La proclamazione del porto franco di Trieste. Un quadro di Cesare Dell'Acqua (1821-1905) |
Neutralità e commercio
sono due temi che a partire dal XVIII secolo, il primo secolo
“globale” per aumento del traffico di merci mondiale, iniziarono
a viaggiare a braccetto. Fu da allora, l’epoca in cui in Europa il
commercio iniziò ad essere considerato uno strumento per la
costruzione della potenza dello Stato, che la questione della
neutralità iniziò ad assumere rilevanza per terra e per mare. In un
panorama in cui le guerre erano all’ordine del giorno e
coinvolgevano una molteplicità di attori, servivano strategie che
limitassero territorialmente il conflitto e riconoscessero il diritto
alla neutralità per alcuni attori. Un diritto che, in particolare
negli anni ’70-’80 del Settecento, fece la fortuna, tra gli
altri, di Trieste, porto franco dell’Impero Asburgico dal 1719. Al tema
“Neutralità e commercio nell’età moderna e contemporanea” è
dedicato il convegno iniziato ieri e che prosegue nella mattinata di
oggi all’Università di Trieste, nella Sala Cacciaguerrra, in
Piazzale Europa. Il convegno si propone di esplorare, attraverso una
serie di interventi di storici e storici dell’economia, che saranno
poi integrati in fase di stesura degli atti da alcuni giuristi, la
definizione della neutralità nei suoi legami con la dimensione dei
traffici internazionali, in diversi momenti storici. Perché se nel
XVIII secolo si registra un aumento esponenziale dei commerci
internazionali, così le questioni della neutralità assumono nuova
centralità nel Novecento, sia negli anni compresi tra le due guerre
mondiali, sia con l'avvio dei processi di globalizzazione.
«Basti pensare al
recente caso delle sanzioni alla Russia per il suo intervento in
Ucraina: guerre e commerci continuano ad essere strettamente legati e
il tema della neutralità ad essere di rilievo», dice il professor
Daniele Andreozzi, che insieme alla ricercatrice Giulia Caccamo cura
il convegno. Finanziato dal Fondo di ricerca di ateneo 2014
dell'Università di Trieste, il convegno è frutto della
collaborazione tra studiosi del dipartimento di Scienze politiche e
sociali e il Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale “Alla
ricerca del ’negoziante patriota’. Mercantilismi, moralità
economiche e mercanti dell'Europa mediterranea” (secoli XVII-XIX),
diretto da Biagio Salvemini. E proprio la figura del “negoziante
patriota”, insieme a quella del corsaro, è stata tra i
protagonisti dell’intervento dello stesso Andreozzi, dal titolo
“Strategie neutrali. Stati, commerci e neutralità tra Mediterraneo
e Oceani (XVIII secolo). «All’epoca il ruolo del mercante assunse
sempre maggiore importanza: divenne patriota perché tramite il
commercio poteva contribuire all’arricchimento dello stato e quindi
alla felicità e al benessere del suddito», spiega Andreozzi.
«Simultaneamente i giuristi andavano ad elaborare leggi su
neutralità e politiche mercantili che vennero utilizzate in ogni
modo per sfruttare l’aumento dei traffici commerciali. Verso gli
anni 70-80 del Settecento le guerre nelle colonie americane
cambiarono le rotte dei traffici oceaniche e mediterranee e ciò fece
la fortuna del porto di Trieste, le cui navi portavano la bandiera
neutrale dell’Impero». Ma la neutralità non era utilizzata solo
dagli stati neutrali. Attorno al vessillo della neutralità si
giocarono molte falsificazioni: molti carichi appartenenti a stati in
guerra si coprivano con bandiera neutrale e documenti di viaggio
falsi. D’altro canto, gli stati non neutrali iniziarono ad
attribuire le “patenti da corsa”, che consentivano alle navi
previo pagamento e sotto determinate regole, di assalire navi
mercantili nemiche. Il “corsaro”, da non confondere con il
pirata, era dunque una persona al servizio di un governo, cui cedeva
parte degli utili.
“Il Piccolo”, 16
dicembre 2016
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