Un destino di famiglia,
un dna segnato dalla curiosità geografica. Forse anche
dall'inquietudine personale. Con un padre come Fosco Maraini e una
madre come Topazia Al-liata, Dacia non poteva che «essere nata
viaggiando», come lei stessa afferma. I suoi primi ricordi sono
memorie di viaggio: un mare in tempesta, gli odori dei dolci di soia
giapponesi, le bombe che si staccavano dagli aerei/uccelli sul cielo
del Giappone. Fin da bambina è stata una inarrestabile globetrotter:
come dimenticare il sonno tra le braccia della mamma mentre fuori dal
finestrino della macchina i lampioni si susseguivano, un, due tre,
cento, mille? Da adulta ecco le esplorazioni dell'Africa nera delle
savane e delle baraccopoli offuscate dai fiumi della diossina, della
povertà di Addis Ababa e Nairobi, dell'Oriente alle prese con la
distruzione delle proprie origini, delle città del Sudamerica con il
loro passato prezioso; all'opposto i ricchi campus americani.
Prende appunti, Dacia,
quando è in viaggio. «Quando parto sento il bisogno di annotare
pensieri per non farli scappare». E questi pensieri sono diventati
dei reportage dalle descrizioni suggestive e dalle attente analisi
delle società e delle culture con cui, viaggiando, si è
confrontata. I più interessanti li ha racchiusi in un libro dal
titolo La seduzione dell'altrove (Rizzoli ed., 17.50 euro). In
fondo un viaggio, nel suo scorrere, somiglia alla narrazione, sono
due dimensioni che qui si muovono in parallelo, lasciando sbirciare
altre esistenze, altri significati, altri sentimenti: così diversi,
così uguali.
Aggiunge la Maraini:
«Anche mia nonna Yoi nei primi anni del secolo scorso, è stata una
grande viaggiatrice, ha girato il mondo da sola: un atto di grande
coraggio, a quei tempi». I luoghi sono nomi, tappe, lei li connette
alla gente: un viaggio nasce, cresce, invecchia e poi muore: come una
persona. La Maraini ha viaggiato con Moravia, Pasolini, la Callas.
Spiega: «I compagni contano molto, da soli è un po' triste. Sono
indimenticabili gli spostamenti con Pierpaolo che cercava luoghi per
i set dei suoi film in Africa, nel libro racconto anche l'esperienza
sul lago Turkana con Alberto Moravia. Era un'Africa diversa, più
tranquilla e senza lo spettro dell'Aids e delle guerre civili».
Il viaggio è anche
dolore?
«È separazione, è il
dolore di lasciare qualcuno che sia ama. Ma in trasferta si fanno
pure i conti con le scomodità diurne e notturne, la possibilità di
patire il freddo, il caldo, l'attesa, la noia, la nausea, il sapore
di cibi che lo stomaco rifiuta, la vicinanza di persone estranee. E,
come in ogni processo di conoscenza, ci si avvicina ad abitudini
insolite, difficili da conciliare con i propri bisogni. I pacchetti
tutto incluso annullano questo rischio, ma il viaggio che intendo io
è quello zeppo di imprevisti, quello che ti fa muovere in macchina
su strade che sono un inferno».
E come si supera
l'impasse?
«Se si è veramente
innamorati dell'ignoto, scatta la seduzione. C'è qualcosa di
insensato nella smania di cambiare Paese, lingua, moneta, inseguendo
sogni di bellezza, con la presunzione di voler violare segreti che
non si fanno violare, di voler scavare in misteri che non vogliono
accoglierti. Ma sono comportamenti propri dell'amore, della sua
insensatezza, della sua gratuità, del suo disinteresse».
E poi c'è il fascino
dell'esotico...
«Il vocabolario
riferisce che il sentimento dell'esotico “è una predilezione per
tutto ciò che è straniero”, un desiderio sognato che amplifica e
abbellisce una civiltà lontana e sfuggente. L'esotico per un
giapponese è l'Italia, ma è vero anche il contrario, perché il
Giappone è fuori mano, è avvolto da un alone di mito e mistero.
Flaubert detestava l'esotismo perché, secondo lui, falsificava la
realtà, infatti non approvava le fantasticherie esotiche di Emma
Bovary».
Il fascino, per alcuni
il problema, di ogni viaggio è sempre là: la presenza dell'altro,
la sua implacabile, irriducibile diversità, declinata in forme
diverse ma tutte quasi impermeabili allo sguardo. In un mondo che ha
paura dell'altro, scatta anche la paura dell'altrove?
«La conoscenza fa
superare tutto, paure e inquietudini. È necessario creare e
coltivare rapporti con l'altro: se ci chiudiamo nel nostro
giardinetto dai muri alti, rifiutando ogni contatto, si va incontro
alla fossilizzazione, alla morte».
Perché si viaggia?
«Per il piacere di
viaggiare. E basta».
“asud'europa” -
settimanale on line del Centro Studi Pio La Torre – 31 gennaio 2011
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