Diciamoci la verità.
Quel che sapevamo del Cardinal Mazzarino (al di là di un nome
intravisto sui libri di testo verso la fine della guerra dei
trent’anni) lo avevamo appreso dal Dumas di Vent'anni dopo.
Odiosissimo cardinale, che le traduzioni popolari scrivevano con una
sola zeta, squallida figura di lestofante e simulatore a petto del
grande suo predecessore, il gran Richelieu che sapeva colpire i
nemici e dare un brevetto di capitano ai moschettieri che se lo
meritavano. Mazzarino mente, manca di parola, è tardo nel pagare i
debiti, fa avvelenare il cane del duca di Beaufort che era stato
addestrato a rifiutarsi di saltare in suo onore. È un guitto
italiano, e Beaufort lo dipinge come “l’illustrissimo facchino
Mazzarino”. È vile, spergiuro, codardo e si infila nottetempo nel
letto di Anna d’Austria, che in altri tempi aveva saputo amare
uomini della tempra di Buckingham. Possibile che Mazzarino fosse così
gaglioffo? D’altra parte sapevamo che Dumas, quando parlava di
personaggi storici, non inventava: coloriva, sceneggiava, ma stava
attento alle fonti, ai cronisti, ai memorialisti, anche per
tratteggiare i personaggi di fantasia, immaginiamoci dunque con un
uomo del peso di Mazzarino. Quindi ci fidavamo.
Non so se Dumas
conoscesse questo Breviario dei Politici secondo il Cardinale
Mazzarino che ora viene ripubblicato da Rizzoli nella collana “Il
ramo d’oro”, con una penetrante prefazione di Giovanni Macchia.
Avrebbe potuto, perché l’operetta esce in latino nel 1684, da un
improbabile editore di Colonia, ma viene ampiamente tradotta e
circola per i secoli successivi (questa edizione riproduce la prima
traduzione italiana del 1698). C’è da pensare che ne abbia solo
sentito parlare. Perché, a parlarne, e a riassumerlo in breve, ne
può venire fuori un Mazzarino alla Dumas, machiavellico da strapazzo
che si ingegna di combinare il proprio aspetto esteriore e i propri
festini, le proprie parole e i propri atti, in modo da ingraziarsi i
padroni e mettere nei guai 1 propri nemici gettando il sasso e
nascondendo la mano. Ma a leggerlo bene, come ci induce Macchia, il
personaggio che ne vien fuori, se è pur sempre quello che Dumas ha
azzeccato, per lo meno ci sbigottisce per la complessità, la
consapevolezza, l’alto rigore teoretico della sua pianificata e
umanissima gagliofferia.
Il libro, si dirà, non è
suo, appare come una silloge delle sue massime, dette o praticate che
fossero. Perché allora non leggerlo come una satira, intesa così
come per molti si è interpretato Machiavelli, come l’opera di uno
smaliziato moralista che fingendo di dar consigli al principe gli
allor ne sfronda ed alle genti svela? Ma il fatto è che, chiunque
abbia scritto il libello, se non era Mazzarino era qualcuno che
prendeva sul serio quel che scrive, perché nel Seicento - come
ricordava Croce nella Storia dell'età barocca in Italia -
“l’arte del simulare e del dissimulare, dell’astuzia e
dell’ipocrisia, era, per le condizioni illiberali della società di
allora, assai praticata, e forniva materia agli innumerevoli trattati
di politica e di prudenza”.
Il libro di Machiavelli
era semmai un trattato dell’imprudenza, l'ardire proclamare a gran
voce che cosa il Principe dovesse fare per il bene comune. Ma di
mezzo c’è la Controriforma e la casistica gesuitica: i trattatelli
del Seicento dicono semmai come difendersi in un mondo di principi
infidi e ormai troppo coscientemente machiavellici, per salvare o la
propria dignità interiore, o la propria integrità fisica, o per
fare carriera.
Prima di questo breviario
del Mazzarino appaiono sulla scena culturale due altri breviari, ben
più noti: L'oracolo manuale o arte di prudenza di Baltasar
Graciàn (1647) e il Della dissimulazione onesta di Torquato
Accetto (1641). C’era di che ispirarsi, ma il breviario di
Mazzarino pare originale nei propri spudorati intenti. Graciàn e
Accetto non erano uomini di potere, e la loro dolente meditazione
concerne le tecniche con cui, in una età difficile, ci si poteva
difendere dai potenti. Per Graciàn il problema era di come
armonizzarsi coi propri simili subendo il minor danno possibile (e di
danni ne subì in vita sua, né fu tanto prudente quanto predicava) e
per Accetto la questione non era di simulare ciò che non è (ché
sarebbe stato inganno) ma di dissimulare ciò che si è, per non
irritare troppo gli altri con le proprie virtù (il suo problema non
era come arrecar danno ma come non patirne). Mazzarino no, stende il
programma di un uomo che, imparando i modi di ingraziarsi i potenti,
di farsi benvolere dai propri soggetti, di eliminare i propri nemici,
tenga saldamente in mano, con tecniche simulatorie, il potere.
Simulazione, non
dissimulazione. Mazzarino (o chi ha scritto il libretto) non ha
niente da dissimulare: non ha niente perché egli è solo ciò che
produce come propria immagine esterna. Si veda il primo capitolo,
simulatoriamente intitolato “Conosci te stesso”. Inizia con un
aforisma sulla necessità di esaminarsi attentamente per vedere se si
ha nell’animo qualche passione (peraltro, anche qui la domanda non
è “chi sono?” ma “come mi manifesto a me stesso?”) e
immediatamente procede, con le altre massime, a disegnare un se
stesso che altro non è che maschera, sapientemente costruita:
Mazzarino è ciò che riesce ad apparire agli altri. Egli ha una
chiara nozione del soggetto come prodotto semiotico, Goffman dovrebbe
leggere questo libro, è un manuale per la totale teatralizzazione
del “Sé”. Qui si disegna una idea di profondità psichica fatta
tutta di superfici.
Ci troviamo di fronte ad
un modello di strategia “democratica” (nell’età
dell’assolutismo!) perché pochissime, e calibrate, sono le
istruzioni su come aver potere producendo violenza; in ogni caso mai
direttamente, sempre per interposta persona. Mazzarino ci dà una
splendida immagine di come si ottiene potere attraverso la pura
manipolazione del consenso. Come piacere, non solo al proprio padrone
(dettame fondamentale) e non solo ai propri amici, ma anche ai propri
nemici, da lodare, blandire, convincere della nostra benevolenza e
buonafede, in modo che muoiano, ma benedicendoci.
Vorrei ancora insistere
sul primo fondamentale capitolo: non v’è alcuna delle sue massime
che non contenga un verbo di parvenza: dar segno, dar a divedere,
svelare, guardare, osservare, passare per... Anche le massime che
riguardano gli altri puntano sui sintomi, sui segni rivelatori, sia
per quanto riguarda i paesi, le città, i paesaggi che gli amici e i
nemici. Come accorgersi se qualcuno è mentitore, se ama qualcun
altro, se lo aborre; e le istruzioni son sottilissime, del tipo:
parla male del suo nemico e osserva il suo comportamento e come
reagisce. E le tecniche per scoprire se qualcuno sappia tenere un
segreto, mandandogli un altro che lo provochi e se ne mostri a
conoscenza, per vedere come il primo si lasci andare o opponga una
maschera impenetrabile, come quella che Mazzarino si ingegna di
costruir per sé, arrivando a suggerire come si deve scrivere una
lettera in presenza d’altri in modo che essi non possan leggerla, e
come mascherare ciò che si legge, e poi come passare da uomo grave
(“non fissar gli occhi in altri, non istorcerti il naso, né
aggrinzartelo... i gesti sien rari, il capo stia dritto, profferisci
pochissime parole, non ammettere spettatori a tavola”).
E fai sempre che il tuo
avversario faccia volentieri ciò a cui tu vuoi condurlo: “se
avessi concorrente in qualche carica da te pretesa, inviagli
segretamente persona, che sotto color d’amicizia ne’l distolga, e
gli esaggeri le difficoltà che dovrà incontrare”. E sii preparato
a tutte le insidie, e a controbatterle: “prefiggiti alcune ore del
giorno a ruminar teco stesso attentamente, se ti sopraggiungesse, o
uno o un altro accidente, come dovresti risolverti”, che è poi la
moderna teoria degli “scenari” di guerra e di pace, solo che il
Pentagono li fa coi cervelli elettronici. E si insegna persino come
fuggir bene di prigione (ché tutto può accadere all’uomo di
potere) e come stimolar panegirici in proprio onore che siano brevi e
di basso costo, in modo che tutti ne prendan visione. E come
dissimular la ricchezza (“sempre brontola per la tua scarsa borsa”,
qui Dumas aveva colto il suo uomo) ma non sempre, secondo i casi, ché
ecco all’improvviso il nostro autore ci sorprende con una
descrizione di un pranzo come si deve da strabiliar gli ospiti, che
non si può riassumere, ed è un pezzo di gran teatro barocco.
Ma infine, basta con
l’ammirazione, libri del genere si leggono per trarne un utile. E
allora, non crediate che vi possa servire per diventare un uomo di
potere, e non perché le sue massime non siano buone, perché sono
tutte giuste. E che questo libro ci descrive ciò che l’uomo di
potere sa già, magari per istinto. In questo senso non è solo un
ritratto di Mazzarino, usatelo come identikit per la vostra vita
quotidiana. Vi troverete dentro molti che conoscete, o per averli
visti in televisione o per averli incontrati in azienda. Ad ogni
pagina vi direte “ma questo io lo conosco!” Naturalmente. I
Mazzarino diventano famosi e non tramontano mai. Il potere logora
solo chi non sa già queste cose.
“la Repubblica”, 6
gennaio 1982
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