Natività con i santi
Lorenzo e Francesco d’Assisi, capolavoro del Caravaggio trafugato
nel 1969 dall’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo di Palermo e
mai più ritrovato. Secondo un pentito si troverebbe nella villa di un boss di Cosa Nostra a Partanna. Gli inquirenti più esperti della materia non lo escludono, sono da sempre convinti che il quadro sia rimasto in Sicilia.
Una mole di documenti
cresciuta in molti anni di ricerche riguarda non soltanto l'attività
come pittore di Caravaggio. A far conoscere la famiglia e gli anni
lombardi hanno contribuito soprattutto l'indimenticabile Mia Cinotti,
Giacomo Berrà e Mario Comincini, e della sua presenza a Roma, a
Napoli, a Malta e in Sicilia sono emerse molte notizie che ha riunito
e sta di nuovo riunendo Stefania Macioce. Il costante lavoro delle
ricerche documentarie trova una spiegazione nell'importanza di
Caravaggio nell'arte dell'Occidente non meno che nel periodo storico
in cui visse. Ma l'interesse per le sue vicende personali è
altrettanto vivo. Perché siamo tanto ansiosi di saperne di più? La
pubblicazione di Bertolotti degli atti processuali e criminali
risalente agli anni ottanta dell'Ottocento ha contribuito
indubbiamente a proiettare la sua figura sullo sfondo della Roma
degli anni tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento da un
punto di vista fortemente condizionante e atto a suscitare la
curiosità. Come reazione all'intento post-romantico di creare un
personaggio con una storia ricca di luci e ombre è però prevalsa
negli studi la tendenza a distinguere giustamente la genesi delle sue
opere dalle vicende della sua vita e a respingere in particolare il
rapporto di causa-effetto che si poteva stabilire tra l'omicidio che
lo costrinse a fuggire da Roma e il tragico pessimismo delle opere
degli anni che seguirono. Al di là delle prime osservazioni raccolte
da Van Mander contro il suo metodo «di tenere il vero davanti a sé
e di seguire la natura» e delle critiche distruttive del mondo
accademico conclusesi con la condanna di Bellori, apparve subito
evidente con lui vivo e operante l'eccezionalità del genio di
Caravaggio, se a Roma trovò l'interesse di alcuni tra i più
illuminati committenti e mecenati, il cardinal Del Monte e Vincenzo
Giustiniani, e a Malta del Gran Maestro Alof de Wignacourt, e la
protezione di personaggi come la marchesa di Caravaggio e i suoi
parenti Colonna e Doria. Ma alle opere pubbliche e a quelle di
destinazione privata che si presentano, come si è visto alla mostra
romana, quali singoli e potenti messaggi, si accompagna la sequenza
delle sue intemperanze e delle sue cadute e sconfitte, e gli episodi
di una vita violenta nelle strade popolari di Roma.
Nelle sue manifestazioni
la vita di Caravaggio appare come quella di un disadattato e, più
che di un contestatario come si è voluto, di una vittima della sua
visione senza scampo della realtà, che si è negata alle favole e ai
miti e persino all'erotismo e nella pittura alle seduzioni materiche.
Cresciuto nell'ambiente lombardo dei Borromeo, Caravaggio ha
ereditato le esplorazioni della psiche, il nuovo senso delle
responsabilità morali che furono l'aspetto più moderno e non solo
confessionale della Controriforma. La sua dichiarazione degli anni
siciliani, «i miei peccati sono tutti mortali», lo attesta. Dopo le
prime opere che dimostrarono a Del Monte la sua maestria nell'uso
dell'ottica e il suo nuovo metodo esecutivo mediante le lenti e gli
specchi, partendo dai temi cristologici post mortem dipinti per
Ciriaco Mattei i protagonisti dei suoi quadri sacri impersonano la
storia degli uomini, nelle sue crudeltà e ingiustizie e nelle sue
dolcezze (penso ispirate a un forte legame con la madre perduta
anzitempo), e nei suoi santi si è sollecitati a vedere riflessi
autobiografici. La verità e la componente soggettiva delle pitture
di Caravaggio attraggono ancora oggi e le rendono attuali come
espressioni di una vicenda interiore e vissuta: è dunque legittimo
vedere le sue opere in rapporto con la sua vita e con la sua morte.
“Il Sole 24 ore”, 18
luglio 2010
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