La redazione del
periodico “mondo operaio”, fondato nel 1948 da Pietro Nenni, a
quel tempo quindicinale, diede al n. 4 del 1955, datato 19
febbraio, un carattere monografico, dedicandolo quasi interamente a
un convegno svoltosi a Matera il 6 febbraio e incentrato alla figura di
Rocco Scotellaro, poeta e cantore appassionato del mondo contadino,
scrittore meridionalista, militante del Psi, sindaco di Tricarico,
scomparso poco più di un anno prima, nel dicembre del 1953.
Il
convegno era stato ideato e organizzato da Raniero Panzieri, che
senza lasciare l'incarico di Segretario regionale del Psi in Sicilia,
aveva assunto nella direzione del partito di Nenni e Pertini il ruolo
di responsabile culturale. L'iniziativa, come altre di Panzieri
nell'intensissimo 1955 che lo vide protagonista anche delle elezioni
regionali siciliane in cui il PSI ottenne un forte successo (ricordiamo un convegno socialista contro la censura ed un altro, a
Venezia, sul cinema italiano) rompeva il monopolio di fatto che fino
ad allora i comunisti avevano esercitato nella politica culturale
della sinistra. Essa realizzava peraltro una doppia apertura: verso
il meridionalismo democratico e verso quel complesso mondo
liberal-socialista, in gran parte proveniente dal Partito d'Azione,
che, organizzato per piccoli gruppi autonomi ma fra loro in rete, già
da qualche anno aveva ripreso il dibattito nelle sue riviste e nei
suoi giornali sulla questione meridionale, sulle campagne e sul ruolo
degli intellettuali. Nenni, che aveva un eccellente fiuto politico,
sostenne con entusiasmo l'iniziativa ed al convegno di Matera dedicò
sull'“Avanti!” un editoriale in prima pagina, salutandolo come
una svolta.
La
cura del numero speciale di “Mondo operaio” dedicato a Scotellaro
e al convegno di Matera fu affidata da Nenni, che ne era il
direttore, a Panzieri, ma l'apertura che qui “posto” e ne
rappresenta la sintesi politica, pubblicata con la firma redazionale
“m.o.”, fu frutto di un'intensa collaborazione tra i due: gli
specialisti potranno probabilmente distinguere con buona
approssimazione le parti da attribuire a ciascuno di loro attraverso
un'analisi stilistico-tematica, ma anche un non specialista può
ragionevolmente pensare che vadano riferiti soprattutto a Panzieri
alcuni passaggi propriamente storico-teorici e a Nenni alcune frasi
di sintesi politica e di grande efficacia giornalistica.
Leggete
perché c'è da leggere. (S.L.L.)
Rocco Scotellaro |
Il meridionalismo di
Scotellaro
Il Convegno su Rocco
Scotellaro, promosso dal PSI e tenutosi a Matera il 6 febbraio con
una larga e fervida partecipazione di intellettuali e di contadini e
con numerosissime e significative adesioni, è stato, per l’ampiezza
e il rigore critico del dibattito, per l’importanza e la precisione
delle conclusioni e indicazioni che se ne possono ricavare, la più
degna commemorazione di Scotellaro, una commemorazione che non è
stata una rievocazione sentimentale, non ha voluto creare o
perfezionare un «mito», ma è stata, come ha detto Fortini, la
continuazione del discorso stesso di Rocco poeta, uomo di cultura e
militante, la cui opera si perpetua e si approfondisce nella ricerca
e nell’azione meridionalista.
Nel coerente
meridionalismo di Scotellaro il Convegno di Matera ha riconosciuto e
dimostrato il significato e l’insegnamento della sua vita e della
sua opera letteraria. L’unità della sua azione politica e della
sua poesia e delle sue ricerche sul mondo contadino sono il risultato
e insieme lo esempio di una posizione meridionalistica viva, attuale,
che ha le sue radici nella realtà di oggi del Mezzogiorno, nel
risveglio delle masse contadine, nella loro coscienza politica
precisa, nelle loro aspirazioni di emancipazione che hanno la forza
di tradursi in ideali e scopi di valore nazionale. Questo è
l’elemento reale da cui emerge la figura di Scotellaro, ne
determina la caratteristica essenziale, opera in modo tale che le
incertezze, le contraddizioni, i limiti che pure sono in lui — e
sono inevitabilmente nella stessa ancora iniziale affermazione di
autonomia delle masse contadine — siano, non certo trascurabili né
marginali, ma da valutare tuttavia in rapporto a una coerente fedeltà
a un mondo che ha rotto definitivamente con lo oscuro, immobile
passato e non abbandonerà la via della liberazione.
Certo, il Mezzogiorno non
è mai stato fuori della storia. Ma esso è stato il lato negativo
della storia d’Italia, la sua contraddizione permanente. Il divario
che lo ha tenuto diviso, sempre più profondamente diviso dal resto
del Paese, è la spaccatura, la crisi, il dramma non risolto della
storia italiana. Il suo isolamento, certo, non è, se non
metaforicamente, un essere fuori della storia; ma esso è l’elemento
decisivo della nostra storia nel senso del suo sviluppo faticoso,
interrotto. Con l’Unità, la depressione del Mezzogiorno diviene
più direttamente la depressione politica di tutto il Paese. E in
questa situazione, il mondo contadino non è inerte. Tenta di
esprimere la sua estrema sofferenza, e con essa di portare alla luce
il nodo capitale della storia italiana. I suoi moti improvvisi, i
suoi tentativi di organizzarsi, la sua disperata tendenza
all’affermazione di una autonomia esprimono pure il diritto alla
liberazione. Nel «perire dei tempi» di cui parla Rocco, la stessa
ripetizione di forme di esistenza barbare e pagane, la ripetizione
del rifiuto alla civiltà e alla presenza cristiana, producono,
poiché esse non avvengono nel vuoto ma nella storia, l’accrescersi
della protesta, della energia liberatrice.
Il fallimento della
corrente democratica nel Risorgimento trova la sua spiegazione —
osservava Gramsci — nella sua estraneità alla questione decisiva
che era quella di legare alla rivoluzione nazionale le masse rurali
attraverso l’accoglimento delle loro rivendicazioni. Anzi, già
prima dell’Unità si delinea il contrasto tra il pensiero e il
movimento democratico di ispirazione illuministica, volti troppo
spesso alla ricerca di trasformazioni prevalentemente giuridiche e
politiche, e il mondo contadino che stenta ad esprimere in forme
autonome e organiche le esigenze di trasformazione reale di cui è
portatore. Questa scissione, anziché comporsi, si accentua e si
aggrava con l’Unità. Ed è proprio sulla base del suo graduale
riconoscimento — e del riconoscimento del suo porsi come massimo
problema nazionale — che si forma la questione meridionale.
La formazione di una
coscienza politica contadina, che è dei nostri anni, si presenta
dunque come possibilità di ripresa e di superamento della grande
tradizione della cultura democratica meridionale, come già è stato
fortemente sottolineato al recente secondo Congresso del popolo
meridionale. Ed è certo positivo che su questa linea muovano oggi
correnti e gruppi sotto l’insegna di un liberalismo meridionalista.
Ma come conciliare allora la sostanza di questo programma con la
pretesa di deridere la ricerca di Dorso sugli elementi positivi
autonomi di storia meridionale e di dare a intendere che tale ricerca
sarebbe mitologica? Uno scrittore di “Nord e Sud” ha persino
citato la frase di Dorso su Salvemini come esempio di 'terminologia
misterica': « Sotto la crosta del blocco agrario, sotto la
cristallizzazione della vecchia società meridionale, sotto
l’immobilità istituzionale e politica, bolle il fuoco eterno, e
tocca a Gaetano Salvemini iniziare la forzatura del mistero». Ma
occorre completare la citazione: «È il problema del socialismo
italiano ad attrarlo, la sua insufficienza rivoluzionaria e le sue
deviazioni particolaristiche. Si può aprire su questo terreno la
prima breccia nel fronte antimeridionalista? Se si riesce a
richiamare il socialismo alla sua missione storica, forse — pensa
Salvemini — è già nato lo strumento politico per la rigenerazione
del Mezzogiorno. I Fasci siciliani, il socialismo pugliese, le prime
affermazioni del proletariato napoletano sono ancora nella memoria di
tutti. Bisogna ritrovare quel filone nascosto e svolgerlo, bisogna
far sboccare il Mezzogiorno nella lotta politica moderna ».
Il contrasto tra
meridionalismo e antimeridionalismo raggiunge naturalmente con il
fascismo il suo momento più drammatico. Contro il tentativo
mostruoso di cristallizzare e di rendere definitiva la immobilità
del Mezzogiorno — contro questo tentativo nel quale si rappresenta
per intero il carattere barbarico del fascismo — urge il processo
di radicale maturazione della democrazia italiana.
Le forze popolari
acquistano gradualmente e faticosamente coscienza della loro
posizione e dei loro compiti nazionali e tale processo si esprime
nella formazione dì una nuova classe politica che, mentre si
riconosce erede delle tradizioni liberali democratiche e socialiste,
ne brucia le debolezze e le contraddizioni, il pessimismo
aristocratico e i residui dottrinari, attraverso lo sforzo di
rispecchiare le esigenze di unificazione reale del Paese in concreti
programmi dì rinnovamento democratico.
È qui il valore profondo
della Resistenza e della Liberazione: la presenza, nell’eroismo, di
una precisa coscienza politica che unifica le masse con le élites.
Già portato da Gramsci e da Dorso, agli inizi della battaglia
antifascista, al grado più alto di elaborazione concettuale
storicamente possibile, il meridionalismo diviene motivo centrale
della lotta del popolo italiano per l’indipendenza e il
rinnovamento democratico. Il meridionalismo diviene, alla
Liberazione, il banco di prova della coerenza democratica di ogni
corrente politica.
Come la gobettiana
intransigenza contro il fascismo e l'unità di questa intransigenza
erano (e sono ancora oggi) il fondamento di ogni possibile e concreta
differenziazione delle forze per lo sviluppo del libero contrasto
democratico, così la fedeltà ai meridionalismo è il più saldo
criterio di valutazione circa la effettiva capacità democratica
della classe politica che sorge dalla lotta contro il fascismo e
dalla Liberazione. Comune fedeltà al meridionalismo non è dunque
unità indifferenziata, cioè compromesso tra forze politiche
diverse; al contrario, è condizione di sviluppo per ciascuna di
esse. Nella concreta esperienza politica degli ultimi decenni, che
accomuna popolo e classe politica, si effettua il superamento di
quelle astratte opposizioni tra le correnti meridionalistiche che
traevano il loro primo motivo di essere della mancata o insufficiente
coscienza nazionale delle classi popolari, in primo luogo dal residuo
corporativismo della classe operaia e dal contrapposto massimalismo.
Si realizza così il
superamento, nell’odierno meridionalismo, della opposizione tra
unitari e autonomisti, anche se è doveroso riconoscere, da Colajanni
a Salvemini a Dorso, nelle correnti autonomistiche il fermento più
vivo, il preannuncio e insieme lo strumento iniziale di realizzazione
della concezione più matura.
La esigenza unitaria
(Giustino Fortunato) perde il suo carattere «feticistico»,
conservatore, nel momento in cui diviene esigenza consapevole di
unificazione reale presso le forze popolari. L’autonomismo perde il
suo carattere astrattamente giuridico, il suo residuo utopismo al
quale vittoriosamente gli unitari potevano contrapporre la miserabile
realtà della vita politica meridionale in balìa del trasformismo e
delle clientele locali, nel momento in cui esso diviene espressione
della conquistata fiducia delle masse meridionali in sé stesse.
Si saldano così nel
meridionalismo attuale, con accentuazioni e prospettive politiche
necessariamente differenziate, le esigenze del riscatto economico,
della distruzione dei residui feudali, cioè della riforma agraria e
della industrializzazione, con le esigenze della liquidazione del
vecchio Stato accentratore-burocratico, della trasformazione della
struttura amministrativa, del rovesciamento del rapporto tra Stato e
masse rurali, onde l’ordinamento statale, anziché soffocare,
favorisca la formazione della coscienza politica e della capacità di
autogoverno dei contadini del Sud, condizione essenziale per
assicurare la spinta rinnovatrice contro le potenze economiche
arroccate nella difesa del privilegio. È questo, oggi ancora, più
che mai oggi, il tratto distintivo, il carattere essenziale del
meridionalismo, ciò che segna il confine che lo separa e lo oppone
irriducibilmente all’antimeridionalismo: la opposizione ad ogni
forma di paternalismo che, per quanto si mascheri, in buona o in mala
fede, di riformismo sociale, tende inevitabilmente a ripetere le
antiche contraddizioni, a ribadire le vecchie catene e, in ultima
analisi, a rinsaldare interne con la struttura del vecchio Stato
soffocatore, il peso e la oppressione delle forze economiche
pirivilegiate.
Siamo oggi ancora dinanzi
al problema di fondo su cui Levi richiamava la responsabilità della
classe politica antifascista: riuscire a creare uno Stato del quale
anche i contadini si sentano parte. Le strutture e la pratica del
vecchio Stato — «l'eterno fascismo italiano», diceva Levi - si
ripetono oggi, strumento massimo dell’antimeridionalismo. Ma il
risveglio contadino c’è stato, e c’è stato come elemento
fondamentale del risveglio democratico delle classi popolari in tutto
il paese. Il programma meridionalistico nei suoi lati inscindibili di
risollevamento economico, di trasformazione statale e di
emancipazione sociale, non si è realizzato nella realtà
istituzionale del Paese, ma non si è neppure trasformato in una
utopia poiché esso e presente in termini sempre più precisi nella
coscienza e nell'azione liberatrice delle forze popolari e delle
correnti democratiche, in una alleanza nella quale il riconoscimento
del valore nazionale delle lotte esclude il compromesso, è garanzia
di democraticità, un'alleanza, dunque — come osservava al Convegno
di Matera Mario Alleata — che postula finalmente non la
soffocazione di una delle forze che la compongono ma il loro
reciproco espandersi e rafforzarsi, che diviene in se medesima tanto
più salda ed efficace contro il nemico comune quanto piu si
sviluppano le autonome energie liberatrici di ciascuna di esse. Non
si tratta di mettere in discussione, a proposito dell’alleanza
delle forze popolari del Nord e del Sud, la funzione decisiva che
spetta alla classe operaia, in quanto ad essa è affidato
obiettivamente il compito di affermare nel modo più conseguente i
motivi della lotta democratica contro le vecchie potenze egemoniche:
è proprio nell’affermarsi di tale funzione, che si creano le
condizioni per l’affermazione autonoma delle forze contadine.
Si manifesta così, nella
tensione e nella espansione delle forze operaie e contadine, la
spinta a superare l’opposizione città-campagna, e in questo stesso
sforzo tendono a svilupparsi insieme, in un processo di elementi
distinti ma non opposti, le diverse correnti di cultura. Si affermano
in esse necessariamente momenti e livelli differenziati dello
sviluppo dei diversi strati e aspetti della realtà e del movimento
sociale del Paese, del Nord e del Mezzogiorno: proprio nello sforzo
di avvicinare ed esprimere il momento drammatico della rottura con il
passato ed il risveglio alla storia nazionale e alla lotta del mondo
contadino, gli intellettuali recano un contributo decisivo alla
formazione della cultura nazionale. In questa consapevole tendenza,
attraverso e al di là delle inevitabili incertezze, è la lezione
esemplare dell’opera di Rocco Scotellaro.
Nel moto di rinascita
mutano dunque profondamente i rapporti tradizionali tra contadini e
intellettuali.
Dietro la «rabbia
appassionata» dei contadini oppressi del Sud nei confronti degli
intellettuali di cui parlava Gramsci, in particolare nei confronti
iella piccola borghesia intellettuale del Mezzogiorno c’era il
«mistero» della cultura come strumento indispensabile ed
inaccettabile di vita e di oppressione insieme. Ma sempre in. questa
«rabbia appassionata » c’è stata l’aspirazione alla conquista
della cultura, della autonomia. Questa conquista diviene possibile
nel momento in cui presso le masse contadine si forma la coscienza
precisa dei loro problemi e delle loro rivendicazioni, in cui cioè
questi problemi vengono da esse riconosciuti nel loro valore
obiettivo e collettivo e nel nesso con le altre questioni del Paese.
Questo riconoscimento
positivo, questo inserimento della vita e delle esigenze del mondo
contadino nella società nazionale, è per le masse rurali conquista,
certo faticosa, di una propria nuoca autonomia e con essa
trasformazione della «rabbia appassionata» verso la cultura in
rivendicazione e amore positivo di cultura.
È pur doveroso
riconoscere — ed è stato sottolineato al Convegno di Matera —
che in senso specifico tale processo, di cui l’opera di Scotellaro
e momento fondamentale, è ancora ai suoi inizi.
Il Convegno ha perciò
auspicato e sollecitato,attraverso lo sviluppo di un ceto politico e
intellettuale legato alla nuova realtà contadina, l'affermazione
sempre più ricca di una cultura impegnata nella diretta conoscenza
della società meridionale, della sua storia, dei suoi problemi e del
suo svolgimento attuale. Il libero gioco e contrasto di gruppi e
correnti potrà svilupparsi in tutta la sua ampiezza proprio sulla
base del comune denominatore del meridionalismo attuale, quale è
definito dal legame degli intellettuali con le masse in movimento e
dalla prospettiva di una continua espansione di tutte le energie
meridionali. Ed è pure su questa linea da promuovere più
vigorosamente l’azione verso la rinascita culturale del Mezzogiorno
affrontando sistematicamente i problemi della organizzazione della
cultura negli aspetti specifici che essi presentano nelle regioni
meridionali.
I contadini del Sud — è
stato detto a Matera ed è stato dimostrato dalla profonda serietà
dell’incontro tra contadini e intellettuali — sono forza matura e
capace ormai di far propria e di sostenere questa lotta, con lo
slancio e il disinteresse insieme che essa richiede. Le masse
meridionali sanno ormai che l’affermazione della loro autonomia può
e deve anche realizzarsi in forme precise e sempre più mature nella
difesa e nello sviluppo della cultura, sostanza ed arma della loro
richiesta di libertà.
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