“Monsieur de La
Rochefoucauld e Madame de La Fayette hanno fatto un romanzo sulle
avventure galanti della corte di Enrico II, scritto, pare, in modo
mirabile”. Così, in una lettera del dicembre 1677, Madame de
Scudéry annunciava a Bussy Rabutin, uno degli uomini più pettegoli
di Francia, l'imminente apparizione della Principessa di Clèves.
Sebbene inesatte, eco dei
si dice della cronaca mondana, le illazioni di Madame de Scudèry
rinviano a due problemi centrali per penetrare l'enigmatica
personalità di Madame de La Fayette: la sua concezione dell'amore e
il suo rapporto con la scrittura. Nel 1677 Madame de La Fayette ha
quarantatré anni e La Rochefoucauld sessantaquattro. Da quando hanno
preso l'abitudine di conversare insieme tutti i giorni, lui le ha
riformato lo spirito e lei il cuore. La natura del loro sodalizio non
dipende quindi dall'età, ma da una scelta precisa: è una relazione
volontaria. Quanto alla Principessa di Clèves, il libro,
destinato ad apparire anonimo, è opera della sola Madame de La
Fayette; l'esempio del duca le è stato, semmai, di incoraggiamento a
scrivere il suo capolavoro, fidando esclusivamente in se stessa.
Nella vita sentimentale
come in quella intellettuale, Madame de La Fayette è comunque
prudente: vuole coltivare l'amore senza esporsi ai suoi rischi, vuole
scrivere senza svelarsi come scrittrice.
Un apparente
paradosso
A riproporre questi temi
ormai classici, è un'ottima biografia di taglio divulgativo di Roger
Duchene (Madame de La Fayette, Editions Fayard). Dopo aver
curato per la Pléiade la nuova edizione delle lettere di Madame de
Sévigné ed averne in seguito scritto la vita (Fayard, 1982),
Duchene si è dedicato alla migliore amica della celebre
epistolografa.
Lo studioso ricostruisce,
in particolare, con molta finezza, il percorso intellettuale di
Madame de La Fayette. L'apparente paradosso di questa scrittrice, che
si ostina a considerarsi una dilettante e si trincera dietro
l'incognito, ma le cui opere costituiscono una svolta fondamentale
per la letteratura francese e per il dibattito teorico che sta
all'origine dello statuto del romanzo moderno, è in realtà un
esempio altamente emblematico di una cultura in profonda evoluzione.
Il valore sovrano della società dell'Antico Regime è quello della
nascita, del patrimonio, delle alleanze familiari. In nome di questa
logica, a incominciare da un matrimonio senza amore, Madame de La
Fayette tesse tenacemente la sua rete di relazioni, segue gli
interessi del marito e dei figli, tutela il proprio prestigio.
Questa dura disciplina è
alleviata da una forte curiosità intellettuale. Le due cose non sono
necessariamente in contrasto: fin dai primi decenni del Seicento, la
letteratura è entrata a far parte degli svaghi della civiltà
aristocratica francese. Sulla spinta del celebre salotto di
Rambouillet, tutta una generazione di dotti si è spogliata di un
eccesso di erudizione e di tecnicismo e, bandendo la pedanteria, si è
messa al servizio della vita mondana. A loro volta, nobildonne e
grandi signori si accostano alla letteratura come a un art badin
et léger e imparano a tenere la penna in mano e a scrivere e
rimare con grande naturalezza. Se, giovane sposa relegata in
provincia, Madame de La Fayette intrattiene una corrispondenza
epistolare con dei celebri eruditi e, seguendo i loro consigli,
studia il latino e l'italiano, si dedica a un programma sistematico
di letture e coltiva con il dotto abbé Gilles Ménage
un'amicizia platonica, tutto questo rientra, ad eccezione della
qualità della sua intelligenza, nella voga mondana dell'epoca.
Ma le mode spesso
finiscono con la stessa perentorietà con cui si impongono.
L'entusiasmo congiunto dei professionisti e dei dilettanti aveva
conquistato alla letteratura un posto mai avuto prima nella vita di
società, non un riconoscimento di valore. Sarebbe infatti bastata,
di lì a poco, la satira di Molière per sancire il tramonto del
regno delle Preziose e rendere sospette le femmes savantes. La
giovane contessa avverte immediatamente il cambiamento in atto. Ha
pagato troppo caro il suo prestigio sociale per correre il rischio di
esporsi al ridicolo: d'ora in avanti saprà dissimulare i suoi
interessi intellettuali, eviterà di essere coinvolta nelle dispute
degli amici scrittori, imparerà a seguire l'attualità letteraria
senza compromettersi. Tornata per sempre a Parigi nel 1658, Madame de
La Fayette pubblica, è vero, la sua prima opera, l'unica che mai
apparirà con la sua firma: il ritratto dell'amica Madame de Sévigné.
Ma lo scritto che le è stato commissionato dalla Grande Mademoiselle
per la raccolta dei suoi Portraits, fa parte di un gioco di
società organizzato da una principessa di sangue reale. Con le
Preziose Ridicole, Molière, però non si limitava a mettere alla
gogna un costume sociale, dava battaglia ai «piccoli generi»
letterari inflazionati dalla voga mondana e si faceva portavoce, in
nome del gusto classico, di una generazione di giovani scrittori
professionisti decisi ad espugnare il potere, scalzando le vecchie
celebrità. «Per Molière», scrive Duchène, «come per Racine, e
più tardi La Bruyère, la nuova parola d’ordine è "la
letteratura agli scrittori”».
Madame de La Fayette si
mostra sensibile anche a questa lezione. Se la professione letteraria
è inconciliabile con la dignità dello status aristocratico, è però
impensabile che un dilettante possa progettare di pubblicare un’opera
senza favellio di uno scrittore professionista. Così, non
diversamente da La Rochefoucauld che, con Madame de Sablé, era stato
incoraggiato a comporre le Massime da Jacques Esprit, la
contessa si decide a scrivere la prima opera narrativa destinata alla
stampa sotto l'egida dell’amico Ménage.
Con l'aiuto dei
professionisti
Senza la presenza di
questi due «intellettuali patentati», probabilmente tanto la
Principessa di Montpensier quanto le Massime sarebbero
rimaste un gioco mondano. Così due aristocratici che non firmano le
loro opere, e che «non potevano volersi scrittori», lo sono
diventati grazie all'aiuto di professionisti della scrittura: seri
eruditi di mediocre talento hanno reso possibile la metamorfosi di
due dilettanti in scrittori sommi.
Anche il successivo
romanzo di Madame de La Fayette, Zaide, nasce come «opera
collettiva», frutto delle conversazioni con La Rochefoucauld e con
il dottor Jean Segrais ma, soprattutto, delle correzioni
dell’illustre studioso Pierre-Daniel Huet. Tuttavia, con l’andare
del tempo, Madame de La Fayette e La Rochefoucauld sembrano avere
sempre meno bisogno degli altri, sempre più si influenzano e si
bastano a vicenda.
Dopo aver lavorato con
degli scrittori di professione, con Ménage, Segrais, Huet, letterati
coltissimi che conservavano la nostalgia dei modelli antichi e
credevano nell'imitazione, Madame de La Fayette ha scoperto il modo
di scrivere di un gran signore autodidatta e, venuto il momento della
Principessa di Clèves, lo fa finalmente suo. «Per creare un
genere nuovo», osserva Duchène, «l'autore delle Massime era
partito dalla lettura dei moderni, dalla corrispondenza personale e
dalle conversazioni di salotto. Da lui Madame de La Fayette ebbe la
conferma che non era necessario essere scrittore di professione per
avere successo e rivoluzionare la letteratura».
“la Repubblica”, 9
luglio 1988
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