Miniature. Papa Urbano II benedice l'altare dell'Abbazia di Cluny |
Mille e non più Mille.
L'anno Mille come la fine dei tempi. In prossimità di questa
fatidica data, la paura si sarebbe perciò impadronita dell'umanità,
atterrita dalla predizione di un'imminente fine dei mondo. Senonché
l’assunto secondo cui gli uomini di allora fossero caduti in preda
a una sindrome del genere non erastato altro, per dirla con Lucien
Febvre, che una «gigantesca falsa credenza», una leggenda
storiografica divulgata molti secoli dopo.
È vero invece che nel
corso dell'undicesimo secolo cominciarono a prendere forma e
consistenza alcuni orientamenti tali da determinare un progressivo
cambiamento di scenario rispetto al passato. E che da allora gli
uomini iniziarono pertanto a misurarsi con le implicazioni di segno
diverso che di volta in volta ne scaturivano.
Che il Mille abbia
rappresentato una sorta di spartiacque per l’Europa, è quanto
avvenne grazie al fatto che non fu più scossa incessantemente da
guerre, invasioni, saccheggi e carestie. E che fu quindi possibile,
in condizioni di maggiore tranquillità, procedere all’estensione
delle terre coltivate, all’introduzione di nuove tecniche agricole
e fonti di energia, nonché a una vivace ripresa dei commerci e delle
manifatture, con un conseguente aumento della popolazione. Ma se
questi furono i risultati più tangibili della rinascita delineatasi
all'indomani del Mille, altrettanto importanti furono quelli che
andarono via via maturando sul versante politico e istituzionale. E
che Glauco Maria Cantarella (Manuale della fine del mondo. Il
travaglio dell’Europa medievale, Einaudi, 2015) pone
debitamente in luce nelle pagine di un saggio che si raccomanda per
la finezza dell’analisi congiunta a un brillante stile narrativo.
Al centro della sua
trattazione spicca la trama complessa e mutevole dei rapporti fra
Impero e Papato durante quella lunga e serrata disputa, per
l’affermazione di una potestà universale, del «dominium mundi»,
che sfociò nella lotta per le investiture e che sembrò doversi
concludere con il concordato di Wormsdel 1122 per poi riaccendersi,
con ancor maggior violenza, dopo l’ascesa al seggio imperiale e a
quello pontificio di figure dalla fortissima personalità come
Federico Barbarossa e Alessandro III.
Ma pagine interessanti
sono anche quelle dedicate dall’Autore al sorgere delle monarchie,
in particolare agli esordi dei regni di Inghilterra e di Spagna, dopo
il consolidamento di quello francese; agli sviluppi delle autonomie
comunali in Italia in connessione con le aspirazioni di libertà e i
nuovi statuti di vari centri urbani del nord Europa; ad alcuni
aspetti significativi della dottrina religiosa e della cultura di
corte; ai movimenti riformatori e a quelli ereticali. Nella temperie
di quell’epoca assunsero un ruolo di rilievo nuove comunità
monastiche, derivanti dalla famiglia benedettina: i cluniacensi e i
cistercensi. Soprattutto il primo di questi due Ordini svolse una
funzione preminente nella costruzione di un modello di riferimento
ideale nella vita religiosa ed ebbe una larga influenza
nell’evoluzione intellettuale e artistica dell’Occidente. C'era
nell’Ordine fondato nel 910 dal monaco Bemone nel convento di Cluny
in Aquitania, le cui propaggini si estesero poi in ogni angolo
d’Europa, uno spirito cosmopolita e insieme fortemente
centralizzato, consistente in un sistema concettuale sempre più
organico, che, secondo Cantarella, rese Cluny una sorta di «ombelico
del mondo» e di «garante degli equilibri e della pace fra il secolo
e l’eternità». Del resto, dalle fila dei cluniacensi provennero
due papi del livello di Gregorio VII, assertore di una concezione
teocratica del potere e perciò risoluto antagonista dell’imperatore
Enrico IV, e Urbano II, il promotore nel 1095 della prima crociata.
Inoltre, ai monaci di quest’ordine si deve la prima traduzione, nel
corso del XII secolo, del Corano in latino. La regola
cluniacense aveva ridotto le ore del lavoro manuale a vantaggio della
preghiera e delle cerimonie liturgiche e processionali durante le
quali la musica, in quanto elemento incorporeo e spirituale per
eccellenza, costituiva un fattore di sublimazione nelle celebrazioni
corali di fede e consacrazione a Dio dei cluniacensi.
Nel cangiante mosaico di
quei due secoli fra l’undicesimo e il tredicesimo che videro il
passaggio dal mondo primo-medievale a quello tardo-medievale, un
altro tassello emblematico nella gestazione di un nuovo universo più
aperto e articolato, fu l'avvento di una nuova cultura politica. Si
trattava di una cultura elaborata dagli ambienti di corte (come mai
era avvenuto precedentemente in modo così ampio) in cui convivevano
motivi della classicità, indagini teologiche e filosofiche,
dissertazioni giuridiche, riflessioni sul passato e sul presente ma
anche sul futuro, a cui era complementare una cultura letteraria in
forme di intrattenimento e di esibizione. In questo stesso tornante
il francese d’oil, quale lingua delle corti, divenne la nuova
lingua internazionale.
"Il Sole 24 ore - Domenica", 1 marzo 2015
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