Cinquant'anni fa - non eravamo ancora fidanzati, ma eravamo lì lì per diventarlo - con Carmela discutevamo dell'allunaggio del 20 luglio. C'era anche Peppino Impastato, che a quel tempo preferiva ascoltare, piuttosto che parlare, ma non mancava di dire la sua.
Maoisti benché eterodossi (ponevamo Stalin alle origini del moderno revisionismo) consideravamo l'imperialismo USA, secondo le parole di Guevara, "il nemico del genere umano" ed io ero scontento dell'impresa. Pensavo che ogni successo del nostro nemico, in qualsiasi campo, dovesse considerarsi deleterio per il movimento rivoluzionario. Carmela no, diceva che si trattava comunque di una conquista dell'umanità, che poteva dare a tutti nel tempo importanti conoscenze e significativi progressi. Peppino taceva e alla fine disse la sua: non negava i vantaggi propagandistici e temeva molto per quelli militari che potevano venire al gendarme del mondo, ma stava più con Carmela. Ottimista sulle possibilità di cambiare il mondo in tempi brevi, era convinto che nel giro di qualche decennio tutti i progressi scientifici e tecnologici avrebbero avuto effetti benefici sulla vita di tutti gli esseri umani, in ogni parte del mondo.
Anche nel ricordo di questa datatissima conversazione riprendo qui un articolo rievocativo di dieci anni fa, che cita alcuni effetti sulla vita quotidiana di quel viaggio esplorativo, positivi benché mediati dal "mercato". (S.L.L.)
Così la luna ha cambiato il mondo (Guido Romeo)
«Qui Tranquillity base,
l’Aquila è atterrata». Per moltissimi sulla Terra, la notte del
20 luglio 1969, quello fu il segnale che potevano smettere di
trattenere il fiato. I due astronauti statunitensi, Neil Armstrong e
Buzz Aldrin, avevano completato con successo il primo allunaggio
della storia nel modulo Eagle dell’Apollo 11. L’impresa dei due
americani, affiancati dal pilota Michael Collins che rimase in orbita
nel modulo di comando Columbia, ha avuto come carburante la Guerra
Fredda e la frustrazione americana di fronte ai successi sovietici
dello Sputnik prima e di Jurij Gagarin, ma anche al fallimento della
baia dei Porci.
Propellenti che hanno
giustificato una spesa di 24 miliardi di dollari e l’impegno di
60mila tra scienziati e ingegneri della Nasa, oltre alla scommessa
logistica di coordinare il lavoro di 400mila persone alle dipendenze
delle circa 20mila aziende che hanno partecipato al progetto.
L’effetto più duraturo della missione Apollo 11 è però quello di
spartiacque storico non solo nell’esplorazione spaziale, ma anche
nel pensiero contemporaneo, perché ha cambiato per sempre la
percezione della presenza umana nell’Universo.
Gagarin aveva già
orbitato intorno alla Terra per poco più di un’ora e mezza, ma non
l’aveva mai veramente lasciata, perché mai effettivamente libero
dalla sua forza di gravità. Armstrong e Aldrin si erano spinti là
dove fino a pochi anni prima sembrava impensabile arrivare. In un
mondo alieno, da dove il pianeta a cui appartenevano appariva come
una piccola biglia blu, un punto di colore sospeso in mezzo
all’immensa tela buia dell’infinito. Unico e fragile. Un puntino
talmente piccolo che - ricordano gli astronauti - bastava un pollice
sull’oblò del modulo per nasconderlo. Il suo significato era però
talmente importante che proprio tra il ’69 e il ’72 fiorì un
nuovo ambientalismo e una nuova coscienza del pianeta che ha generato
ipotesi come quelle di Gaia di James Lovelock.
Ma altrettanto
rivoluzionaria sarà la ricaduta tecnologica di quell’impresa, con
lo sviluppo di ritrovati che hanno cambiato la vita quotidiana
dell’umanità. Il metano liquido che sta diventando una delle
energia alternative più pregiate deve la sua fortuna alla missione
Apollo 11. Fu per questa navicella, che la Beech Aircraft Corporation
sviluppò i primi serbatoi in grado di stoccare metano liquido a
oltre 200 gradi sotto zero. In seguito, la stessa azienda ha messo a
punto un sistema in grado di convertire i motori a scoppio
tradizionali di auto e camion per l’alimentazione a metano.
Tanto per fare un altro
esempio, il trapano senza fili, che molti consumatori usano per il
bricolage, non è altro che lo sviluppo dello strumento realizzato
dalla Black&Decker per dare ad Armstrong e Aldrin la possibilità
di staccare campioni di roccia dal suolo lunare. Gli stessi pacemaker
hanno preso l’impulso dai dispositivi congegnati dalla Nasa per
monitorare i parametri vitali degli astronauti. Anche camminare sulla
Luna richiedeva una tecnologia particolare per gli stivali
dell’equipaggio: tecnologia sviluppata dalla DuPont e poi sfruttata
da un ingegnere del programma Apollo, Al Gross, per produrre in
collaborazione con Avia (calzature sportive), una nuova generazione
di suole elastiche oggi usate da migliaia di sportivi.
Successi figli di una
missione che è stata in ogni suo aspetto una scommessa ai limiti del
possibile. La stessa decisione di Kennedy di puntare alla Luna fu una
missione ardita e a tratti controversa anche nella comunità
scientifica, dove molti paventavano un’infezione da organismi o
sostanze tossiche.
Per il pubblico di
allora, il catalizzatore di attenzione più potente fu la manovra di
allunaggio vissuta in diretta e che poteva in ogni momento
trasformarsi in tragedia. Che l’uomo potesse "camminare"
nello spazio era già un fatto acquisito, ma poggiarsi su un altro
corpo celeste era una manovra mai tentata prima e per la quale
Armstrong e Aldrin non avevano in realtà mai potuto eseguire una
simulazione completa perché sulla Terra. Con l’ausilio di computer
con una potenza di calcolo inferiore a quella dei telefonini che oggi
portiamo in tasca, gli americani dovevano staccarsi dal modulo
Columbia in un momento preciso per poter raggiungere la zona prevista
sulla superficie e, soprattutto completare la manovra finché erano
in vista della Terra, perché con la rotazione del satellite, le
comunicazioni radio sarebbero divenute impossibili.
Tutto dopo essere stati
catapultati fuori dall’orbita terrestre a 40mila chilometri l’ora
sulla punta del Saturn 5 ed essere rimasti svegli per oltre 30 ore.
Non solo, nel viaggio dalla Terra alla Luna, l’Apollo 11 era doveva
ruotare su se stessa come una vite per disperdere il calore dei raggi
solari che provocavano differenze di temperatura di 200 gradi tra le
zone in ombra e quelle esposte al Sole e gli astronauti dovevano
evitare di muoversi troppo rapidamente per non causare deviazione di
rotta.
Collins nelle sue memorie
non nasconde le incertezze sulla missione. Il capo della missione
Apollo 8 che, con una tecnologia molto simile aveva orbitato intorno
alla Luna nel 1968, aveva calcolato che la navicella, poiché
composta da 5,6 milioni di parti mobili, anche se con un’efficienza
impensabile del 99,9%, avrebbe sempre corso il rischio di scontrarsi
con almeno 5.600 difetti. E naturalmente molte cose quella sera
andarono storte.
Una volta staccatasi
dall’Apollo, gli allarmi dell’Aquila cominciarono a suonare
costringendo gli astronauti a bordo e i tecnici in America a
scegliere se abbandonare la missione o proseguire. Fortunatamente
proseguirono ed entrarono nella storia con una passeggiata di
sessanta metri sul suolo lunare e le parole di Armstrong: «Un
piccolo passo per l’uomo, un balzo enorme per l’umanità». Una
frase storica che doveva essere seguita da un altro colpo di genio.
Tornati nel modulo e preparandosi a decollare, i due, svegli da 36
ore, si accorsero che nella fase di discesa, qualcosa aveva sradicato
dal pannello comandi uno degli interruttori senza il quale era
impossibile azionare il booster necessario per spingerli fino alla
navetta madre per il rientro. A salvare la missione fu il cappuccio
di una penna che, per caso, si incastrava alla perfezione nel quadro
e permise di azionare i motori. (Il Sole 24 ore, 15 luglio
2009)
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