15.7.19

Non ci sono più le vacanze di una volta (Marina Corradi)

Dommegge di Cadore 1963

Era di questi giorni, ai primi di luglio, che si partiva. Alla stazione, la sera, l’afa su Milano toglieva il fiato. Ma già dopo la notte in treno, all’alba, l’aria limpida del Cadore aveva tutto un altro profumo. Erba, resina, fieno, registrava attento il mio naso di bambina. Un altro mondo ci si spalancava davanti: due lunghi mesi nelle Dolomiti. Di quel privilegio della mia infanzia oggi mi meraviglia soprattutto una cosa: la natura del tempo, in quelle estati. Era un tempo del tutto differente: lento ma non noioso, e denso invece, e anzi colmo. Le giornate iniziavano, di buon mattino, come con un passo leggero da bambine; poi con l’alzarsi del sole maturavano nella pienezza di luglio. Culminavano nel solleone a picco sulle montagne, dove, mi immaginavo io dalla valle, si andavano sciogliendo gli ultimi nevai, in uno sgocciolio lieve. Poi, il primo pomeriggio era l’ora silenziosa delle persiane socchiuse, delle stanze in penombra, del riposo. Alle quattro, col sole ancora alto, il tempo si faceva un fiume largo, maestoso, che si avviava regalmente alla sua foce. E al tramonto, nel rosa luminescente delle vette, ancora il sole non si arrendeva, e si voltava indietro, mentre affondava nella linea dell’orizzonte. Come se il giorno proprio non volesse morire.

Avvenire, 15 luglio 2014

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