Bruno Enei comandante partigiano. Nella foto il terzo da sinistra |
La
vicenda umana di Bruno Enei ha tratti romanzeschi. A un’infanzia in
Brasile, dov’era nato nel 1908 da una famiglia di emigranti
marchigiani, braccianti in una piantagione di caffè, succede,
quand’è adolescente, un soggiorno in Italia che diventa
permanenza, in carico a uno zio che gestisce i poderi della sua
famiglia. Resta per studiare, nonostante le difficoltà economiche:
il seminario a Fermo, la maturità da privatista a Gubbio, Lettere
all’Università di Pisa; solitudine e sradicamento non deprimono
l’esuberanza fisica e l’attività sportiva, la simpatia umana e
la capacità di stabilire relazioni amicali. Fondamentale è la
ricerca di maestri, nei libri (Mazzini, Foscolo) come nella vita
(Attilio Momigliano e, soprattutto, Aldo Capitini). Alla laurea
seguono l’insegnamento, la cospirazione antifascista (nelle reti
liberalsocialiste), l’amore e il matrimonio; indi la guerra
fascista e la Resistenza partigiana nell’Alto Tevere, in un ruolo
di comando che richiede energia e coraggio. Intorno a una strage
nazista di civili a Gubbio verrà imbastita e periodicamente
rilanciata – non solo dai fascisti – una subdola campagna di
calunnie che lo coinvolge attraverso l’infondata accusa di avere
provocato, con azioni temerarie, la rappresaglia.
Nel
tempo della ricostruzione democratica Enei è in prima fila come
militante socialista, giornalista, collaboratore di Capitini
nell’esperienza dei Cos (Centri di orientamento sociale), ma anche
oggetto di malevole polemiche, soprattutto da parte di clericali,
massoni e comunisti; sono grandi in lui la disillusione e lo
scoramento per la nuova Italia repubblicana ove il predominio
democristiano nel governo sembra assumere i caratteri di una
restaurazione e il predominio comunista nell’opposizione imprime su
di essa i segni dello stalinismo. Enei finirà per tornare in Brasile
ove insegnerà Letteratura Italiana in una università periferica
(Ponta Grossa) e morirà relativamente giovane, nel 1967, per un
infarto durante il funerale di un amico.
Come
si vede, materiali per un romanzo biografico o per una biografia
romanzata non ne mancano, ma Lanfranco e Marta Binni, autori di
Storia di Bruno Enei. Il dovere della libertà
(Firenze, Il Ponte Editore, 2019, pp. 216), hanno seguito un’altra
via: quella del rigore storiografico, della documentazione
rintracciata con fatica, accuratamente vagliata e puntigliosamente
confrontata.
La
genesi del libro è raccontata da Lanfranco Binni nel capitolo
introduttivo, Alla ricerca di Bruno Enei»
il cui titolo riprende quello di un articolo a sua firma apparso sul
mensile umbro «micropolis» nel febbraio del 2015, un colloquio con
Maurizio Mori, compagno di Enei e di Walter Binni nel dopoguerra,
interamente riportato nel libro. La domanda che ha guidato gli autori
è grosso modo la stessa che caratterizzava l’intervista a Mori, e
cioè: «Come è potuto accadere che una figura come Enei, che nelle
cronache del tempo appare come un protagonista della Resistenza
antifascista e della nuova democrazia repubblicana, sia quasi
totalmente scomparso dalla storia u#ciale di Perugia e dell’Umbria?
E come è potuto accadere in una regione che, fortunatamente, non ha
mai smesso di coltivare memorie antifasciste?».
Per
questo indagare su una rimozione, la Storia di Bruno Enei
ricorda due libri di qualche lustro fa, belli e importanti: il
Mistero napoletano di
Ermanno Rea (Milano, Feltrinelli, 1995), che rievoca il suicidio di
Francesca Spada, dirigente del Pci napoletano negli anni del
dopoguerra, e l’Odissea Rossa
di Didi Gnocchi (Torino, Einaudi, 2001), storia di un fondatore del
Pci, Edmondo Peluso, giornalista di genio, risucchiato nel buco nero
delle purghe staliniane in Urss, ma ancor piú cancellato e quasi
sparito nelle storie ufficiali. La differenza sta nelle modalità
della comunicazione. I libri di Rea e Gnocchi erano centrati
sull’indagine: i silenzi, le omertà e gli ostacoli da sormontare,
i muri da abbattere, gli stessi inganni della memoria; nell’opera
dei Binni il percorso della ricerca e le sue difficoltà sono
rappresentati nel capitolo introduttivo, per il resto tutto lo spazio
è lasciato a Enei, la cui biografia è seguita da un inserto
fotografico e da una scelta di scritti. Questa separazione non nuoce
affatto alla “leggibilità”, giacché Marta e Lanfranco Binni,
pur fuggendo dal romanzesco, hanno prodotto un racconto che del
romanzo sembra possedere la polifonia, visto che utilizza e incrocia,
spesso riprendendoli per intero, documenti di tipologia e provenienza
assai varie: relazioni ufficiali e non, articoli di giornale,
lettere, memorie, testimonianze orali.
Il
momento di svolta nella narrazione, la “conversione” di Enei, può
individuarsi nell’incontro con Aldo Capitini nei primi anni trenta,
da cui scaturisce un rapporto duraturo. Lo spiega l’inedito Per
imprimere bisogna esprimere in
cui Enei rievoca l’impatto sul suo animo giovanile del capitiniano
rifiuto della violenza e l’originale interpretazione della vita e
dei compiti dell’uomo contenuta in un fondamentale libro del
maestro, gli Elementi di un’esperienza religiosa
del 1937, definito «una specie di nuovo Evangelo» per le
generazioni giovani cresciute sotto il fascismo. «Non l’individuo
come diritto – scrive Enei –, come atomo ed egoista; ma
l’individuo come dovere religioso, come centro. Il vecchio
individuo poteva e non poteva, doveva e non doveva; e la sua libertà
si esauriva tutta nell’accettare o no quello che la storia e la
tradizione gli offrivano. Invece l’individuo nuovo doveva
impegnarsi, e la sua libertà consiste in un obbligo di scegliersi la
sua strada in se stesso, nella sua persuasione, nel suo interno al di
sopra e al di fuori di ogni conformismo e di ogni mito, di ogni
dogma».
È
qui ottimamente riassunta una tesi centrale di Capitini per il quale
è fragile ogni impegno civile che non abbia alla base domande
radicali, “religiose”, sul destino e il dovere di ciascun uomo
nel mondo ed è poca cosa una rivoluzione politica che non sia anche
etica. La Storia
scritta da Lanfranco e Marta Binni è coerente con il personaggio e
con il suo approccio “capitiniano” alle cose del mondo: oggettivo
e soggettivo, pubblico e privato risultano strettamente connessi e la
figura di Enei emerge nella sua grandezza.
Nel
racconto e nella documentazione che lo accompagna si possono trovare
peraltro molti motivi di interesse: uno, per me assai importante, è
la verifica sul campo di come la secolare “miseria” italiana,
fatta di menzogne, privilegi di casta, intrighi e camarille, sia
riuscita finora a soffocare ogni sogno di rinascita, ogni impegno
fattivo per realizzarla. A Perugia, come probabilmente nelle altre
cento città e nei tanti paesi d’Italia, sono presenti e all’opera,
fin dalla Liberazione, forze che lavorano per una restaurazione delle
gerarchie sociali vigenti sotto il fascismo e nel prefascismo. Enei è
tra i primi ad avere piena consapevolezza di questo lavorio
sottotraccia: quando tra l’autunno del ’44 e il giugno del ’45
è incaricato della direzione del «Corriere di Perugia», organo del
Comitato provinciale di liberazione, la inaugura con un editoriale
dal titolo emblematico, Le due forze,
e la prosegue impegnando il giornale su temi scabrosi, ma decisivi,
come l’epurazione.
Tra
le battaglie di rinnovamento civile ed etico che nel fervore di quel
primo dopoguerra Enei combatte al fianco di Capitini ce n’è una
che investe la potente e pervasiva casta clericale. Intorno a una
lezione tenuta a Perugia, nell’Università per Stranieri retta da
Capitini, da Ernesto Bonaiuti, uno tra i piú colti e agguerriti
esponenti del “modernismo cattolico”, vittima nel ventennio
fascista di una doppia, accanita persecuzione, da parte della
gerarchia ecclesiastica e da parte del regime, era nata una dura
polemica, culminata in una sorta di contraddittorio pubblico sul tema
della libertà religiosa tra un paio di dotti prelati ed Enei. Il suo
intervento viene ripetutamente interrotto dalla gazzarra organizzata
dai clericali, ma il testo scritto che opportunamente i Binni
riportano per intero, ottimamente pare coniugare vissuto, polemica
antidogmatica e tensione libertaria. È a una sua centrale
formulazione che allude il titolo del volume: dopo aver asserito che
la libertà è «un non dogma, un antidogma che impegna l’uomo
sulla terra e nella storia, dinanzi alle sue responsabilità», Enei
dichiara che «la libertà è un dovere, è un valore continuo,
creatore, mezzo e fine per sé e per gli altri». In un altro
passaggio dell’intervento egli esplicita la sua diffidenza contro
l’altra chiesa che in quel momento sembra opporsi alla libertà, in
antitesi alla Chiesa cattolica, ma a essa simile in molti aspetti:
«La Chiesa combatte il comunismo per amore della libertà o perché
quel regime, fondato su una disciplina e su principi saldi e
universali, costituisce il suo piú diretto e consequenziale
avversario, pur dichiarandosi agnostico in religione? Io sono
propenso a credere piú alla seconda ipotesi».
L’impegno
libertario e costruttivo di Bruno Enei, di una rivoluzione sociale
fondata sul dialogo e la partecipazione dal basso, in una città come
Perugia trova ostacoli anche nello stesso Partito socialista in cui
milita, in particolare in quel notabilato massonico che ne ha
occupato alcuni posti chiave. In sintonia con Walter Binni, che nella
primavera del 1946 ne è sempre piú il leader riconosciuto, riuscirà
a far espellere dal Psiup un paio di esponenti massoni tra i piú
tronfi e intriganti. Nella Storia di Bruno Enei
si recuperano episodi anche divertenti di quella battaglia. Ma logge
e sagrestie non dimenticano: è effetto soprattutto di trame
provenienti da siffatti ricettacoli e della complice acquiescenza dei
comunisti, la cacciata di Aldo Capitini dall’Università per
Stranieri compiutasi nell’aprile del 1947. Intanto, dopo la
scissione di Palazzo Barberini tra il Psi di Nenni e il Psli di
Saragat, Bruno Enei e il suo amico Walter Binni rimangono – come
altri socialisti – senza partito, rifiutando sia la subalternità
al Pci sia il moderatismo filooccidentale.
Da
Perugia tra il 1947 e il 1948 c’è una sorta di diaspora: Capitini
lascia la città per ritrovare l’occupazione alla Scuola Normale
Superiore di Pisa; Walter Binni, ancora deputato alla Costituente,
sceglie la carriera universitaria che lo porterà prima a Genova, poi
a Firenze e Roma; Enei, spinto anche dalle difficoltà economiche,
tornerà in Brasile. Faticosamente troverà un ruolo di professore
universitario e otterrà perfino qualche riconoscimento, ma quel
ritorno sarà sempre vissuto con l’amarezza di un esilio, come
conseguenza di una sconfitta non soltanto personale.
Eccellente
mi pare la scelta di scritti di Enei che costituisce l’ultima parte
del libro: un saggio sul Mazzini che risale agli ultimi anni trenta e
ne attualizza lo spiritualismo, articoli politici e notiziari
militari sul «Corriere di Perugia», la tesi di laurea sul Belli
rimaneggiata in Brasile negli anni cinquanta, ma risalente ai primi
anni trenta, quando il canone crociano riservava al grande poeta
romano un rango di “minore”, addirittura collocandolo sotto
Pascarella e Trilussa. Vivamente consigliata è la lettura attenta
dei resoconti sulle riunioni del Cos di Perugia, ideato e diretto da
Aldo Capitini, tra gli ultimi mesi del 1944 e i primi del 1946: se ne
possono trarre indicazioni ancor oggi valide sulla partecipazione
popolare e la democrazia diretta.
Una
conclusione che non è conclusione. Lanfranco Binni, stavolta in
collaborazione con la figlia Marta, conclude con questo libro una
sorta di trittico perugino rappresentato da Aldo Capitini, Walter
Binni e Bruno Enei, tre maestri il cui esempio e la cui lezione
etico-politica sono stati sottratti a una sterilizzante
beatificazione o all’oblio organizzato per essere consegnati alle
nuove generazioni italiane anche negli aspetti piú aspri, piú
difficili da accettare e seguire. Un lavoro analogo andrebbe fatto
con altri: Mario Mineo, Franco Fortini, Sebastiano Timpanaro, Raniero
Panzieri, Leonardo Sciascia, tanto per fare qualche nome, ma anche
nomi diversi, ai piú sconosciuti ma degni di attenzione come quello
di Enei. Sono grandi risorse per farci uscire dall’oscurità in cui
siamo piombati.
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