Alla fine ce l’hanno
fatta, gli ottusi custodi dell’ortodossia europea, a riportare al
governo della Grecia coloro che l’avevano mandata in rovina. E a
far fuori il miglior governo che quel povero Paese avesse avuto da
decenni.
Alexis Tsipras perde le
elezioni politiche a testa alta, con Syriza al 31,5% (8 punti
percentuali e 300.000 voti in più rispetto a quelli di un mese e
mezzo fa alle europee, 8 punti percentuali e 350.000 voti in meno
rispetto a quelli presi da Nuova Democrazia di Kyriacos Mitsotakis).
Lascia un Paese in ampia parte risanato: ripulito senza dubbio dalla
corruzione dilagante che l’aveva divorato, i servizi essenziali
restaurati, a cominciare da quelli sanitari, un’economia che ha
ricominciato a crescere, la disoccupazione regredita di dieci punti
dal picco del 28% del 2013, un credito internazionale riconquistato,
la parte più povera della popolazione salvata dal baratro in cui
sembrava destinata inevitabilmente a precipitare…
Naturalmente, in questo 7
luglio di elezioni, il pensiero ritorna a quel 14 luglio di tregenda
di quattro anni fa, quando i Grandi d’Europa (si fa per dire:
uomini piccini piccini al cospetto della Storia) decisero di chiedere
la testa del Ribelle che aveva osato sfidarne i dogmi addirittura con
un Referendum (crimine inescusabile di lesa maestà chiamare a
pronunciarsi il proprio popolo), e imposero una “cura” che
avrebbe ammazzato un gigante, figurarsi un piccolo Paese già
dissanguato dalle cure letali che l’Eurogruppo con i suoi Memoranda
gli aveva elargito. Il messaggio era tanto chiaro quanto feroce:
arrendersi o perire. E non c’è dubbio che in quel consesso di lupi
fossero in tanti a sperare nella seconda opzione: che quel governo
morisse. Che l’eresia greca finisse.
Tsipras scelse di non
perire, o meglio di non lasciar morire il proprio popolo (come
sarebbe avvenuto se avesse alzato la bandiera dell’orgoglio di
partito e fatto saltare quel tavolo di tortura, con la liquidità
tagliata dalla Bce, le banche fallite, gli interessi sul debito
pubblico alle stelle, ecc.). Decise di affrontare i successivi
quattro anni destreggiandosi tra le maglie strette di un dispositivo
esplicitamente pro-ciclico, pensato per aggravare anziché alleviare
il peso della crisi in nome del dogma dell’austerità neoliberista
imperante in Europa, combattendo con l’obbligo a un avanzo primario
giugulatorio, e nel contempo mantenendo un qualche scudo sulla parte
più povera per garantirle i servizi essenziali (energia elettrica,
alimentazione, salute).
Che pagasse un costo in
termini elettorali era nell’ordine delle cose: soprattutto da parte
di quel ceto medio o medio-alto che nel momento della catastrofe si
era affidato all’unica forza non compromessa nelle politiche che
avevano preparato il caos. E in fondo la flessione subita è
relativamente contenuta: Syriza perde appena 150.000 voti rispetto a
quelli con cui nel settembre del 2015 aveva vinto (1.780.000 voti
contro 1.926.000). Il suo elettorato popolare, l’anima di sinistra
del Paese, nonostante la delusione rispetto alle speranze
palingenetiche di allora, ha tenuto, ha capito, ha resistito. Lo
dimostra il risultato frazionale ottenuto da Varoufakis che dopo aver
puntato tutto sul rancore per il presunto “tradimento” di
Tsipras, col suo “Fronte della Dissidenza Realistica Europea”
(MeRA25) supera di poco la soglia del 3% raggranellando appena
166.000 voti. E lo stesso andamento del KKE, che addirittura perde
sia pur millimetricamente (-0,30% rispetto al 2015) ne è una prova.
Se le tre formazioni della sinistra Greca si fossero presentate
insieme (esercizio accademico, ma utile a mostrare i danni del
settarismo velleitario), sarebbero arrivate prime e avrebbero
ottenuto il premio di maggioranza necessario per governare: 2.274.584
voti contro i 2.251.087 di Nuova Democrazia che, per parte sua, vince
facendo il pieno di tutti i voti di tutte le destre, da quella
moderata a quella radicale (ridotta di due terzi l’Unione dei
centristi-Ek, più che dimezzata Alba dorata, con un’emorragia di
215.000 voti su 380.000…).
Passata la grande paura,
la Grecia della rendita e del privilegio, della corruzione e della
speculazione si è serrata a destra mandando al governo un banchiere
di scuola ultra-liberista: l’erede della famiglia politica che
truccando i conti e depredando la società aveva condotto il Paese
nelle mani della Troika, il quale ora – con un programma scritto di
concerto con il Fondo monetario internazionale e le grandi Banche
d’investimento globali – si appresta a privatizzare tutto il
privatizzabile, a rimuovere i vincoli sociali al mercato del lavoro e
ai salari, a ributtare indietro sindacati e lavoratori e a restituire
gli eterni privilegi ai privilegiati di sempre, a replicare cioè le
politiche che conducono alla rovina. I mercati applaudono (a riprova
dell’idiozia politica che li caratterizza storicamente), applaudono
le cancellerie europee, dimentiche delle truffe commesse a loro
stesso danno da quei conservatori in doppio petto che ora si fingono
normalizzatori e sono in realtà predatori, fanno da violini di
spalla i grandi giornali “indipendenti” allineati con i loro
interessati Consigli d’amministrazione e gli indici di borsa, in
attesa del prossimo dies irae…
Tsipras avrebbe potuto
giocare la carta della demagogia e del “sovranismo” (per usare un
termine abusato). Avrebbe potuto mascherare con la voce grossa scelte
in realtà obbligate, maledire e ammonire verbalmente come fanno i
populisti di casa nostra, per poi piegarsi di nascosto. Ha preferito
parlare il linguaggio sobrio della verità e dei fatti. E ancora:
avrebbe potuto giocare la carta sempre vincente del nazionalismo,
soffiando sul fuoco della questione macedone, reinventando il nemico,
sviando l’attenzione dal disagio sociale all’orgoglio nazionale:
ha fatto il contrario. Con uno stile da vero statista ha disinnescato
quella mina – ha bonificato quella piaga di confine pericolosa –
facendo uno straordinario servizio alla causa della pace europea ma
pagando un alto prezzo in termini di consenso (anche popolare). Nelle
urne di Nuova democrazia c’è anche un bel po’ di Macedonia.
Per tutto questo noi lo
ringraziamo. Syriza rimane una forza potente di opposizione in Grecia
e in Europa. Il più grande partito di sinistra del continente. Non è
che l’inizio. La battaglia continua.
"Volere volare", 8 luglio 2019
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