribuzione dei lotti. Ma un altro gesto di Tiberio fece
precipitare la sua situazione, la delibera, varata prima che si
pronunciasse il Senato, di utilizzare per le attrezzature necessarie
ai nuovi possidenti l'eredità che Attalo, re di Pergamo, morendo
aveva lasciato al popolo romano. In materia di economia e politica
estera il Senato si riteneva unico competente; l'ostilità, i
sospetti contro Tiberio degenerarono in furore. Il console si rifiutò
di condannare il tribuno senza processo e allora, in un tumulto
scoppiato sul Campidoglio - come molti secoli dopo Cola di Rienzo -
il giovane fu ucciso dal capo dell'opposizione, suo cugino Scipione
Nasica, che vedeva in lui un rinnegato. "Lo seguirono, scrive
Velleio Patercolo, gli aristocratici, i senatori, i migliori tra gli
equestri e persino la plebe, ancora immune da teorie perniciose...".
La morte al Ponte
Sublicio del tribuno Caio
Caio, fratello minore
dell' ucciso, fu eletto lui pure tribuno della plebe e si propose di
vendicare il fratello. Dimostrò subito di possedere grandi capacità
oratorie e una lucida percezione dei problemi politici ed economici
di Roma. Il successo della legge agraria di Tiberio era stato di
breve durata per l'opposizione degli aristocratici; Caio ne riprese i
temi, la denuncia appassionata della disparità economica, della
posizione d'inferiorità in cui si trovavano gli italici, che pure
avevano grandi benemerenze verso Roma per il contributo militare dato
alla conquista, la corruzione nelle alte sfere del governo, l'
insufficiente produzione agricola. Propose una distribuzione di grano
a prezzo politico ai non abbienti, la concessione della cittadinanza
romana a tutti gli italici, la fondazione di molte nuove colonie non
più, com'era nella tradizione, per scopi militari, bensì sociali.
La scelta di Cartagine, dove il tribuno si recò per assistere
all'insediamento dei nuovi coloni, suscitò una forte opposizione:
l'area della città data alle fiamme era considerata terreno colpito
da anatema e si verificarono immediatamente gli immancabili prodigi
nefasti. Caio inoltre tolse ai senatori e trasferì agli equestri
processi di corruzione e concussione: si erano verificate troppe
assoluzioni scandalose. Il reo doveva restituire il doppio di quel
che aveva chiesto o accettato e chi poteva fornire prove della sua
colpevolezza riceveva notevoli compensi.
Caio Gracco mirava in
realtà a rafforzare lo Stato aumentando le entrate e favoriva una
forma di dirigismo statale in luogo dell' assistenzialismo
clientelare vigente; ma la miopia e l' egoismo dei privilegiati
provocarono una reazione violenta. Fu votata contro il tribuno una
misura estrema, il Senatus Consultum ultimum, quasi fosse reo
di alto tradimento. Braccato dagli avversari, si rifugiò
sull'Aventino, il colle dei contestatori; ma fu costretto a fuggire e
giunto al Ponte Sublicio trovò la morte, non si sa se per suicidio o
per assassinio. Così perirono due aristocratici che, come scrisse
Lucano, "avevano osato cose enormi". Tremila dei suoi
seguaci furono giustiziati. In memoria di quella repressione fu
fondato il Tempio della Concordia.
la Repubblica, 4 agosto
1993
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