29.7.19

Memoria come domani - Bruno Enei, una storia strappata all’oblio (Salvatore Lo Leggio, Il Ponte n.3 Luglio 2019)

Bruno Enei comandante partigiano. Nella foto il terzo da sinistra

La vicenda umana di Bruno Enei ha tratti romanzeschi. A un’infanzia in Brasile, dov’era nato nel 1908 da una famiglia di emigranti marchigiani, braccianti in una piantagione di caffè, succede, quand’è adolescente, un soggiorno in Italia che diventa permanenza, in carico a uno zio che gestisce i poderi della sua famiglia. Resta per studiare, nonostante le difficoltà economiche: il seminario a Fermo, la maturità da privatista a Gubbio, Lettere all’Università di Pisa; solitudine e sradicamento non deprimono l’esuberanza fisica e l’attività sportiva, la simpatia umana e la capacità di stabilire relazioni amicali. Fondamentale è la ricerca di maestri, nei libri (Mazzini, Foscolo) come nella vita (Attilio Momigliano e, soprattutto, Aldo Capitini). Alla laurea seguono l’insegnamento, la cospirazione antifascista (nelle reti liberalsocialiste), l’amore e il matrimonio; indi la guerra fascista e la Resistenza partigiana nell’Alto Tevere, in un ruolo di comando che richiede energia e coraggio. Intorno a una strage nazista di civili a Gubbio verrà imbastita e periodicamente rilanciata – non solo dai fascisti – una subdola campagna di calunnie che lo coinvolge attraverso l’infondata accusa di avere provocato, con azioni temerarie, la rappresaglia.
Nel tempo della ricostruzione democratica Enei è in prima fila come militante socialista, giornalista, collaboratore di Capitini nell’esperienza dei Cos (Centri di orientamento sociale), ma anche oggetto di malevole polemiche, soprattutto da parte di clericali, massoni e comunisti; sono grandi in lui la disillusione e lo scoramento per la nuova Italia repubblicana ove il predominio democristiano nel governo sembra assumere i caratteri di una restaurazione e il predominio comunista nell’opposizione imprime su di essa i segni dello stalinismo. Enei finirà per tornare in Brasile ove insegnerà Letteratura Italiana in una università periferica (Ponta Grossa) e morirà relativamente giovane, nel 1967, per un infarto durante il funerale di un amico.
Come si vede, materiali per un romanzo biografico o per una biografia romanzata non ne mancano, ma Lanfranco e Marta Binni, autori di Storia di Bruno Enei. Il dovere della libertà (Firenze, Il Ponte Editore, 2019, pp. 216), hanno seguito un’altra via: quella del rigore storiografico, della documentazione rintracciata con fatica, accuratamente vagliata e puntigliosamente confrontata.
La genesi del libro è raccontata da Lanfranco Binni nel capitolo introduttivo, Alla ricerca di Bruno Enei» il cui titolo riprende quello di un articolo a sua firma apparso sul mensile umbro «micropolis» nel febbraio del 2015, un colloquio con Maurizio Mori, compagno di Enei e di Walter Binni nel dopoguerra, interamente riportato nel libro. La domanda che ha guidato gli autori è grosso modo la stessa che caratterizzava l’intervista a Mori, e cioè: «Come è potuto accadere che una figura come Enei, che nelle cronache del tempo appare come un protagonista della Resistenza antifascista e della nuova democrazia repubblicana, sia quasi totalmente scomparso dalla storia u#ciale di Perugia e dell’Umbria? E come è potuto accadere in una regione che, fortunatamente, non ha mai smesso di coltivare memorie antifasciste?».
Per questo indagare su una rimozione, la Storia di Bruno Enei ricorda due libri di qualche lustro fa, belli e importanti: il Mistero napoletano di Ermanno Rea (Milano, Feltrinelli, 1995), che rievoca il suicidio di Francesca Spada, dirigente del Pci napoletano negli anni del dopoguerra, e l’Odissea Rossa di Didi Gnocchi (Torino, Einaudi, 2001), storia di un fondatore del Pci, Edmondo Peluso, giornalista di genio, risucchiato nel buco nero delle purghe staliniane in Urss, ma ancor piú cancellato e quasi sparito nelle storie ufficiali. La differenza sta nelle modalità della comunicazione. I libri di Rea e Gnocchi erano centrati sull’indagine: i silenzi, le omertà e gli ostacoli da sormontare, i muri da abbattere, gli stessi inganni della memoria; nell’opera dei Binni il percorso della ricerca e le sue difficoltà sono rappresentati nel capitolo introduttivo, per il resto tutto lo spazio è lasciato a Enei, la cui biografia è seguita da un inserto fotografico e da una scelta di scritti. Questa separazione non nuoce affatto alla “leggibilità”, giacché Marta e Lanfranco Binni, pur fuggendo dal romanzesco, hanno prodotto un racconto che del romanzo sembra possedere la polifonia, visto che utilizza e incrocia, spesso riprendendoli per intero, documenti di tipologia e provenienza assai varie: relazioni ufficiali e non, articoli di giornale, lettere, memorie, testimonianze orali.
Il momento di svolta nella narrazione, la “conversione” di Enei, può individuarsi nell’incontro con Aldo Capitini nei primi anni trenta, da cui scaturisce un rapporto duraturo. Lo spiega l’inedito Per imprimere bisogna esprimere in cui Enei rievoca l’impatto sul suo animo giovanile del capitiniano rifiuto della violenza e l’originale interpretazione della vita e dei compiti dell’uomo contenuta in un fondamentale libro del maestro, gli Elementi di un’esperienza religiosa del 1937, definito «una specie di nuovo Evangelo» per le generazioni giovani cresciute sotto il fascismo. «Non l’individuo come diritto – scrive Enei –, come atomo ed egoista; ma l’individuo come dovere religioso, come centro. Il vecchio individuo poteva e non poteva, doveva e non doveva; e la sua libertà si esauriva tutta nell’accettare o no quello che la storia e la tradizione gli offrivano. Invece l’individuo nuovo doveva impegnarsi, e la sua libertà consiste in un obbligo di scegliersi la sua strada in se stesso, nella sua persuasione, nel suo interno al di sopra e al di fuori di ogni conformismo e di ogni mito, di ogni dogma».
È qui ottimamente riassunta una tesi centrale di Capitini per il quale è fragile ogni impegno civile che non abbia alla base domande radicali, “religiose”, sul destino e il dovere di ciascun uomo nel mondo ed è poca cosa una rivoluzione politica che non sia anche etica. La Storia scritta da Lanfranco e Marta Binni è coerente con il personaggio e con il suo approccio “capitiniano” alle cose del mondo: oggettivo e soggettivo, pubblico e privato risultano strettamente connessi e la figura di Enei emerge nella sua grandezza.
Nel racconto e nella documentazione che lo accompagna si possono trovare peraltro molti motivi di interesse: uno, per me assai importante, è la verifica sul campo di come la secolare “miseria” italiana, fatta di menzogne, privilegi di casta, intrighi e camarille, sia riuscita finora a soffocare ogni sogno di rinascita, ogni impegno fattivo per realizzarla. A Perugia, come probabilmente nelle altre cento città e nei tanti paesi d’Italia, sono presenti e all’opera, fin dalla Liberazione, forze che lavorano per una restaurazione delle gerarchie sociali vigenti sotto il fascismo e nel prefascismo. Enei è tra i primi ad avere piena consapevolezza di questo lavorio sottotraccia: quando tra l’autunno del ’44 e il giugno del ’45 è incaricato della direzione del «Corriere di Perugia», organo del Comitato provinciale di liberazione, la inaugura con un editoriale dal titolo emblematico, Le due forze, e la prosegue impegnando il giornale su temi scabrosi, ma decisivi, come l’epurazione.
Tra le battaglie di rinnovamento civile ed etico che nel fervore di quel primo dopoguerra Enei combatte al fianco di Capitini ce n’è una che investe la potente e pervasiva casta clericale. Intorno a una lezione tenuta a Perugia, nell’Università per Stranieri retta da Capitini, da Ernesto Bonaiuti, uno tra i piú colti e agguerriti esponenti del “modernismo cattolico”, vittima nel ventennio fascista di una doppia, accanita persecuzione, da parte della gerarchia ecclesiastica e da parte del regime, era nata una dura polemica, culminata in una sorta di contraddittorio pubblico sul tema della libertà religiosa tra un paio di dotti prelati ed Enei. Il suo intervento viene ripetutamente interrotto dalla gazzarra organizzata dai clericali, ma il testo scritto che opportunamente i Binni riportano per intero, ottimamente pare coniugare vissuto, polemica antidogmatica e tensione libertaria. È a una sua centrale formulazione che allude il titolo del volume: dopo aver asserito che la libertà è «un non dogma, un antidogma che impegna l’uomo sulla terra e nella storia, dinanzi alle sue responsabilità», Enei dichiara che «la libertà è un dovere, è un valore continuo, creatore, mezzo e fine per sé e per gli altri». In un altro passaggio dell’intervento egli esplicita la sua diffidenza contro l’altra chiesa che in quel momento sembra opporsi alla libertà, in antitesi alla Chiesa cattolica, ma a essa simile in molti aspetti: «La Chiesa combatte il comunismo per amore della libertà o perché quel regime, fondato su una disciplina e su principi saldi e universali, costituisce il suo piú diretto e consequenziale avversario, pur dichiarandosi agnostico in religione? Io sono propenso a credere piú alla seconda ipotesi».
L’impegno libertario e costruttivo di Bruno Enei, di una rivoluzione sociale fondata sul dialogo e la partecipazione dal basso, in una città come Perugia trova ostacoli anche nello stesso Partito socialista in cui milita, in particolare in quel notabilato massonico che ne ha occupato alcuni posti chiave. In sintonia con Walter Binni, che nella primavera del 1946 ne è sempre piú il leader riconosciuto, riuscirà a far espellere dal Psiup un paio di esponenti massoni tra i piú tronfi e intriganti. Nella Storia di Bruno Enei si recuperano episodi anche divertenti di quella battaglia. Ma logge e sagrestie non dimenticano: è effetto soprattutto di trame provenienti da siffatti ricettacoli e della complice acquiescenza dei comunisti, la cacciata di Aldo Capitini dall’Università per Stranieri compiutasi nell’aprile del 1947. Intanto, dopo la scissione di Palazzo Barberini tra il Psi di Nenni e il Psli di Saragat, Bruno Enei e il suo amico Walter Binni rimangono – come altri socialisti – senza partito, rifiutando sia la subalternità al Pci sia il moderatismo filooccidentale.
Da Perugia tra il 1947 e il 1948 c’è una sorta di diaspora: Capitini lascia la città per ritrovare l’occupazione alla Scuola Normale Superiore di Pisa; Walter Binni, ancora deputato alla Costituente, sceglie la carriera universitaria che lo porterà prima a Genova, poi a Firenze e Roma; Enei, spinto anche dalle difficoltà economiche, tornerà in Brasile. Faticosamente troverà un ruolo di professore universitario e otterrà perfino qualche riconoscimento, ma quel ritorno sarà sempre vissuto con l’amarezza di un esilio, come conseguenza di una sconfitta non soltanto personale.
Eccellente mi pare la scelta di scritti di Enei che costituisce l’ultima parte del libro: un saggio sul Mazzini che risale agli ultimi anni trenta e ne attualizza lo spiritualismo, articoli politici e notiziari militari sul «Corriere di Perugia», la tesi di laurea sul Belli rimaneggiata in Brasile negli anni cinquanta, ma risalente ai primi anni trenta, quando il canone crociano riservava al grande poeta romano un rango di “minore”, addirittura collocandolo sotto Pascarella e Trilussa. Vivamente consigliata è la lettura attenta dei resoconti sulle riunioni del Cos di Perugia, ideato e diretto da Aldo Capitini, tra gli ultimi mesi del 1944 e i primi del 1946: se ne possono trarre indicazioni ancor oggi valide sulla partecipazione popolare e la democrazia diretta.
Una conclusione che non è conclusione. Lanfranco Binni, stavolta in collaborazione con la figlia Marta, conclude con questo libro una sorta di trittico perugino rappresentato da Aldo Capitini, Walter Binni e Bruno Enei, tre maestri il cui esempio e la cui lezione etico-politica sono stati sottratti a una sterilizzante beatificazione o all’oblio organizzato per essere consegnati alle nuove generazioni italiane anche negli aspetti piú aspri, piú difficili da accettare e seguire. Un lavoro analogo andrebbe fatto con altri: Mario Mineo, Franco Fortini, Sebastiano Timpanaro, Raniero Panzieri, Leonardo Sciascia, tanto per fare qualche nome, ma anche nomi diversi, ai piú sconosciuti ma degni di attenzione come quello di Enei. Sono grandi risorse per farci uscire dall’oscurità in cui siamo piombati.

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