Erich Mühsam, Berlino, 6
aprile 1878 – Lager di Oranienburg, 10 luglio 1934
La libertà è un
concetto religioso. Chi è rivoluzionario in nome della libertà
possiede una natura religiosa, essere rivoluzionari e non religiosi
significa tendere con mezzi rivoluzionari a scopi diversi da quelli
della libertà. In altri termini: la risoluzione rivoluzionaria può
scaturire da un bisogno interiore, dalla sensazione che la
coercizione, la legge e la spersonalizzazione si sono fatte
intollerabili - e allora è di natura religiosa; certo, può anche
derivare dal basso calcolo della convenienza, quando la rivoluzione
si rivela tra tutti il mezzo più inevitabile - e allora è di natura
positivista. Il positivista è il bacchettone che va in chiesa
rispetto a colui che si nutre di sentimenti religiosi, il negatore
dell’impeto, dell’ebbrezza e dell’utopia: il dogmatico e il
fatalista, per il quale la libertà rappresenta una fantasia
piccolo-borghese e la lotta per l’esistenza un duello studentesco.
Io mi rivolgo a quei
rivoluzionari che hanno come scopo la rivoluzione. La libertà è una
condizione sociale, il cui fondamento è dato dal volontario consenso
degli uomini al lavoro comune, reciprocamente integrato, e alla mutua
salvaguardia della vita e dei suoi beni. Lo stato sociale della
libertà poggia sull’autodeterminazione dell’individuo, ma
l’autodeterminazione dell’individuo incontra i propri limiti
nella libertà della collettività; infatti, dove non tutti sono
liberi, nessuno può esserlo. La lotta per conquistare questa
libertà, inconciliabile con ogni forma di autorità, con le
oppressioni legislative, con la disciplina prestabilita o la violenza
statalista, è alla base dell’idea religiosa dell’anarchia. Per
la sua realizzazione è necessario il sovvertimento rivoluzionario
dei presupposti stessi del convivere umano nella società, la
creazione della sola base materiale sulla quale la libertà è
possibile: vale a dire l’eguaglianza economica. Noi anarchici siamo
socialisti, collettivisti, comunisti, non perché vediamo soddisfatte
nella ripartizione egualitaria delle prestazioni lavorative e nella
suddivisione dei prodotti le esigenze estreme delle aspirazioni
umane, ma perché non riteniamo possibile alcuna battaglia in nome
dei valori spirituali, per l’approfondimento e la differenziazione
della vita - battaglia che costituisce il vero senso della libertà -
finché gli uomini verranno al mondo e cresceranno in condizioni di
diseguaglianza, finché la ricchezza interiore annegherà
nell’indigenza materiale, finché la miseria spirituale e morale
potrà travestirsi da ricchezza nel luccichio di una sapienza e di un
potere corrotti.La libertà è un
concetto religioso. Chi è rivoluzionario in nome della libertà
possiede una natura religiosa, essere rivoluzionari e non religiosi
significa tendere con mezzi rivoluzionari a scopi diversi da quelli
della libertà. In altri termini: la risoluzione rivoluzionaria può
scaturire da un bisogno interiore, dalla sensazione che la
coercizione, la legge e la spersonalizzazione si sono fatte
intollerabili - e allora è di natura religiosa; certo, può anche
derivare dal basso calcolo della convenienza, quando la rivoluzione
si rivela tra tutti il mezzo più inevitabile - e allora è di natura
positivista. Il positivista è il bacchettone che va in chiesa
rispetto a colui che si nutre di sentimenti religiosi, il negatore
dell’impeto, dell’ebbrezza e dell’utopia: il dogmatico e il
fatalista, per il quale la libertà rappresenta una fantasia
piccolo-borghese e la lotta per l’esistenza un duello studentesco.
L’eguaglianza non ha
nulla a che fare con ciò che oggi si chiama democrazia.
L’eguaglianza delle democrazie borghesi si limita a riconoscere
come unità votante ogni individuo con diritto di voto. Così la
maggioranza di voti è ovviamente garantita a quella classe che,
grazie ai propri privilegi economici, domina pressoché l’intero
apparato capace di influenzare l’opinione pubblica; inoltre, le
istituzioni per le quali il voto viene espresso sono per loro natura
deputate a conservare e ad amministrare l’esistente. Se la maggior
parte degli aventi diritto votasse con intenti rivoluzionari, gli
eletti - qualunque fosse il loro orientamento - non potrebbero far
altro nei loro organismi che agire in senso conservativo. Socialismo
e libertà non sono praticabili sul terreno della democrazia; ma la
democrazia nel senso di libertà ed eguaglianza è possibile soltanto
sul terreno del socialismo perfettamente realizzato. Questa autentica
democrazia, che equivale al predominio della comunità su se stessa,
vale a dire l’autodeterminazione di ogni individuo nella
consapevolezza della propria missione sociale, costringe
all’eguaglianza economica e sociale, presupposto di ogni altra
libertà.
Da Bismarxismus,
1927 in Dal cabaret alle barricate,
Elèuthera, 1999
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