2.6.12

Mario Mineo. Federalismo e autonomia ("micropolis" maggio 2012)

Sala d'Ercole di Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea Regionale Siciliana.
Fu chiamata "il covo dei novanta ladroni" finché non ne aumentarono il numero.
In una pagina degli Scritti sulla Sicilia di Mario Mineo, l’Ente Regione è considerato lo strumento principale attraverso cui “la borghesia parassitaria e mafiosa si arricchisce”, una “fonte di parassitismo, di spreco, di intrallazzo”. Giudizio durissimo e oggi ampiamente condiviso, ma Mineo, che era stato deputato per il Pci nella prima legislatura regionale (1947-51), di questa realtà conosceva le lontane radici. Il 1° settembre del 1945, infatti, Mineo era stato nominato dall’Alto Commissario nella Commissione per redigere il progetto di Statuto per la Regione, in rappresentanza del Partito Socialista, di cui allora faceva parte. Già in articoli e documenti, pubblicati su la “Voce Socialista”, Mineo aveva assunto una collocazione netta nel dibattito stimolato dal separatismo. A differenza della maggioranza dei socialisti siciliani, unitari e diffidenti verso l’autonomia, Mineo si riconosceva nell’impostazione di Li Causi, leader del Pci siciliano: non amava il termine “federalismo”, che gli sembrava implicare una sovranità originaria a cui i federati rinunciano, ma era fautore di una autonomia che chiamava democratica, che doveva far leva sulle larghe masse.
In Commissione il confronto su quattro progetti, uno dei quali preparato da Mario. In esso le attribuzioni della Regione erano poche e nettamente identificate per evitare conflitti di competenza, ma sul piano economico e sociale determinanti. Non solo la Regione godeva della “piena potestà legislativa ed esecutiva in materia di imposizione finanziaria”, ma aveva tra gli obblighi la redazione di un vero e proprio “Piano”, per la cui predisposizione era previsto l’intervento attivo delle forze sociali e un contributo economico dello Stato. L’idea era di legare l’autonomia allo sviluppo industriale e produttivo. Il progetto Mineo scomparve dal dibattito in commissione per «un colpo di mano» di Enrico La Loggia. Nell’articolo 38 voluto da La Loggia, che passerà alla Consulta con l'avallo dei comunisti, trionfa il punto di vista riparazionista, tipico delle vecchie oligarchie, che sgancia l' intervento dello Stato dallo sviluppo e lo lega all'idea piagnona di un risarcimento dovuto alla Sicilia, soprattutto con il finanziamento di opere pubbliche e con provvidenze su cui non era difficile allungare le mani. L’impostazione di Mineo scomparve dal dibattito politico e venne censurata anche su quello storiografico. Peccato! Nella lunga e spesso stucchevole querelle sul federalismo degli ultimi anni avrebbe potuto essere utile. Anche in Umbria. (S.L.L.)

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