Pietro Aretino nel ritratto di Tiziano Vecellio |
Contra Pietro Aretino
Tu ne dirai e farai tante e tante,
lingua fracida, marcia, senza sale,
che al fin si troverà pur un pugnale
meglior di quel d’Achille e più
calzante.
Il papa è papa e tu sei un furfante,
nodrito del pan d’altri e del dir
male;
hai un pie’ in bordello e l’altro
in ospitale,
storpiataccio, ignorante e arrogante.
Giovan Mateo e gli altri che gli ha
appresso,
che per grazia de Dio son vivi e sani,
ti metteran ancor un dì in un cesso.
Boia, scorgi i costumi tuoi ruffiani
e se pur vòi cianciar, di’ di te
stesso:
guàrdati il petto, la testa e le
mani.
Ma tu fai come i cani,
che, dà pur lor mazzate se tu sai,
come l’han scosse, son più bei che
mai.
prosontuoso, porco, mostro infame,
idol del vituperio e della fame,
ché un monte di letame
t’aspetta, manegoldo, sprimacciato,
perché tu moia a tue sorelle allato;
quelle due, sciagurato,
c’hai nel bordel d’Arezzo a
grand’onore,
a gambettar: "Che fa lo mio
amore?"
Di quelle, traditore,
dovevi far le frottole e novelle
e non del Sanga che non ha sorelle.
Queste saranno quelle
che mal vivendo ti faran le spese,
e ’l lor, non quel di Mantova,
marchese;
ch’ormai ogni paese
hai amorbato, ogni omo, ogni animale:
il ciel, Iddio, il diavol ti vol male.
Quelle veste ducale,
o ducali, acattate e furfantate,
che ti piangon in dosso sventurate,
a suon di bastonate
ti seran tolte, avanti che tu moia,
dal reverendo padre messer boia;
che l’anima di noia
mediante un bel capestro caveratti
e per maggior favor poi squarteratti;
e quei tuoi leccapiatti
bardassonacci, paggi da taverna,
ti canteran il requiem eterna.
Or vivi e ti governa;
ben che un pugnale, un cesso, o ver un
nodo
ti faranno star queto in ogni modo.
In Rime burlesche, BUR, 1991
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