Nelle edicole delle
stazioni stanno apparendo in bella mostra, dico in primo piano,
accanto ai tascabili di macrobiotica e all’ultimo Elias Canetti,
volumetti che promettono 150 barzellette spinte. Basta dare
un’occhiata alla copertina e al risvolto per capire che contengono
storielle che conosciamo da anni e abbiamo ascoltato, o raccontato, a
scuola, in caserma, in treno o a cena. D’altra parte circolano nei
locali di prima visione film in cui si sceneggiano le vicende
dell’immortale Pierino. Ritorno, dunque, della volgarità, si dice.
Cosa significa ritorno?
La barzelletta oscena non era mai morta. Si deve altresì riconoscere
che talora la barzelletta oscena (come d’altra parte quella non
oscena) è una forma d’arte, una variazione dell’epigramma o
della satira antica: ve ne sono alcune che sono piccoli capolavori
teatrali o verbali. Quindi non è l’esistenza di barzellette oscene
che ci deve preoccupare. Si tratta di un flusso di narratività che
scorre sempre uguale e semmai cambiano gli utenti e le occasioni.
Così si dica per lo spettacolo fescennino: una volta c’era
l’avanspettacolo e il comico di avanspettacolo non era Woody Allen,
dava di gomito alla spalla pronunciando allusioni che, seppur
pesanti, erano più argute di quelle che Gelli soffia nell’orecchio
di Tassan Din.
Qual è la funzione del
racconto osceno, detto o ascoltato, e del turpiloquio in generale?
Esistono pagine e pagine di psicoanalisti e psicologi, ma diciamo
all’ingrosso che il turpiloquio ha due funzioni principali, una
sessuale e una politica. Sessualmente rappresenta una manifestazione
di aggressività che, quando non è contenuta, esprime delle
frustrazioni. Il turpiloquio limitato, la barzelletta raccontata una
sera con gli amici, magari per amore della sua perfetta struttura
narrativa, è un divertimento come gli altri. Raccontata invece
ossessivamente, specie tra uomini soli, è un modo di consolarsi. Il
altre parole parla molto di sesso chi ha poche occasioni di fare
all’amore. Per questo la barzelletta oscena circola intensamente
nelle caserme, nelle carceri, sulle navi mercantili e nelle
parrocchie, dove prende le forme dell’umorismo gastrico-anale (non
si parla cioè di pene e vulva ma di sfintere e feci).
Dal punto di vista
politico la barzelletta oscena rappresenta il sostituto di altre
trasgressioni: è un modo per aggredire l’ordine. Ciascuno gioca
cioè a fare il marchese di Sade: non deflora Justine ma ride sulle
Justine deflorate. Ha la stessa funzione del discorso sportivo fatto
da chi non pratica lo sport, o per ragioni fisiche o per ragioni
sociali, per cui il tifo estremizzato è il divertimento delle classi
emarginate che non possono giocare a tennis e a golf.
In questo senso il
fenomeno non sarebbe degno di osservazioni particolari. Le
barzellette si son sempre dette e gli spettacoli con battute pesanti
sono passati dagli avanspettacoli ai film porno.
Però non si può negare
che si sono avute variazioni nel pubblico. Ai film porno non vanno
più solo soldati e ragazzetti, più gli intellettuali affascinati
dal cosiddetto pecoreccio: ci vanno le famiglie e i pensionati. Deve
essere per questo che i nuovi film alla Pierino tengono banco nelle
prime visioni e vengono recensiti sui giornali, con falso sdegno, ma
consacrando loro uno spazio di rilievo, mentre una volta il critico
di redazione non li andava neppure a vedere. Allora bisognerà
cercare delle ragioni non per il ritorno all’osceno, che non era
mai partito, ma per il rinnovato interesse alla sua imperturbabile
permanenza. E anche qui credo che le ragioni siano sostanzialmente
due, sessuali e politiche.
Sessualmente, negli
ultimi due decenni, si è parlato troppo di liberazione: a parlarne
sembrava che ormai chiunque potesse e dovesse fare all’amore tutto
il giorno, con chiunque, a coppie, in gruppo, scambiandosi le mogli,
le figlie, le zie, i fratelli, i mariti, passando allegramente da un
sesso all’altro. Poi si è scoperto che queste cose sono facili da
dire ma difficili da fare, costosissime in termini di tempo, denaro e
salute. Insomma, sono solo per i ricchi, e poi ancora, poverini anche
loro. A grande eccitazione frustrata, grande risposta verbale: ci si
riempie la bocca, visto che gli altri orifizi rimangono sacrificati.
Tanto meglio se la stampa, in qualche modo, parlando di nuova moda,
legittima l’agognato ritorno.
E politicamente? Visto
che è ormai così difficile parlare male del potere, perché il
giorno dopo qualcuno traduce la critica in tritolo, e non puoi più
nemmeno lamentarti del capo cottimista perché dopo gli sparano o i
compagni di fabbrica ti guardano come un brigatista che cosa devi
fare? Racconti di Pierino e ti accontenti di bestemmiare l’immagine
di Dio e dell’ordine parlando di uomini e donne ridotti al rango di
scimmiette.
Forse anche questo era
nei progetti di Giovanni Senzani. Ricreare uno, dieci, cento
bordelli.
L’Espresso, 31 gennaio
1982
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