29.7.19

Cento bordelli. La funzione del racconto osceno e, più in generale, del turpiloquio (Umberto Eco, 1982)



Nelle edicole delle stazioni stanno apparendo in bella mostra, dico in primo piano, accanto ai tascabili di macrobiotica e all’ultimo Elias Canetti, volumetti che promettono 150 barzellette spinte. Basta dare un’occhiata alla copertina e al risvolto per capire che contengono storielle che conosciamo da anni e abbiamo ascoltato, o raccontato, a scuola, in caserma, in treno o a cena. D’altra parte circolano nei locali di prima visione film in cui si sceneggiano le vicende dell’immortale Pierino. Ritorno, dunque, della volgarità, si dice.
Cosa significa ritorno? La barzelletta oscena non era mai morta. Si deve altresì riconoscere che talora la barzelletta oscena (come d’altra parte quella non oscena) è una forma d’arte, una variazione dell’epigramma o della satira antica: ve ne sono alcune che sono piccoli capolavori teatrali o verbali. Quindi non è l’esistenza di barzellette oscene che ci deve preoccupare. Si tratta di un flusso di narratività che scorre sempre uguale e semmai cambiano gli utenti e le occasioni. Così si dica per lo spettacolo fescennino: una volta c’era l’avanspettacolo e il comico di avanspettacolo non era Woody Allen, dava di gomito alla spalla pronunciando allusioni che, seppur pesanti, erano più argute di quelle che Gelli soffia nell’orecchio di Tassan Din.
Qual è la funzione del racconto osceno, detto o ascoltato, e del turpiloquio in generale? Esistono pagine e pagine di psicoanalisti e psicologi, ma diciamo all’ingrosso che il turpiloquio ha due funzioni principali, una sessuale e una politica. Sessualmente rappresenta una manifestazione di aggressività che, quando non è contenuta, esprime delle frustrazioni. Il turpiloquio limitato, la barzelletta raccontata una sera con gli amici, magari per amore della sua perfetta struttura narrativa, è un divertimento come gli altri. Raccontata invece ossessivamente, specie tra uomini soli, è un modo di consolarsi. Il altre parole parla molto di sesso chi ha poche occasioni di fare all’amore. Per questo la barzelletta oscena circola intensamente nelle caserme, nelle carceri, sulle navi mercantili e nelle parrocchie, dove prende le forme dell’umorismo gastrico-anale (non si parla cioè di pene e vulva ma di sfintere e feci).
Dal punto di vista politico la barzelletta oscena rappresenta il sostituto di altre trasgressioni: è un modo per aggredire l’ordine. Ciascuno gioca cioè a fare il marchese di Sade: non deflora Justine ma ride sulle Justine deflorate. Ha la stessa funzione del discorso sportivo fatto da chi non pratica lo sport, o per ragioni fisiche o per ragioni sociali, per cui il tifo estremizzato è il divertimento delle classi emarginate che non possono giocare a tennis e a golf.
In questo senso il fenomeno non sarebbe degno di osservazioni particolari. Le barzellette si son sempre dette e gli spettacoli con battute pesanti sono passati dagli avanspettacoli ai film porno.
Però non si può negare che si sono avute variazioni nel pubblico. Ai film porno non vanno più solo soldati e ragazzetti, più gli intellettuali affascinati dal cosiddetto pecoreccio: ci vanno le famiglie e i pensionati. Deve essere per questo che i nuovi film alla Pierino tengono banco nelle prime visioni e vengono recensiti sui giornali, con falso sdegno, ma consacrando loro uno spazio di rilievo, mentre una volta il critico di redazione non li andava neppure a vedere. Allora bisognerà cercare delle ragioni non per il ritorno all’osceno, che non era mai partito, ma per il rinnovato interesse alla sua imperturbabile permanenza. E anche qui credo che le ragioni siano sostanzialmente due, sessuali e politiche.
Sessualmente, negli ultimi due decenni, si è parlato troppo di liberazione: a parlarne sembrava che ormai chiunque potesse e dovesse fare all’amore tutto il giorno, con chiunque, a coppie, in gruppo, scambiandosi le mogli, le figlie, le zie, i fratelli, i mariti, passando allegramente da un sesso all’altro. Poi si è scoperto che queste cose sono facili da dire ma difficili da fare, costosissime in termini di tempo, denaro e salute. Insomma, sono solo per i ricchi, e poi ancora, poverini anche loro. A grande eccitazione frustrata, grande risposta verbale: ci si riempie la bocca, visto che gli altri orifizi rimangono sacrificati. Tanto meglio se la stampa, in qualche modo, parlando di nuova moda, legittima l’agognato ritorno.
E politicamente? Visto che è ormai così difficile parlare male del potere, perché il giorno dopo qualcuno traduce la critica in tritolo, e non puoi più nemmeno lamentarti del capo cottimista perché dopo gli sparano o i compagni di fabbrica ti guardano come un brigatista che cosa devi fare? Racconti di Pierino e ti accontenti di bestemmiare l’immagine di Dio e dell’ordine parlando di uomini e donne ridotti al rango di scimmiette.
Forse anche questo era nei progetti di Giovanni Senzani. Ricreare uno, dieci, cento bordelli.

L’Espresso, 31 gennaio 1982

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